Settantasette
e giovanile sviluppatosi in Italia nel 1977; fu caratterizzato da un accentuato radicalismo negli atteggiamenti politici e culturali, a cui affiancava una percezione esasperata della specificità della condizione giovanile, contrassegnata dalla precarietà e dall’assenza di «garanzie», e un senso di estraneità nei confronti delle istituzioni e delle forze politiche e sindacali. Fin dal 1973, in partic. dopo lo scioglimento di Potere operaio e di altri gruppi minori della sinistra extraparlamentare, in varie zone del Paese si erano formati collettivi autonomi di lavoratori e di studenti che criticavano le principali formazioni di sinistra, ritenute in via di istituzionalizzazione, rifiutavano ogni rapporto con i sindacati e i partiti di sinistra, respingevano la logica della mediazione politica e sostenevano il metodo dell’«azione diretta» e della «pratica dell’obiettivo» (autoriduzione di prezzi, tariffe, affitti, occupazione di case o locali pubblici, «espropri»). Questi collettivi, che, anche per ragioni ideologiche, non si unirono mai in un’organizzazione nazionale centralizzata, conobbero una fase di espansione e diffusione dal 1975 e acquistarono un peso notevole nel movimento del 1977, spingendone alcuni settori verso una logica di scontro frontale con lo Stato e di contrapposizione violenta alle forze della sinistra storica; in partic. le città di Torino, Bologna e Roma furono teatro nel 1977 di violenti scontri di piazza. Nella grave situazione determinata dal rapimento e assassinio di A. Moro (1978), alcuni esponenti del movimento furono coinvolti nel fenomeno del terrorismo e si unirono alla lotta armata. Negli anni successivi l’eredità del movimento fu raccolta, in parte, sia da un’area di opinione variamente diffusa e articolata (riviste, radio libere, associazioni culturali e professionali) sia da esperienze di aggregazione giovanile sul piano territoriale, come i «centri sociali», che si svilupparono in alcuni quartieri di grandi città.