SFORZA, Sforza
– Nacque nel 1520 a Castell’Azzara, nell’attuale provincia di Grosseto, da Bosio II, conte di Santa Fiora, e da Costanza Farnese, figlia del cardinale Alessandro.
Fu educato alla corte del duca di Milano Francesco II. Quest’ultimo, come il padre, morì nel 1535, lasciandolo senza altra protezione che quella del nonno, nel frattempo divenuto pontefice con il nome di Paolo III.
Nonostante ripetute pressioni perché abbracciasse la vita ecclesiastica, Sforza si mantenne costante nella predilezione per la vita delle armi. Giovanissimo, nel 1536, in occasione delle guerra divampata nel Nord Italia contro i francesi, entrò al servizio di Carlo V d’Asburgo. Dopo una non facile malattia, a metà novembre dello stesso anno seguì l’imperatore in Spagna e poi all’impresa crociata contro Algeri, nell’ottobre del 1541. A questa data, egli aveva altresì preso contatto con gli ordinamenti militari pontifici, partecipando alla spedizione voluta da Paolo III contro Perugia, nel 1540, e rivestendo nello stesso anno l’incarico di governatore dell’armi di Parma.
Tornò quindi al servizio di Carlo V, servendo come capitano di cavalleria contro i francesi nelle Fiandre tra il 1543 e il 1544. Ottenne il primo comando superiore in occasione di un nuovo conflitto nel Nord Italia, come comandante di 1500 fanti e 200 cavalleggeri. Nello stesso 1544, contribuì con il movimento dei suoi uomini alla sconfitta di Pietro Strozzi presso Serravalle Scrivia.
Tra il 1546 e il 1547, fu uno dei colonnelli della spedizione pontificia in Germania, inviata a sostegno di Carlo V e contro la lega protestante di Smalcalda. Si distinse per il suo valore nella battaglia di Ingolstadt, nella presa di Donauwörth e a Ulma. Fu anche ferito. Rientrato in Italia, nel settembre del 1547 contribuì a mantenere il controllo interno di Parma, dopo l’omicidio del duca Pier Luigi Farnese, suo zio materno. Nel febbraio dell’anno seguente, fu nominato generale della cavalleria dello Stato della Chiesa, sostituendo Giovan Battista Savelli. Inviato a Perugia per sorvegliare i confini con il Ducato di Firenze, ebbe «tutta l’autorità et potestà delle armi, di quella città, fortezza et contado, et di tutta quella provincia et legione» (Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 5040, c. 5v). Fece addestrare le milizie non professionali (dette anche battaglie) e soprintese alle periodiche ispezioni alla cavalleria di stanza nelle diverse province dello Stato della Chiesa.
Morto Paolo III, dapprima – forse in ragione dei pessimi rapporti sempre avuti con Ferrante Gonzaga, responsabile della morte di Pier Luigi Farnese – sostenne le pretese di Ottavio Farnese su Parma. Poi rientrò al servizio dell’imperatore. Nel 1552, in occasione della guerra di Siena, ebbe l’alto grado di generale della cavalleria italiana e spagnola. Anche durante questo conflitto si fece notare per le sue gesta coraggiose, al limite della temerarietà. Presa la città toscana, fu incaricato di comandarne il presidio. Non si fermò molto tempo in questa missione. Tra 1555 e 1556, infatti, riprese il servizio attivo, combattendo i ribelli senesi e conquistando le ultime piazze in loro possesso (Sartiano, Cetona, Pienza, Chiusi). Il duca Cosimo de’ Medici lo ricompensò infeudandolo della località di Rocca Albenga, nel Senese.
In occasione della guerra di Paolo IV contro gli spagnoli del 1556-57, Sforza non mutò il proprio indirizzo politico filoasburgico. Forte della sua esperienza come ispettore delle fortificazioni del Regno di Napoli, difese con decisione Civitella del Tronto, assediata dai francesi, alleati del papa. A guerra conclusa, il re di Spagna Filippo II lo ricompensò con una pensione di 2000 scudi all’anno e con l’onorificenza del Toson d’oro.
