SFORZA
. Origini. - La famiglia Attendoli era famiglia di agiati agricoltori di Cotignola in Romagna. Muzio Attendolo S. (v.) ebbe, come si narrò, da Alberico da Barbiano il soprannome di Sforza, che Giovanna II di Napoli, dopo la morte di lui, volle assunto da Francesco e dagli altri suoi figli (1424). Muzio, nell'avventurosa sua vita di condottiero, divenne, per concessione di Giovanni XXIII, conte di Cotignola (22 febbraio 1411), ebbe nel regno di Napoli Tricarico, Troia, Corato, e l'ufficio di Gran Contestabile, mentre Francesco, suo figlio, era fatto conte di Ariano (1417) e, per il matrimonio con Polissena Ruffo, contessa di Montalto (1418), ne acquistava i feudi della Calabria. Ma, più che per i feudi e i titoli, che, nella vicenda delle condizioni politiche, andavano perduti con la facilità stessa con cui si ottenevano, la fortuna della famiglia cresceva per la grande fama di quei condottieri.
I figli che Muzio ebbe dalle tre consorti legittime o morirono bambini, o rimasero presso che ignoti. Maggiore fortuna ebbero i figli illegittimi: Francesco (1401-66) fu duca di Milano, Elisa (1402-76), sposata nel 1418 a Leonetto Sanseverino, divenne madre del celebre Roberto; Leone (1406-40) fu compagno nelle imprese di Francesco nella Marca, vincitore per il papa su Niccolò Fortebraccio a Mentana, fatto prigioniero a Todi e liberato dal fratello Alessandro, morì di ferite riportate a Caravaggio; Giovanni (1407-51) ebbe incarichi di guerra e di governo nella Marca; Alessandro (1409-73) divenne signore di Pesaro e capostipite di questo ramo (v. appresso: Ramo di Pesaro). La madre di tutti questi, Lucia da Torgiano, fu da Muzio data sposa a Marco Fogliani da Parma; Corrado, nato da queste nozze, servì i duchi Francesco e Galeazzo ed ebbe feudi in quel di Milano e di Parma; discesero da lui i marchesi Sforza Fogliani, estinti in linea maschile nel 1780. Nacquero a Muzio da altre donne Bosio (1411-76), il primo degli Sforza di S. Fiora (v. sotto); Pietro (1411-42), francescano e vescovo di Ascoli (1438); Mansueto, vescovo di Teramo; Carlo (1423-57), agostiniano a Lecceto, col nome di Gabriele (1443), arcivescovo di Milano (1454), lodato per dottrina e per eloquenza, venerato nell'ordine suo come beato.
Ramo di Milano. - Di Francesco, Gran Contestabile del regno, marchese di Ancona, duca di Milano (1450), si annoverarono una trentina di figliuoli, dei quali nove legittimi, tutti fuor di una sola morta bambina, dati a lui da Bianca Maria Visconti. Le fanciulle, nate o no di giuste nozze, quando non fossero destinate al chiostro, servirono a matrimonî, che erano, o parevano, vantaggiosi alla famiglia. Isolea o Isotta (nata nel 1428, morta fra il 1485 e il 1487) fu data prima (1439) ad Andrea Matteo Acquaviva duca di Atri, poi (1443) a Giovanni Mauruzi da Tolentino condottiero famoso; Polissena (1428-49) fu dal 1442 la sposa infelice di Sigismondo Pandolfo Malatesta; Drusiana (1437-74) fu, dopo varî altri trattati di nozze, pegno di riconciliazione fra il padre e Iacopo Piccinino (1464), ucciso il quale nelle carceri di Napoli (1465), si ridusse a Padova, in grandi strettezze; Fiordelisa (1452-1522) fu dal fratello Galeazzo unita (1469) con il torbido Guidaccio Manfredi, figlio di Taddeo signore di Faenza; Elisabetta, legittima (1456-72), fu nel 1469 consorte del vecchio marchese del Monferrato Guglielmo VIII Paleologo. Più celebrata delle altre fu la maggiore delle figliuole legittime di Francesco, Ippolita Maria (1445-88), alunna di Guiniforte Barzizza e di Costantino Lascaris, promessa nel 1455 e sposata nel 1465 ad Alfonso duca di Calabria; amante delle lettere classiche e della filosofia, come della caccia e della danza, e raccoglitrice in Castel Capuano di una "gloriosa biblioteca"; donna "d'inaudita pudicizia", alla quale tuttavia Masuccio Salernitano offrì il suo Novellino.
