Severino Boezio
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Severino Boezio è uno degli intellettuali più rappresentativi degli anni a cavallo tra V e VI secolo. Egli si fa sostenitore di un preciso progetto culturale (rafforzare il sapere dei Latini) di ampio respiro. Nello stesso tempo la sua opera affronta temi legati alla dottrina cristiana e alla condizione dell’uomo, lasciando un’eredità di enorme portata agli intellettuali dei secoli successivi.
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio è un uomo politico di primo piano nonché un intellettuale la cui attività lascia una profonda impronta nei secoli successivi. La sua vicenda biografica lo consegna alla storia come un romano perseguitato dai barbari, le sue opere lo consacrano come uno dei fondatori del pensiero medievale.
La carriera politica di Boezio (console nel 510 e maestro di palazzo nel 523) si svolge al servizio di Teodorico, re degli Ostrogoti, che all’epoca dominano l’Italia. La sua figura e il suo ruolo esprimono il tentativo di conciliare le popolazioni romana e ostrogota, divise da rivalità, religione e provenienza. L’aristocrazia romana, tuttavia, non vede di buon occhio la presenza e il ruolo degli Ostrogoti in Italia e rivolge le sue simpatie al pontefice e all’imperatore romano d’Oriente. Quando i rapporti tra i Goti e l’impero romano d’Oriente divengono più tesi ed è scoperta la corrispondenza tra il senatore Albino e l’imperatore, anche la fortuna di Boezio viene meno. Per i suoi legami col senato romano viene accusato di lesa maestà e condannato a morte.
Boezio appartiene a una famiglia e a un circolo culturale legato alla famiglia degli Anici e alla figura di Simmaco. In questo ambiente è vivo il ricordo della grandezza di Roma ed è avvertita la necessità di incrementare e rinsaldare la cultura latina con la composizione di opere nuove e la traduzione di testi antichi. Boezio, incarnando questo orientamento, concepisce l’impegno politico e l’impegno culturale come due aspetti di una medesima missione, la rei publicae cura.
Grazie anche alla sua attività politica, Boezio è un intellettuale profondamente consapevole del momento storico in cui vive ed elabora un progetto culturale proprio in funzione di esso. Di fronte alla decadenza del sapere che va di pari passo con l’erosione dell’impero d’Occidente, Boezio si propone di rendere disponibili al mondo latino le opere dei maggiori pensatori del mondo greco, Aristotele e Platone, e il sapere scientifico elaborato nei campi dell’astronomia, della musica, della matematica. Egli concepisce l’idea di un grandioso progetto di traduzione delle opere dei due grandi filosofi, accompagnate da commenti che le rendano comprensibili ai lettori, ed è sorretto dal desiderio di mostrare la compatibilità tra le loro filosofie.
“Io tradurrò in latino tutte le opere di Aristotele che mi giungeranno tra le mani e ne farò dei commenti in latino, e tradurrò con ordine quel che Aristotele ha scritto con la sottigliezza della logica, la serietà della scienza morale e l’acume della verità naturale e traducendo tutti i dialoghi di Platone, anche in questo caso redigerò dei commenti in latino. E fatto ciò non mi tratterrò dal mostrare una certa concordia tra le posizioni di Aristotele e quelle di Platone […]” (In librum Aristotelis de interpretatione libri duo, “Patrologia Latina” vol. 64, 433C-D, trad. Claudio Fiocchi). Non è improbabile che già all’epoca le opere di Aristotele siano difficili da reperire e ciò dà un particolare valore di recupero e conservazione anche materiale allo sforzo di Boezio.
Accanto a questa attività, Boezio ne sviluppa una più strettamente teorica, scrivendo una serie di trattati e opuscoli su materie scientifiche (Il De institutione arithmetica e il De institutione musica insieme a un trattato sulla geometria e a uno sull’astronomia andati perduti) e teologiche (su cui si tornerà più avanti), che completano il profilo di un intellettuale dagli interessi variegati.
A dispetto dell’ampiezza del progetto, le traduzioni e i commenti realizzati da Boezio sono pochi (probabilmente risalenti agli anni 515-516). Di Aristotele traduce l’Interpretazione, le Categorie, gli Analitici primi e secondi (la traduzione di questi ultimi è andata perduta), i Topici e le Confutazioni sofistiche. Traduce inoltre l’Isagoge di Porfirio, della quale redige un commento in cinque libri. Un precedente commento è stato condotto sulla traduzione di Isagoge fatta da Mario Vittorino, che però non deve essergli parsa soddisfacente. Anche le altre traduzioni sono accompagnate da commenti: due all’Isagoge, due all’Interpretazione, uno ai Topici– e anche ai Topici di Cicerone) – e alcune glosse agli Analitici primi. Nel caso delle Categorie concepisce accanto al primo, destinato agli inesperti, un secondo commento, di cui non sappiamo nulla, più avanzato del primo. È la spia che il progetto di Boezio ha il valore pedagogico di diffusione e insegnamento ai Latini del sapere greco. A ciò si accorda anche lo stile della traduzione. All’eleganza Boezio preferisce infatti la precisione, traducendo in modo letterale, cercando di seguire l’ordine delle parole presente nell’originale greco e di rendere persino le particelle.
