Shadows
(USA 1958, 1959, Ombre, bianco e nero, 60m e 84m); regia: John Cassavetes; produzione: Maurice McEndree, Nikos Papatakis per Gena; sceneggiatura: John Cassavetes; fotografia: Erich Kollmar; montaggio: Len Appelson, Maurice McEndree; scenografia: Randy Liles, Bob Reeh; musica: Charles Mingus.
Ben è un giovane di colore senza lavoro stabile. Bighellona nei bar di New York e con alcuni amici abborda tre signore, presentandosi come trombettista. Hugh, suo fratello, di mestiere fa il cantante; Rupert, il suo manager, lo sta ingaggiando per due serate a Filadelfia. Hugh si lamenta, dal momento che il contratto gli affida solo un ruolo di presentatore. Ben raggiunge il fratello. Gli chiede denaro. A Filadelfia, Hugh si vede tagliare il brano che sta cantando: il pubblico preferisce giovani ballerine. Lelia invece vorrebbe diventare scrittrice. È la sorella di Ben e Hugh. Fra i tre è quella che ha la pelle più chiara. Lelia accusa Ben di non avere una cultura, di non aver mai visitato un museo. Per questo Ben e i suoi amici vanno a osservare alcune statue nel giardino, all'esterno del MoMA. Una sera Lelia è a un party letterario, durante il quale si discute di Sartre e di approccio realistico alla scrittura; lì conosce Tony, un ragazzo bianco. Lei, per sfida, lo bacia. Il giorno successivo, fanno l'amore a casa di Tony. Lelia perde la verginità. Tony l'accompagna a casa ma, al sopraggiungere di Hugh, rimane turbato, rivelando il proprio latente razzismo, e inventa la scusa di un appuntamento per andarsene. Ne nasce un diverbio: Hugh chiede a Tony di non farsi più vedere, di non fare soffrire la sorella. Intanto, si prepara un altro party, organizzato da Hugh. Durante la serata, Lelia sembra ancora scossa. Ben litiga col fratello, ed esce sbattendo la porta di casa. Successivamente, Lelia si appresta a uscire con Davey, un amico di Hugh. La ragazza si fa attendere per almeno due ore: dice di doversi preparare accuratamente. Tony suona alla porta proprio mentre Lelia sta per uscire. I loro sguardi si incrociano. Quello di Tony incrocia quello di Davey. Tony si scusa. Chiede a Ben di riferire a Lelia che non c'è nessuna differenza tra loro. Mentre danzano, Lelia scherza altezzosa, abbracciata a Davey. Quando lui le ricorda ciò che è appena accaduto, lei appoggia la testa sulla sua spalla. Hugh parte per un nuovo ingaggio con Rupert. Ben, con gli amici, abborda tre ragazze in un bar. I loro compagni non gradiscono. Ne nasce una rissa. Ben, con le ossa rotte, passeggia ora solitario per la città, tra le luci al neon.
Budget ridotto, improvvisazione, assenza di sceneggiatura rigida, attori non professionisti, macchina da presa quasi sempre sulle spalle, ritmo sincopato: Shadows è il sogno di ogni 'dilettante'. Il film conosce due versioni alternative. A una prima copia dal metraggio ridotto, girata in 16 mm, montata e mostrata nel 1958, amata da Jonas Mekas (e per questo, immaginiamo, più vicina al sentire sperimentale di quel cinema underground che nei pieni anni Cinquanta appare come la realtà in grado di contrapporsi a Hollywood), John Cassavetes fa seguire l'anno successivo una seconda versione, più lunga, gonfiata a 35 mm, la cui struttura si presenta meno affetta da certi crismi underground.