Dei maschi illegittimi, Tristano (1429-77) fu condottiero di qualche fama; Sforza Secondo (1435-91) fu capostipite deì conti di Borgonovo; Giovanni Maria fu, nel 1498, per opera del fratello Ascanio, creato arcivescovo di Genova, città degli S., e, pure seguendo nel 1499 il Moro nella fuga e avendo per alcun tempo il governo di Pavia per il duca Massimiliano, rimase titolare della diocesi fino alla morte (1520).
Galeazzo Maria (1444-76), primo tra i figli legittimi di Francesco, ereditò dal padre il ducato di Milano. Quando egli fu ucciso (26 dicembre 1476) rimase il titolo ducale al figliuolo minorenne Gian Galeazzo (1469-94), essendo per lui reggente la madre Bona di Savoia e governando il Simonetta. Dei fratelli legittimi dell'ucciso, il maggiore, Filippo Maria (1449-92), si tenne estraneo alle vicende politiche e visse a Milano più anni, portando titolo, non autorità, di conte della Corsica, che Genova aveva ceduto nel 1464 a Francesco S. Ma contro la reggente si levarono gli altri cognati. Il più giovine di questi, Ottaviano (1458-77), scoperta la congiura, affogò nell'Adda fuggendo, o forse fu ucciso; Sforza Maria (1451-79), che fin dal 1464 aveva ricevuto da re Ferrante il ducato di Bari con Modugno e Palo, fu confinato nel suo feudo lontano e, ritornato con le milizie del re e del Sanseverino a combattere la reggente, morì a Varese Ligure, con sospetto di veleno. Più abile o più fortunato, Ludovico il Moro (1452-1508), riuscì a soppiantare la reggenza e a trarre nelle sue mani e tenere saldamente il governo in nome del nipote. E il potere usurpato parve reso più sicuro da molteplici vincoli di parentela. Ascanio Maria (1455-1505), fratello del Moro, cardinale dal 1484, lo rappresentava nella curia romana e nel 1492 procurò la tiara a un amico provato degli S., papa Alessandro VI. Nella vicina Liguria, Chiara, illegittima di Galeazzo (1467-1531), già sposa (1480-85) di Pietro dal Verme, poi vedova di lui ed erede, doveva suggellare con le sue nozze con Fregosino Fregoso (1488) l'amicizia degli S. col padre di questo, Paolo arcivescovo di Genova e cardinale. Nella Romagna, a cui si appuntavano mire già antiche dei signori di Lombardia, erano di casa S. due donne ardite e imperiose, Caterina (1463-1509), pure illegittima di Galeazzo, sposa dal 1473 a Girolamo Riario (v. sforza riario, caterina), e Ginevra di Alessandro di Pesaro, consorte di Giovanni Bentivoglio signore di Bologna; nel 1493 vi andò sposa ad Alessandro di Giovanni, quella Ippolita (1481-1520 circa), figlia di Carlo, altro illegittimo di Galeazzo (1461-1483), che, dopo la caduta dei Bentivoglio, si ritrasse a Milano, dove B. Luini ne conservò l'effigie nella chiesa del Monastero Maggiore, raccolse nella sua casa uomini dotti, si acquistò fama di poetessa e al Bandello diede comandamento" di scrivere e recitare le sue novelle. Un triplice nodo di affinità stringeva gli S. e gli Estensi, poiché Beatrice di Ercole d'Este venne nel 1491 a Milano sposa di Ludovico, Anna Maria, figlia legittima di Galeazzo (1476-97), già promessa dal 1477, fu data nel 1491 ad Alfonso di Ercole, Angela (1479), sorella di Ippolita, sposò nel 1493 Ercole di Sigismondo. Più alte nozze furono riserbate a Bianca Maria (1472-1510), la maggiore delle figlie legittime di Galeazzo, che, promessa da prima a Filiberto di Savoia e a Giovanni Corvino, fu nel 1493 sposata con ricca dote a Massimiliano imperatore, per ottenere al Moro l'appoggio di questo e l'investitura del ducato. E amici degli S. erano i Medici, quantunque non mancassero motivi di contrasto soprattutto per la Romagna; ed erano congiunti gli Aragonesi, che al ducato di Bari, confermato al Moro dopo la morte del fratello Sforza, aggiunsero nel 1487 il principato di Rossano e altri feudi, e l'antica affinità rinsaldarono con una nuova, dando Isabella di Alfonso duca di Calabria e di Ippolita S. a Gian Galeazzo (1489).