Possiamo chiederci perché Boezio abbia scelto di partire da queste opere e non da altre. Accanto a eventuali supposizioni legate all’effettiva reperibilità dei testi di Aristotele e Platone, dobbiamo prendere in considerazione le prassi e i programmi di insegnamento comuni all’epoca. La logica di Aristotele ha infatti una sua collocazione all’interno di un percorso di istruzione neoplatonico, stabilito da Porfirio. Il commento delle Categorie di Aristotele è pratica diffusa, condivisa tra gli altri da Porfirio stesso, Giamblico e Ammonio. Allo stesso modo, la conciliazione tra la filosofia di Aristotele e quella di Platone è un ideale sentito ancora da Porfirio e da Simplicio. Perciò Boezio si inserisce in un modo di procedere comune nella sua epoca. La scelta di Boezio, infine, riflette l’ideale di un percorso formativo, nel quale occorre procedere dai temi inferiori a quelli superiori. Così la logica precede la metafisica (allo stesso modo in cui la grammatica precede la logica).
A questa considerazione si aggiunga il fatto che sulle fonti dei suoi commentari resta viva la discussione tra gli studiosi. È verosimile che Boezio possa attingere a commentari già esistenti, ma non è possibile stabilire con precisione quali siano e in che misura Boezio ne sia dipendente. Nelle sue opere sembrano trovarsi tracce di altri commentari di Porfirio, Giamblico e loro allievi. L’originalità del suo lavoro di commentatore, quindi, non è per nulla chiara, sebbene non se ne possa negare il valore nello sviluppo del pensiero logico successivo.
A partire dalla lettura dei testi aristotelici, filtrati attraverso i commentari neoplatonici, Boezio elabora alcune delle dottrine più significative della sua filosofia. Possiamo qui concentrarci su due delle riflessioni più importanti di Boezio, riguardanti la natura degli universali e la discussione sui futuri contingenti. Oltre che intriganti per il loro contenuto filosofico, entrambe sono in grado di mostrare il modo di procedere di Boezio a partire dai testi aristotelici.
La discussione sugli universali mostra un Boezio di ispirazione molto più aristotelica che platonica. La riflessione sugli universali, infatti, riguarda la natura di generi e specie (animale, uomo, cavallo ecc.) e pone l’alternativa se essi siano delle realtà o dei concetti. Boezio esclude dalla sua analisi la posizione platonica, perché non prende in considerazione l’esistenza di enti ideali, modelli delle cose e propende per la natura concettuale degli universali. Tuttavia, come ha mostrato John Marenbon, la cosa è piuttosto complessa (J. Marenbon, Boethius, Oxford University Press, 2003, pp. 30-31). Boezio parla infatti degli universali non come concetti costruiti dalla mente, ma come qualcosa di ricavato, di astratto dai singoli individui. Egli sembrerebbe allora ricadere in una posizione realista. Perciò Alain De Libera (A. De Libera, L’art des généralités. Théories de l’abstraction, Aubier, 1999, pp. 244-249) ha connesso questa discussione ad alcune parti dell’ultima opera di Boezio, La consolazione della filosofia, e i concetti universali apparirebbero allora una sorta di costrutto della mente ma con una capacità di spiegare la realtà maggiore di quella dei sensi, che hanno una portata conoscitiva limitata. Da questo difficile percorso interpretativo si ricavano due considerazioni: rispetto al suo tempo, Boezio si rivela un commentatore pronto a muoversi tra molte sfumature interpretative; rispetto al Medioevo, si dimostra una fonte imprescindibile per ogni riflessione sull’argomento.
Un altro tema di logica su cui Boezio si esprime in modo interessante è costituito dai futuri contingenti. Anche in questo caso la trattazione parte da un testo, il De interpretatione di Aristotele e da una questione interpretativa: possiamo applicare anche alle frasi concernenti il futuro il principio di bivalenza applicato alle altre proposizioni, secondo il quale esse sono o vere o false? Boezio interpreta la posizione di Aristotele e conclude che secondo lo Stagirita queste sono vere o false indefinite (in modo indefinito). Si apre a questo punto il campo delle interpretazioni rispetto alla posizione di Boezio. Probabilmente Boezio intende dire che esse saranno vere o false, ma non si può dire ora che cosa saranno, perché verrebbe meno il loro carattere contingente e si introdurrebbe la necessità. Anche in questo caso, perciò, Boezio si comporta da commentatore, salvo il fatto che la sua posizione, o le interpretazioni di essa, possono essere il punto di partenza o di appoggio per le riflessioni di altri autori.
