SETTE SAPIENTI (o Savî o Saggi)
Il primo elenco dei "sette saggi" (οἱ ἑπτὰ σοϕοί, secondo la designazione più frequente) che s'incontri nella letteratura antica è quello dato da Platone nel Protagora (343 A), che annovera come tali Talete di Mileto, Pittaco di Minene, Biante di Priene, Solone d'Atene, Cleobulo di Lindo, Misone Cheneo e Chilone di Lacedemone. E molti elenchi attestati nella letteratura posteriore divergono spesso da questo, ma soprattutto in quanto il nome di Misone manca ed è variamente sostituito, mentre gli altri sei nomi restano per lo più immuati. La sostituzione più frequente è quella di Periandro tiranno di Corinto: la serie Talete, Solone, Periandro, Cleobulo, Chilone, Biante, Pittaco risale secondo Stobeo a Demetrio di Falero (e forse già ad Aristotele), ed è quella più diffusa. Ma attraverso il posto lasciato libero da Misone entrano nella serie, in altre fonti, moltissimi nomi (Anacarsi, Acusilao, Epimenide, Leofanto, Ferecide, Aristodemo, Pitagora, Laso, Anassagora, Panfilo, Pisistrato, Orfeo, Lino, Epicarmo, Platone, Titano, Alcmeone, forse anche Alceo, Simonide, Mosè, Zoroastro): com'è evidente, ogni età o ambiente modifica in qualche modo la serie a seconda delle sue preferenze ideali o politiche. Queste modificazioni conducono spesso a un accrescimento del numero dei "saggi" (Ermippo, p. es., ne elencava già diciassette): ma che il numero di sette fosse quello originario è assai probabile, dato il valore sacrale che tale cifra possedeva in genere, e in particolare nel culto di Apollo Elio, padre di sette figli e dio di quella sapienza religiosa delfica a cui la stessa tradizione dei "sette saggi" sembra ricollegarsi. Quanto alla sua età, questa tradizione non è specificamente attestata prima del sec. IV, ma sembra tuttavia presupposta da accenni di Erodoto, Pindaro e persino di Eraclito. Data, poi, la molteplicità dei "saggi", la tradizione era naturalmente portata a escogitare loro incontri, o gare, da cui risultasse la superiorità dell'uno o dell'altro: donde l'idea di loro "simposî", nata quando entrò nell'uso tale tipo letterario e ancora attestata dal Convivium septem sapientium superstite fra gli scritti di Plutarco, e quella di una ἀγών, di una "gara", variamente riferita dalle fonti (motivo comune è quello di un tripode, opera di Efesto, che l'oracolo delfico assegna al più saggio dei Greci, e che alcuni dei sette sapienti si rimandano dall'uno all'altro finché vien dedicato ad Apollo, come più sapiente fra tutti).
Ai sette saggi è attribuita, dalla tradizione, un'attività letteraria: ma è assai difficile sostenere che tale attribuzione abbia fondamento storico (salvo, naturalmente, il caso di Solone, e di alcuni tra quelli intervenuti in un secondo tempo nella serie). Probabile invece è che almeno ad alcuni di essi (il gruppo più antico sembra in questo senso costituito da Chilone, Talete, Solone, Biante, Pittaco) risalgano molte delle "sentenze" o "apoftegmi" che la tradizione ha conservato in gran varietà di redazioni, e che, nate almeno in parte in contatto con l'ambiente della religiosità delfica, esprimono in forma spesso lapidaria quei comandamenti di saggezza, di misura, di accortezza pratica, che il Greco arcaico avvertiva o come espressione del suo stesso modo di sentire la vita o come norma necessaria per disciplinarlo. Nella gran folla di questi apoftegmi sia qui citato, come più illustre fra tutti, quel γρῶϑι σεαυτον (nosce te ipsum, "conosci te stesso"), che, inciso nel frontone del tempio d'Apollo a Delfi, esortava al rìconoscimento della propria misura mortale e alla conseguente modestia e moderazione, e che poi, interpretato da Socrate nel senso dell'avvertimento filosofico della propria ignoranza, si trasformò, attraverso Platone, nell'invito alla considerazione speculativa, onde l'animo rifletteva su sé medesimo. Era infatti naturale che il patrimonio teorico della più antica saggezza greca, impersonato nelle figure semileggendarie dei "sette saggi", fosse poi variamente interpretato a seconda degl'interessi mentali delle diverse età (così, p. es., cinici, scettici, e anche cristiani, videro in essi loro precursori): e nelle loro stesse figure il lato della contemplazione teorica e quello dell'attività pratica fu variamente messo in luce, a seconda che l'ideale della vita contemplativa o quello della vita attiva ebbe prevalenza nel posteriore pensiero filosofico o dossografico.
Bibl.: F. E. Bohren, De septem sapientibus, Diss., Bonn 1867; F. Lortzing, in Philologus, XLIII (1884), pp. 219-33; G. Brunco, in Acta sem. Erlang., 1883, III, pp. 299-397; E. Wölfflin, in Sitzungsber. d. Münch. Akad., 1886, pp. 287-298; W. Studemund, in Wochenschr. f. klass. Philol., III (1886), coll. 1584-1596; H. Wulf, De fabellis cum collegii septem sapientium memoria coniunctis, in Dissert. philol. Halenses, XIII (1897), pp. 161-216; J. Micolajczack, De septem sapientium fabulis, in Breslauer philolog. Abhandl., IX (1902), p. i segg.; Barkowski, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II A, Stoccarda 1921, coll. 2242-64 (con la bibliografia ulteriore). Per l'influsso del conflitto fra gl'ideali della vita contemplativa e della vita attiva nella raffigurazione dossografica dei sette saggi, v. W. Jaeger, Über Ursprung und Kreislauf des philosophischen Lebensideals, in Sitzungsber. der Berl. Akademie (Phil.-hist. Klasse), 1928, pp. 390-421 (e in traduz. italiana in appendice all'Aristotele, Firenze [1935], pp. 571, 603 segg.). Cfr. inoltre Zeller-Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, I, i, Firenze [1932], pp. 253-57.