L'insofferenza della nuova duchessa di Milano per la condizione d'inferiorità, a cui ella e il marito erano ridotti, la femminile rivalità di lei e di Beatrice, il sospetto del Moro d'una vendetta aragonese furono causa, o piuttosto occasione, della discesa di Carlo VIII. Morì nei giorni della calata (21 ottobre 1494) Gian Galeazzo, e Ludovico assunse, il dì seguente, il titolo di duca di Milano, secondo il privilegio imperiale del 5 settembre 1494; il "duchetto" Francesco di Gian Galeazzo (1491-1512), "bellissimo, savio et astuto garzon", fu tenuto a Milano in custodia gelosa. E il Moro seppe raccogliere intorno a sé presso che tutti gli Sforzeschi, poiché, oltre al cardinale Ascanio, all'arcivescovo Giovanni Maria di Genova e agli S. dei rami cadetti, lo servivano Ermes, figliuolo legittimo di Galeazzo (1470-1503), ch'ebbe titolo di marchese di Tortona e incarichi onorevoli, ma di autorità solo quanto piacesse allo zio, e tre illegittimi, Galeazzo, conte di Melzo (1476-1515), che fu presso di lui "in gran reputatione", Ottaviano (1477), creato nel 1497 vescovo di Lodi, Alessandro (1465-1523), prima signore di Francavilla e luogotenente del re di Napoli, venuto poi (1499) in Lombardia al fianco dello zio Ludovico; Bianca Giovanna, la giovanissima e gentile figlia naturale del Moro (1482 circa-1496), con una unione presto spezzata dalla morte (1496), pareva assicurare la fedelta di Galeazzo Sanseverino.
Ma né i legami familiari, né l'abilità del governare e la protezione larghissima alla cultura e all'arte, né i ritrovati ingegnosi di una politica senza scrupoli valsero a impedire la duplice catastrofe del Moro (1499-1500), che terminò tristamente la vita nel castello di Loches (1508). Ermes era già morto a Innsbruck nel 1503, Ascanio a Roma nel 1505; il "duchetto" Francesco era stato tratto in Francia, dove lo seguì precettore Gregorio da Spoleto, il maestro caro all'Ariosto, e, fatto abate di Marmoutier in Piccardia, visse ancora qualche anno, fino al 1812; la madre sua Isabella, che pur si firmava "unicha ne la desgracia" sembra che trovasse nel ducato di Bari, che il Moro le aveva ceduto la vigilia della fuga (1499), o alla corte di Napoli, non onesto sollievo. Gli altri Sforzeschi di Milano erano esuli e dispersi.
Parve risorgere la fortuna degli S., quando gli Svizzeri del cardinale Schiner, tolto il ducato ai Francesi, lo vollero dare, nel 1512, a Ercole detto Massimiliano (1493-1530), primogenito del Moro. Alessandro divenne allora "capitano generale" dei Milanesi; e Ottaviano, ch'era stato governatore di Milano in assenza del duca e aveva tentato invano di procurare a sé stesso il ducato, restò poi a fianco di quello, finché il duca e lo Schiner, insospettiti, non lo fecero arrestare, torturare, condurre nella Svizzera. E di nuovo la fortuna piegò, quando Francesco I di Francia riconquistò il Milanese (1515); e si rialzò lievemente un'altra volta, quando (1521) l'esercito imperiale e pontificio lo diede a Sforza, detto allora Francesco II (1495-1535), secondogenito del Moro, che, per avere tentato di scrollare il giogo imperiale, perdette il ducato (1525), lo riebbe come protetto dell'imperatore (1529) e lo tenne fino alla morte. Con lui, nel 1535, terminò la linea maschile legittima dei duchi di Milano.