Il ruolo di traduttore e commentatore di Boezio non deve oscurare l’importanza delle altre opere del filosofo romano. Tra queste vi sono senza dubbio alcuni testi “teologici”. Le questioni affrontate da Boezio in tali opere riflettono la sua formazione e il suo interesse per la logica, perché il loro scopo consiste in una serie di chiarimenti concettuali.
Presi nel loro complesso, questi testi suscitano nel lettore una domanda: come si concilia il background neoplatonico e aristotelico (relativamente alla logica) di Boezio con temi che hanno esplicitamente un punto di partenza non razionale, ossia la rivelazione e la fede? Una domanda, beninteso, che vale per tutti gli autori cristiani, ma che nel caso di un pensatore cresciuto in un contesto nel quale l’adesione al cristianesimo non era scontata si pone con ancora maggior forza. Possiamo rispondere che per Boezio si tratta di applicare una logica rigorosa alle verità di fede. Definizioni chiare, argomentazioni stringenti, uso di nozioni aristoteliche e neoplatoniche: tutto avviene non contro la fede cristiana, ma al suo interno, per meglio chiarirla e contestare le posizioni eretiche. Facciamo qualche rapido esempio. Per mostrare la differenza tra la bontà di Dio e quella delle cose create da Dio, Boezio distingue tra esse (“essere”) e id quod est (“ciò che è”), sostenendo che Dio conferisce il primo alle cose, dando loro esistenza e bontà, mentre egli stesso è sia esse che id quod est. Inoltre risolve il mistero della Trinità, affrontandolo sul piano della relazione (categoria aristotelica) e rilevando come i relati (Padre, Figlio e Spirito Santo) siano distinti solo in quanto soggetti della relazione, e non nella sostanza. Infine, per contestare le tesi eretiche a proposito della natura umana o divina di Cristo, ridefinisce i concetti di natura e di persona, selezionando i significati corretti tra quelli possibili.
Che cosa resta del Boezio commentatore e traduttore nella Consolazione della filosofia, la sua opera più famosa? La Consolazione, scritta in carcere nel periodo finale della sua vita, mette in scena un dialogo tra Filosofia e Boezio.
Il filo rosso che attraversa le pagine di quest’opera è la comprensione degli eventi umani, da quelli personali di Boezio al piano che regge la storia, al Dio che conosce questo stesso piano. A partire da tale asse portante si diramano mille domande sulle motivazioni dell’agire umano, sulla natura del male, la libertà dell’uomo e la conoscenza di Dio. Ogni libro in cui è divisa la Consolazione è dedicato prevalentemente a un argomento: il primo alle sventurate vicende di Boezio; il secondo alla fortuna e alla felicità (che sta dentro di noi e non nei beni materiali, nella fama e nel potere); il terzo al sommo bene (che è Dio, inteso neoplatonicamente come pienezza di essere); il quarto al male; il quinto alla prescienza di Dio e alla libertà (conciliabili perché la conoscenza di Dio non si colloca nel nostro tempo, ma nell’eternità).
La Consolazione è un’opera matura, di una qualità letteraria decisamente superiore a quella delle altre opere di Boezio. È pensata in un momento drammatico che dà alla filosofia una funzione consolatoria perché capace di svelare gli enigmi del mondo. Boezio rivela l’esistenza di un piano provvidenziale che regge le sorti del mondo e che non è il fato degli antichi, ma un progetto razionale; afferma anche la libertà dell’uomo e la natura buona del creato che ha origine da un Dio che è in sé somma bontà.
Giunto alla fine della sua vita, Boezio si rivela sia un intellettuale del mondo tardo antico, che a ogni pagina è in grado di riproporre concetti neoplatonici o stoici, sia un cristiano, che da questi concetti cerca di ricavare l’ossatura filosofica della propria fede.
Ce n’è abbastanza perché i secoli successivi vedano in lui un punto di riferimento insostituibile.
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio
De philosophiae consolatione, Libro I, 1 Mentre tra me in silenzio consideravo queste cose, e mettevo per iscritto il mio lamento pieno di lacrime, mi sembrò che si curvasse sul mio capo una donna dal viso quanto mai venerando, dagli occhi sfolgoranti e penetranti oltre la comune capacità umana, dal vivo incarnato e dall’inesausto vigore […], dalla statura difficile da valutare. Infatti ora si riduceva alla normale misura degli uomini, ed ora sembrava toccare il cielo con la sommità del capo; quando poi lo sollevava ancora più in alto, penetrava lo stesso cielo e scompariva agli sguardi di coloro che la osservavano.
Boezio, La consolazione della filosofia, a cura di L. Obertello, Milano, Rusconi, 1996