SETTENARIO
Verso di sette sillabe che oltre l'accento fisso sulla 6ª, ne ha un altro in una delle prime quattro, donde la varietà di armonie che offre a chi sappia adoperarlo. È uno dei più antichi versi della poesia romanza, molto usato nella provenzale e nella francese. Dante (De vulg. el., II, v) lo considerò, per importanza, il secondo dopo l'endecasillabo (maximum in celebritate). Fu usato da solo e misto con quinarî ed endecasillabi, sdrucciolo, piano, tronco, in canzoni, ballate e anche in certe forme del sonetto, già nei primi secoli della letteratura italiana, e ha continuato a dominare nella lirica sino ai tempi moderni.
Fin dal sec. XIII abbiamo anche il doppio settenario, quello che i Francesi chiamano alessandrino. Fu usato in lasse o in strofe tetrastiche o distiche da un gruppo di rimatori dell'Italia settentrionale (Uguccione da Lodi, Bonvesin da la Riva, ecc.), e, misto con endecasillabi, da Cielo d'Alcamo nel famoso Contrasto. Nel secolo XVIII lo introdusse nella drammatica Pier Iacopo Martello, da cui ebbe il nome che oggi ha comunemente, usato nelle forme minori della drammatica, farse, prologhi e commediole in un atto. Ma vive pure nell'alta lirica, per es., del Carducci e del Graf.
Per il settenario classico (versus quadratus), v. senario.