Giampaolo (1497-1535), primo dei marchesi di Caravaggio, sperò invano di essere chiamato alla successione, come fratello illegittimo dell'ultimo duca; il Milanese fu incorporato nei dominî imperiali. Degli altri illegittimi, Alessandro era morto fino dal 1523; Ottaviano, trasferito nel 1519 dal vescovado di Lodi a quello di Arezzo e poi costretto a cedere anche questo, aveva continuato lungamente a intrigare con gli Svizzeri, con l'imperatore, con i Francesi, finché s'era ritratto a morire nell'oscurità. Restava, di questo ramo, Bona, figliuola di Gian Galeazzo e di Isabella (1493-1557), la gentile e colta, ma forse non illibata, Bonita della corte viceregale di Napoli, che nel 1517, sposa a Sigismondo Iagellone re di Polonia, aveva portato "in le sarmatie parte" il sorriso dell'eleganza e della cultura italiana, aveva governato abilmente per il debole marito e, vedova (1548), si ritrasse poi (1556) nel suo ducato di Bari, che la madre, morente (1524), le aveva lasciato. E a Bari si spense (1557) l'ultima discendente legittima dei duchi di Milano. Al re di Spagna, chiamato da Bona ad erede, il possesso dei feudi di Bari e di Rossano fu lungamente, ma vanamente conteso dai figli di lei, Sigismondo Augusto, re di Polonia, e Caterina, moglie di Giovanni III di Svezia, che aveva sperato di ricondurre quella terra lontana alla fede cattolica.
Ramo di Pesaro. - Di Alessandro (1409-73), figliuolo illegittimo di Muzio e fratello del duca Francesco, divenuto nel 1445 signore di Pesaro e riconosciuto nel 1447 come vicario papale con diritto ereditario, furono figlie Battista (1446-1472), bella, colta e virtuosa consorte (1459) di Federico d'Urbino, e Ginevra (1440 circa-1507), che, prima sposata a Sante Bentivoglio (1454), fu dal 1464 donna di Giovanni signore di Bologna e contribuì con la fecondità coniugale e la virile energia a creare la fortuna della sua nuova famiglia e con l'ambizione a rovinarla, finché nel 1506 la vide distrutta. L'eredità della signoria fu raccolta nel 1473 da Costanzo (1447-83), ch'ebbe fama di capitano valoroso e combatté presso che in tutte le guerre del tempo suo, e tuttavia fu amante delle lettere e cultore della poesia, e governò con mitezza la città, la cui rocca, edificata da lui, ne conservò il nome. Alla sua morte, la vedova Camilla d'Aragona seppe conservare all'illegittimo Giovanni (1466-1510) la città minacciata dalle milizie papali. Il nuovo signore ebbe dal papa la conferma dell'investitura (1483 e 1490) e parve legato alla fortuna dei Borgia, quando Alessandro VI gli diede sposa Lucrezia (1493); ma, cambiata la politica papale, dovette acconciarsi a vedere annullato il matrimonio (1497), e fu costretto a fuggire innanzi alla minaccia del Valentino (1499). Riebbe la città alla morte del papa e ottenne nuova investitura da Giulio II (1504); morendo, lasciò fama di qualche abilità di governo e di amore per la cultura. Fu riconosciuto allora signore Costanzo II, nato in quell'anno, sotto la tutela di Galeazzo, illegittimo dell'altro Costanzo, che, morto il nipote (1512), fu acclamato signore. Ma Giulio II occupò la città in nome della Chiesa: Galeazzo riparò a Milano e fu nel 1513 governatore di Cremona per il duca e suo consigliere e inviato da lui nel 1514-1515 al cardinale Schiner e agli Svizzeri. Morendo nel 1519, lasciò alla linea ducale i suoi diritti, ormai vani, su Pesaro. A Milano era anche allora, e visse lungamente ivi, o a Firenze, o a Roma, Isabella (1503-61), figlia naturale di Giovanni e sposa di Cipriano del Nero, nobile fiorentino, lodata per molta e varia dottrina, scrittrice del trattato Della vera tranquillità dell'animo (Venezia 1544) di altra opera Dello stato feminile e di molte lettere.
Ramo di Santa Fiora. - Bosio (1411-76), figliuolo illegittimo di Muzio Attendolo, fu per tutta la vita fra le armi. Già dal 1430 governatore di Orvieto per il papa, fu poi nelle guerre del fratello Francesco, per la conquista del Milanese, contro i Correggio ribellati (1452), contro il Piccinino (1455); mandato in favore di re Ferrante, si distinse nella battaglia di S. Fabiano (1460) e nella difesa del regno. E fu ancora in armi nel Bolognese (1466) e a Brescello terra dei Correggio (1468). Ne ebbe in premio il titolo di conte di Cotignola, la nobiltà di Milano (1471) e di Parma (1476), il feudo di Castell'Arquato nel Piacentino e altre terre (1466). Da un figliuolo di lui Francesco (morto nel 1523) nacque, illegittimo, Sforzino (1486-1526), soldato e poeta, ch'ebbe dal papa l'investitura di Castell'Arquato (1523).