Contornandosi di collaboratori fissi e di amici, Cassavetes costruisce attorno a sé una sorta di famiglia allargata. Shadows è il primo risultato ottenuto attraverso questo lavoro svolto sulla materia umana, a partire dai corpi degli attori. Cassavetes costringe l'attore a un profondo scavo dentro se stesso, rendendolo parte integrante della creazione. Più che la tecnica, che il regista da buon 'dilettante' non sembra interessato a padroneggiare, sono gli atteggiamenti dei corpi a condurci in presenza di una storia, di una narrazione. Shadows ci dimostra l'esiguità della distanza che separa cineasta e attore: entrambi partecipano costantemente all'elaborazione progressiva del personaggio e del film.
Ben, Hugh e Lelia, i tre fratelli, non sono attori professionisti: provengono in realtà dal Drama Workshop fondato da Cassavetes e Bert Lane nel 1956. Da questo punto di vista, Shadows appare come vero e proprio work in progress, un'improvvisazione controllata, soprattutto un patchwork visivo: lavoro sui corpi studiati da una macchina da presa perennemente in movimento, che filma una New York notturna, impressionata tra bianchi e neri alterati dall'otturatore della cinepresa, contrastati, sfumati, cancellati dall'imprevedibilità della potenza emessa dall'illuminazione artificiale. Sfumature e alterazioni, contrasti, che incarnano il soggetto del film: non solo il teso rapporto tra fratelli, ma ‒ più sottilmente ‒ il rapporto con la propria etnia, con la propria identità, il proprio ruolo sociale, all'interno di una metropoli dove si sviluppano trame e situazioni il cui ritmo appare accordato sulla tessitura jazzistica creata da Charles Mingus. Momenti di isteria (le liti tra fratelli), momenti in cui i corpi lottano (la scena finale), o vengono colti immobili, nella loro pesantezza: dove la grana della pellicola gonfiata ingrandisce i volti fino a sfigurarli, scrutandone la composizione. Nondimeno, fanno la loro apparizione atteggiamenti sarcastici e comici, ottenuti in alcuni casi grazie a un lavoro sulla velocità di scorrimento delle immagini.
Se abbiamo utilizzato il termine patchwork è per riferirci a un'osservazione cara a Gilles Deleuze, riferita a certo "pragmatismo" statunitense inteso come tensione atta a innescare una progressione, una situazione, producendo un universo in costante svolgimento. Da buon pragmatista, Cassavetes punteggia ogni sequenza tra dissolvenze in nero o dissolvenze incrociate disorientanti, costruisce pazientemente e concretamente un film che non è un documentario e non è un film di finzione, ma qualcosa che oscilla tra i due. Shadows risulta dunque un prisma, un mantello d'Arlecchino o un muro di pietre libere. Un muro di pietre in cui ogni sequenza vale per se stessa, e al tempo stesso entra profondamente in relazione con altre, in maniera però aperta e fluttuante, in una forma nuova, inedita. Shadows è, in questo senso, un mosaico di sequenze che interroga un nuovo modo di fare cinema.
Interpreti e personaggi: Leila Goldoni (Lelia), Hugh Hurd (Hugh), Ben Carruthers (Ben), Anthony Ray (Tony), Dennis Sallas (Dennis), Tom Allen (Tom), Rupert Crosse (Rupert), Davey Jones (Davey), David Pokitillow (David), Cliff Carnell (Cliff), Ron Maccone (Ron), Pir Marini (Pir), Victoria Vargas (Victoria), Jack Ackerman (Jack), Jacqueline Walcott (Jacqueline), Jay Crecco, Joyce Miles, Nancy Deale, Gigi Brooks, Lynne Hamelton, Marilyn Clark, Joanne Sages, Jed McGarvey, Greta Thyssen.
J. Mekas, Cinema of the New Generation, in "Film culture", n. 21, Summer 1960.
L. Marcorelles, L'expérience 'Shadows', in "Cahiers du cinéma", n. 119, mai 1961.
L. De Santis, Ombre, in "Cineforum", n. 12, febbraio 1962.
C. Nevers, Cassavetes: 'Shadows' and 'Faces', in "Cahiers du cinéma", n. 453, mars 1992.
S. Mathon, L'élan vital, in "Positif", n. 377, juin 1992.
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R. Carney, 'Shadows', John Cassavetes, London 2001.