Gli anni del pontificato di Pio IV coincisero con una fase di relativa calma. Nel marzo del 1565, in occasione del torneo fatto nel cortile del Belvedere in Vaticano per le nozze del conte Annibale Altemps con Ortensia Borromeo, Sforza ricoprì l’incarico di maestro di campo e, in questa veste, si occupò di garantire la sicurezza della competizione. Sempre in quell’anno, per conto di Cosimo de’ Medici, trattò in Germania del matrimonio fra Giovanna d’Austria e Francesco Maria, figlio del granduca.
Con l’elezione di Pio V, ebbe ulteriori avanzamenti di carriera: l’11 dicembre 1568, infatti, gli fu dato l’incarico di generale delle armi di Avignone, cioè di supremo comandante della città dei papi e del Contado Venassino. Tuttavia, non ebbe mai modo di esercitarlo. Infatti, nei primi mesi del 1569 gli fu affidato il comando della spedizione pontificia inviata in Francia per combattere gli ugonotti, in quella che è nota come la terza guerra civile francese.
Le istruzioni consegnategli nell’occasione dalla Segreteria pontificia, datate 9 marzo 1569, gli davano disposizioni di esortare il re di Francia, Carlo IX, alla guerra contro gli «eretici», di vigilare affinché non fosse concluso nessun accordo con gli ugonotti, di licenziarsi immediatamente, riconducendo l’esercito pontificio in Italia, in caso ciò si fosse verificato. Addirittura, Sforza aveva ordini di passare in quel caso nelle Fiandre con il duca d’Alba (Fernando Álvarez de Toledo), per combattere i ribelli protestanti della Corona di Spagna. Papa Ghislieri voleva insomma lo scontro, anzi una prova esemplare delle sue armate, assistite da membri della Compagnia di Gesù. Unitosi al grosso francese regio dopo la metà di giugno, Sforza risultò all’altezza delle aspettative: si distinse nella battaglia di La Roche-l’Abeille, il 25 giugno, difese efficacemente Poitiers nella stessa estate e partecipò alla battaglia di Moncontour il 3 ottobre 1569. In questa giornata, le sue truppe furono responsabili della cattura di molti stendardi ugonotti, appesi come trofei in S. Giovanni in Laterano, a Roma, fino al 1808.
Rifiutate le offerte di impiego presso il re di Francia Carlo IX, asserendo di aver «per padrone il re Filippo [II] et il Papa» (c. 170r), rientrò a Roma e si propose come nuovo capitano generale di S. Chiesa. Pio V, pur apprezzando i suoi meriti, ignorò tali sue aspettative. Sforza reagì ritirandosi a Castell’Arquato: infatti, «non comportava più che stesse così in Roma» (c. 179v). Partecipò, quindi, alla battaglia di Lepanto, ma sulla galera di don Giovanni d’Austria, avendo assunto il grado di generale della fanteria italiana arruolata dagli spagnoli. Circolarono voci secondo le quali aveva sconsigliato lo scontro e dovette giustificarsi presso papa Ghislieri.
Aveva sposato nel 1540 in prime nozze Luigia Pallavicino e in seconde nel 1553 Caterina De’ Nobili, pronipote di Giulio III. Da quest’ultima ebbe quattro figli, dei quali arrivarono a età matura soltanto due: Francesco, poi cardinale, e Costanza, andata in sposa al figlio di papa Gregorio XIII, Giacomo Boncompagni. Con tutti i suoi beni aveva istituito una primogenitura perpetua.
Passò gli ultimi anni di vita nei suoi feudi settentrionali, fra Castel San Giovanni e Castell’Arquato, dove morì il 21 ottobre 1575. È sepolto nella locale chiesa di S. Pietro, nel sepolcro realizzato l’anno successivo da Giovanni Battista Barbieri.
Fonti e Bibl.: Biografie manoscritte sono conservate nella Biblioteca apostolica Vaticana, Boncompagni-Ludovisi, f. 13, cc. 73r-87v e Barb. lat. 5040, passim.
N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 253-278; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, 1559-1644, Roma 2013, ad ind.; A. Boltanski, Forger le ‘soldat chrétien’. L’encadrement catholique des troupes pontificales et royales en France en 1568-1569, in Revue historique, 2014, n. 669, pp. 51-85; G. Civale, «Non nobis Domine». Religione, disciplina e violenza nel corpo di spedizione pontificio nella Francia della terza guerra di religione, in Battaglie. L’evento, l’individuo, la memoria, a cura di A. Buono - G. Civale, Palermo 2014, pp. 141-183, passim.