Ma le nozze con Cecilia di Guido Aldobrandeschi conte di Santa Fiora (1439) avevano recato a Bosio il diritto sopra un terzo di questo feudo, e successive rinunzie fatte dalle sorelle di Cecilia e da Anastasia Baglioni, figlia di Bosio, raccolsero nel 1469 nelle mani dell'altro figlio Guido (1445-1508?), la contea, ch'era forte per posizione e ricca di miniere e dava diritti sovrani, spettandone solo l'alto dominio alla repubblica di Siena. E Guido fu savio e generoso signore, caro ai soggetti, che gli rimasero fedeli nella tempesta borgiana e n'ebbero in premio la concessione di nuovi statuti. Da Federico, suo figlio, nacque Bosio II (morto nel 1535), che, avendo sposato Costanza di Alessandro Farnese, ebbe da questo, divenuto papa Paolo III, ufficio di capitano della guardia e per lui ritolse Perugia a Rodolfo Baglioni; il papa confermò (1538) ai figli di Bosio tutti i feudi, fra i quali erano quelli della Lombardia e dell'Emilia, ceduti a Bosio dal figlio ed erede di Sforzino, e vi aggiunse il marchesato di Proceno.
Dei figli di Bosio II e di Costanza, il primogenito Guido Ascanio (1518-64) fu, per cura dell'avo Paolo III, educato dall'Amaseo e a sedici anni creato cardinale ed ebbe in amministrazione la diocesi di Parma (1535-60) e altre assai e benefici in gran numero; fu patriarca di Alessandria (1541), legato di Bologna e Romagna (1537-38), camerlengo della Chiesa (1537), legato in Ungheria per la guerra turca (1540); divise con Alessandro Farnese il favore del papa, tra i primi esempî di cardinal nipote. Capo della fazione imperiale nei conclavi del 1550 e 1555, ebbe da Giulio III l'incarico di trattare l'accordo con Ottavio Farnese. Con Paolo IV si guastò: accusato di maneggi contro il papa e i Francesi alleati suoi, fu arrestato, tradotto in Castel S. Angelo e liberato solo con garanzia di duecentomila scudi (agosto-settembre 1555). Ma trattò poi col cardinale Carafa l'accordo fra Paolo IV e il duca d'Alba (settembre 1557) e ritornò in grazia del pontefice. Fu nel conclave del 1559 capo della fazione spagnola ed ebbe parte nell'intesa che portò all'elezione di Pio IV, presso il quale rimase come rappresentante ufficiale degl'interessi del re di Spagna. Amico delle lettere e delle arti, raccolse nel suo palazzo una ricca biblioteca e vi istituì un'Accademia, scelse a stampatore della Camera il celebre Antonio Blado, e a Michelangelo commise la cappella dell'Assunta in S. Maria Maggiore; lasciò fama di cultura, di liberalità, ma di dubbî costumi.
Alla carriera ecclesiastica fu pure rivolto un fratello del cardinale, Alessandro (1534-81), abile presidente dell'annona sotto Paolo IV, vescovo di Parma (1560-73), membro autorevole del concilio di Trento e zelante esecutore dei suoi decreti, cardinale (1565), legato di Bologna e Romagna (1570), e di nuovo, nel 1580, legato in tutto lo stato pontificio, eccetto Bologna, per l'estirpazione del brigantaggio, con tali poteri da essere detto "vice-papa"; meritevole, del resto, di così alta fiducia per la rettitudine e per l'energia con cui disperse "cacos et hydras".
Gli altri figli di Bosio II si diedero alle armi. Sforza (1520-75) fu uno dei capitani più celebri di quell'età; ma ebbero fama anche Carlo (1524-1571?), che fu gran priore di Lombardia e generale delle galere di Malta e combatté nelle guerre d'Italia; Mario (1530-91), che combatté prima per i Francesi nella guerra di Siena, poi, conciliatosi con il duca di Firenze, servì lui e la Chiesa; Paolo (1535-97), partigiano fedele dell'imperatore e di Spagna, colonnello nella battaglia di Lepanto, luogotenente generale nell'esercito mandato dal papa in Ungheria contro i Turchi (1595). Sforza, Mario e Paolo si divisero tra loro nel 1555 i feudi della famiglia, pur erigendoli in fedecommesso, sicché, estintosi un ramo, succedessero gli altri. Sforza ebbe quelli di Lombardia, dove Castell'Arquato con Torchiara e Felino fu da Ottavio Farnese eretto in marchesato e Castel S. Giovanni in contea (1567), Mario ebbe la contea di Santa Fiora, Paolo il marchesato di Proceno.
