Poeta latino (n. intorno al 47 a. C. - m. intorno al 14 a. C.), uno dei maggiori elegiaci dell'età augustea. Protetto di Mecenate, fu uno dei maggiori poeti elegiaci dell'età augustea, ammiratore di Virgilio e amico di Ovidio. Di lui ci sono giunti tutti i 4 libri di elegie pubblicati tra il 28 e il 14 a.C., ispirati agli elegiaci del primo ellenismo. Particolarmente significativo è il primo libro, di carattere amoroso, dedicato alla figura dell'amata Cinzia.
Sono ignoti la data e il luogo di nascita, nell'attuale Umbria, come testimonia egli stesso. Nella fanciullezza dovette patire gli sconvolgimenti portati in Umbria prima dalle confische delle terre per la distribuzione ai veterani, poi dalla guerra di Perugia, nella quale ebbe parenti morti ed esiliati, e rovinati i possedimenti. Presto orfano di padre, si recò a Roma dove non poté per la povertà imparare l'arte retorica; del resto, già portato alla poesia, non volle seguire la carriera forense. Entrò nei circoli mondani e letterari, e fu tra i poeti protetti da Mecenate, cui lo legava la comune origine etrusca. Conobbe Virgilio per cui professò la più alta ammirazione (salutò la composizione dell'Eneide con la lode [II 34, 61]: nescio quid maius nascitur Iliade); invece non fa cenno a Orazio, che non apprezzava l'intento di P. di far rivivere le forme dell'elegia erotica ellenistica. A Roma, dopo un primo amore per una schiava, Licinna, conobbe una donna (che egli chiama Cinzia, ma il cui vero nome era probabilmente Hostia), il cui amore divenne il centro della sua vita e della sua ispirazione poetica. Tardi si strinse in affettuosa amicizia con Ovidio che, più che di ogni altro elegiaco latino, sentì l'influsso della poesia e della poetica di Properzio. Di lui ci sono giunti tutti i quattro libri di elegie che andò pubblicando dal 28 al 14 a. C.; può dirsi fallito il tentativo, fatto nel sec. 19º, di dividere in due il secondo libro (assai lungo, 34 elegie).
Salito già in fama nel suo tempo, P. è una delle personalità più forti e originali tra i poeti della letteratura latina. Se Orazio voleva nei suoi giambi e nella lirica rievocare la lirica monodica classica greca, Archiloco, Saffo, Alceo, P. si propose a modello gli elegiaci del primo ellenismo, Filita, Ermesianatte, Callimaco. Di questi egli subì l'influsso non solo nell'arte di comporre l'elegia, ma soprattutto nel proposito di porre al centro del mondo poetico la vicenda personale del poeta e del suo amore, inteso questo come passione esclusiva e dominante. Per il carattere esclusivamente e audacemente erotico del primo libro delle sue elegie, P. si distinse nettamente dagli altri poeti del circolo di Mecenate; ma nel suo erotismo è una vena amara di dolorosi sentimenti nei quali il ricordo delle sofferenze giovanili e la coscienza della passione presente si mescolano col senso della morte. Da questa vena lirica nasce anche la poesia delle numerose elegie di contenuto «romano», scritte certo anche per compiacere al clima augusteo. L'intenso e mesto amore del passato (vicino e forse anche ispirato a quello di Virgilio) dà vita poetica anche a questa produzione, nella quale la narrazione degli antichi fatti di Roma è trattata con la tecnica dell'epillio alessandrino. Del resto P. non abbandona mai il pensiero di Cinzia, neppure dopo la morte di questa, che gli ispira una delle elegie più belle; e nel ricordo delle antiche eroine ritrova la propria fondamentale vocazione di poeta d'amore. La sua fama di elegiaco, anche se superata da quella di Tibullo, non venne mai meno.