Da Sforza nacque Francesco (1562-1624), il quale, col titolo di marchese di Varzi, combatté sotto Alessandro Farnese nei Paesi Bassi e, distintosi per valore, fu da Filippo II nominato capitano generale delle milizie italiane. Creato inaspettatamente cardinale da Gregorio XIII nel 1583, sacerdote nel 1614, vescovo di Albano (1618) e di Frascati (1620), recò nei nuovi uffici l'antico spirito militare e le tendenze mondane. Legato di Romagna nel 1591, represse con grande energia il brigantaggio. Ebbe parte attiva in nove conclavi; e tenne da prima per i Francesi, anche per certe aspirazioni sue al ducato di Milano, poi aderì alla Spagna. Al figlio naturale Sforzino (1593-1644) procurò il ricco matrimonio con Maria di Rodolfo Pio di Carpi e il titolo di duca di Fiano (1607), feudo che il cardinale aveva ereditato dalla madre Caterina de' Nobili, ma che vendette poi ai Ludovisi.
Delle ricchezze di Sforzino furono eredi in parte i Boncompagni, avendo Costanza (morta nel 1617), figlia di Sforza, sposato nel 1576 Giacomo Boncompagni, ch'era figlio illegittimo di Ugo, allora papa Gregorio XIII, e nel 1578 divenne duca di Sora; ma i diritti feudali erano già passati alla linea di Mario S. Federico (1548-81), nato da Mario, possedeva già dal 1575 i feudi di Segni, Valmontone e Lugnano, essendo figlio di Fulvia de' Conti e adottato dall'avo Giambattista, ultimo dell'illustre famiglia di Innocenzo III. Il figlio di lui, Alessandro (1572-1631) ebbe da Sisto V il titolo di duca di Segni (1585), raccolse per la cessione anticipata del marchese di Proceno e del cardinale Francesco (1592) i feudi antichi degli S.; sposò Eleonora Orsini, cugina di Maria de' Medici (1592). Francesca (1573-1621), figlia anch'essa di Federico, andava sposa nel 1607 ad Alessandro Pallavicini, da cui ebbe il celebre cardinale Sforza; Ersilia, sorella sua, al principe di Palestrina; Mario II di Alessandro (1594-1658), signore magnifico e autore di versi, aveva dal papa, al tempo del suo matrimonio con Renata di Lorena (1612), il titolo di duca di Onano; un fratello suo, Enrico (morto nel 1656), era tenuto a battesimo da Enrico IV di Francia, aveva da lui la naturalizzazione francese e, nel 1646, dal papa l'ufficio di generale nella legazione di Ferrara; un altro fratello, Federico (1603-76), era governatore di Cesena, vicelegato di Avignone (1637), cardinale (1645), procamerlengo (1646-50), vescovo di Rimini (1646-56) e di Tivoli (1675), protettore dei regni di Spagna e di Napoli e nei conclavi capo o membro autorevole della fazione spagnola. La famiglia S. era, in quel tempo, fra le prime di Roma e d'Italia.
Ma lo sfarzo eccessivo e i debiti avevano già costretto Alessandro a vendere nel 1615 Scansano a Cosimo II de' Medici; Mario II dovette nel 1633 cedere al granduca Ferdinando II la stessa sovranità di Santa Fiora, riavendola in feudo con titolo di conte, e nel 1634 vendere Valmontone con altre terre ai Barberini, che nel 1639 comperarono anche il ducato di Segni; a Ludovico, figliuolo suo (1618-85), che viveva in Francia col titolo di duca di Onano, la Spagna confiscò nel 1650 il marchesato di Varzi. Il matrimonio di Paolo II, fratello di Mario II e marchese di Proceno (1602-69), con Olimpia Cesi rialzò tuttavia la fortuna di questo ramo, il quale con Francesco, figliuolo suo (1643-1707), raccolse, alla morte di Ludovico, i feudi di Santa Fiora e d'Onano, e, spentosi nel 1750 il ramo di Enrico in Giovanna, figliuola d'Ascanio illegittimo suo, rimase solo rappresentante della famiglia.
Francesco non ebbe prole maschile, né l'ebbero i fratelli Massimiliano, canonico di S. Pietro (morto nel 1688), Antonio, apprezzato poeta latino (morto nel 1696), Alessandro (morto nel 1701), vicelegato di Ferrara (1690), governatore di Ascoli e poi di Ancona (1693), che, per l'energico e avveduto suo governo, lo celebrò come "parentem", e più tardi nunzio a Torino (1695-1700) e vescovo di Viterbo (1700-1701). Continuò quindi la discendenza con un altro fratello, Federico (1651-1712), che, pure amando la cultura ed essendo principe dell'Accademia degli Umoristi seppe curare assai gli interessi familiari. Egli aveva sposato fin dal 1673 Livia di Giuliano III Cesarini, la quale riuscì a farsi riconoscere come erede del padre, e dallo zio materno Giulio Savelli ebbe l'eredità della ricca famiglia romana, nella quale erano confluiti i beni dei Peretti e delle famiglie spagnole Cabrera e Bovadilla. Fu ricomprato il ducato di Segni (1695); e la contea spagnola di Cincione, già feudo dei Cabrera e dei Savelli, invano pretesa dall'irrequieto e facinoroso secondogenito di Federico e di Livia, Gian Giorgio (1678-1719), fu alla fine riconosciuta alla famiglia (1729), che la vendette poi al re di Spagna (1738) e impiegò il prezzo nell'acquisto della contea di Celano e della baronia di Pescina, rimaste dopo lunghe contese a Sisto, pronipote di Federico e di Livia, e al ramo cadetto, disceso da lui, degli Sforza Cabrera Bovadilla, estintosi nel 1816.
Il ramo primogenito, che aveva assunto il cognome di Sforza Cesarini e il titolo di duchi di Segni, continuò con Gaetano primogenito di Federico (1674-1727), con Sforza Giuseppe (1705-44), il fondatore del teatro dell'Argentina a Roma, con Filippo (1727-64) e col fratello suo Gaetano II (1728-76), prima protonotario e commissario papale a Perugia (1763), poi capitano dei cavalleggeri pontifici (1766) e maggiordomo maggiore del duca di Parma. A Francesco di Gaetano II (1773-1816) Pietro Leopoldo granduca di Toscana tolse alcuni diritti sul feudo di Santa Fiora, compensandolo con danaro e col titolo di priore di S. Miniato. Con Salvatore, suo figlio, si sarebbe spenta nel 1832 la famiglia, se la S. Rota non avesse riconosciuto quale legittimo erede un fratello uterino di lui, nato sotto il tetto coniugale. Il pittore Lorenzo Filippo Montani divenne allora il duca Lorenzo Cesarini Sforza (1807-66), il quale fu poi nominato senatore del regno, come il figliuolo Francesco (morto nel 1899) e il nipote Lorenzo II (nato nel 1868). Questi porta con altri titoli quello di duca di Segni e di Civitalavinia; il cugino di lui Guido di Bosio (nato nel 1874) quello di conte di Santa Fiora.
Ramo di Borgonovo. - Sforza Secondo (1435-1491), illegittimo di Francesco S., ebbe dal padre, all'atto del matrimonio con Antonia dal Verme (1481) il feudo di Borgonovo Val Tidone, in quel di Piacenza e, sebbene si guastasse poi col padre e fosse incarcerato come colpevole di ribellione (1461) e più tardi, passato al servizio dei Veneziani, fosse dal fratello privato del feudo, poté riaverlo, rappacificandosi con lui, e ottenervi titolo di conte (1468). E tenne poi ufficio di capitano generale delle armi ducali (1482) e di governatore di Piacenza (1484) e combatté per i duchi con varia fortuna. Ereditò la contea il nipote Alessandro (1486-1557) che ne ebbe la conferma da Luigi XII (1502) e nel 1547 si riconobbe vassallo di Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza. Estintasi la discendenza di lui nel 1597, la contea passò a un ramo collaterale con Alessandro II (morto nel 1638), capitano al seguito di Alessandro Farnese e consigliere del duca Odoardo; Ottavio, figliuolo di lui, combatté nelle guerre di Fiandra e di Lombardia; Ascanio II, altro figliuolo, fu castellano di Parma (1631), e di Piacenza (1635). Alla morte di Alessandro III (1679), la Camera ducale prese possesso del feudo, contrastandole invano i conti Sforza di Castel S. Giovanni, discendenti da Iacopetto, secondogenito di Sforza Secondo.
Ramo di Caravaggio. - Figlio illegittimo di Ludovico il Moro e di Lucrezia Crivelli fu Giampaolo (1497-1535), che servì i fratelli contro i Francesi e l'imperatore, e dal duca Francesco II fu creato marchese di Caravaggio e conte di Galliate (1532). Alla morte del duca si accingeva a domandare a Carlo V la successione, secondo il privilegio dell'imperatore Massimiliano del 1494, quando lo colse, o gli fu data la morte (1535). Da lui e da Violante Bentivoglio, figlia di Alessandro e d'Ippolita S., la nota interlocutrice nella Nobiltà delle donne del Domenichi, nacque Muzio, interlocutore anch'egli nel dialogo, capitano imperiale, morto nel 1552 di malattia contratta all'assedio di Metz. Fra i nipoti suoi, Fabrizio fu gran priore di Venezia nell'Ordine di Malta, generale delle galere dell'Ordine e dell'esercito di Spagna; Ludovico fu abate di S. Giovanni in Lamis nel regno di Napoli. Il fratello maggiore di questi, Muzio II (morto nel 1622), più che alle armi o alla politica, attese agli studî, creò nel 1594 nel suo palazzo di Milano l'Accademia degli Inquieti col motto Labor omnibus unus, compose rime sacre e profane e un trattato Della Istituzione della vergine consacrata a Dio (Venezia 1589). Giampaolo II, suo figlio, fu nominato viceré di Aragona, ma morì prima di assumere l'ufficio (1630); il fratello ed erede suo, Francesco Maria (1594-1680), fu cavaliere, priore, generale delle galere di Malta. Con Francesco II si estinse nel 1697 la linea maschile; Bianca Maria, figlia di lui, fu confermata dall'imperatore nel titolo; ma il feudo ricadde alla Camera. Con lei, sposa prima a Giovanni Guglielmo dei conti di Sinzendorf, poi a Filippo Doria, si spense nel 1717 questo ramo degli Sforza.
Bibl.: In generale sulla casa Sforza o su diversi personaggi di essa: Anonimo Veronese, Cronica 1446-88, edita da G. Soranzo, Venezia 1913; P. Giovio, S. Barbuò, ecc., Vite degli Sforzeschi, nella Bibl. storica italiana, II, Milano 1853; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, Milano 1743, passim; J. W. Imhof, Historia Italiae et Hispaniae genealogica, Norimberga 1751; N. Ratti, Della famiglia S., Roma 1795; P. Litta, Attendoli di Cotignola in Romagna, in Famiglie celebri italiane, Milano 1819; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia di Milano, nuova ediz., VI, Milano 1837, passim; G. Moroni, Dizionario di erudizione ecclesiastica, vol. LXV, Venezia 1854, p. 85 segg.; L. von Pastor, Storia dei papi, passim; C. Magenta, I Visconti e gli S. nel castello di Pavia, Pavia 1883; Inedita cronachetta degli S., in Arch. stor. per le prov. napoletane, XIX (1894), p. 718 segg.; L. Pepe, Storia della successione degli Sforzeschi negli stati di Puglia e Calabria, Bari 1900, in Doc. e monogr. per la st. della Terra di Bari, II; A. Galieti, Il castello di Civita Lavinia, nell'Arch. d. R. Soc. romana di st. patr., XXXII (1909), p. 236 segg.; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, Milano 1913-23; L. Cerri, I conti Sforza-Visconti e il feudo di Borgonovo, nell'Arch. stor. per le prov. Parmensi, n. s., XV (1915), p. 123 segg.; A. Colombo e P. Parodi, Due errori di cronologia sforzesca, in Bollett. stor. bibliogr. subalpino, XXIV (1922), p. 206 segg.; P. Parodi, Nicodemo Tranchedini da Pontremoli e le genealogie sforzesche del sec. XV, Abbiategrasso 1926; I. Imberciadori, Santafiora e i suoi statuti del 1500, in Maremma, V (1930); G. Franciosi, Gli S., Firenze 1931; C. Giulini, Curiosità di storia milanese, Milano 1933. Si vedano poi gli Indici dell'Arch. storico lombardo e, fra gli articoli ivi pubblicati, in particolare E. Motta, Morti in Milano dal 1452 al 1552, XVIII (1891), p. 241 segg.; N. Feroreli, Il ducato di Bari, XLI (1914), p. 389 segg.; A. Giulini, Di alcuni figli meno noti di Francesco I S., XLIII (1916), p. 29 segg.