sestina
La sestina, detta anche sestina lirica per distinguerla dalla sestina narrativa, o sesta rima (➔ ottava rima), è una forma lirica fissa riconducibile al genere della ➔ canzone (Beltrami 20024: 264-268; 273-274). Merita di essere trattata a parte perché, nell’adeguarsi alle norme compositive della canzone antica, obbedisce a regole vieppiù restrittive, che ne fanno il genere lirico tecnicamente più complesso della tradizione italiana. Introdotta da ➔ Dante (“Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”, Rime CI; cfr. Baldelli 1976) sulla scorta del trovatore provenzale Arnaut Daniel, fu assai praticata da ➔ Petrarca, che ne compose e raccolse nove nei Rerum vulgarium fragmenta (XXII, XXX, LXVI, LXXX, CXXXXII, CCXIV, CCXXXVII, CCXXXIX, CCCXXXII). La presenza non occasionale della sestina nel Canzoniere ne fece un metro lirico imitato, in particolare dai petrarchisti, nel Quattro-Cinquecento (se ne incontrano anche in ➔ Leon Battista Alberti, nell’Arcadia di Iacopo Sannazaro, negli Asolani di ➔ Pietro Bembo).
La sestina si compone di sei stanze di sei endecasillabi (➔ endecasillabo): le sei parole-rima (e non semplici rime: ➔ rima) della prima stanza ritornano sempre e obbligatoriamente nelle cinque stanze successive secondo un principio di rotazione che prende il nome di retrogradatio cruciata (o retrogradazione incrociata). Più precisamente, le sei parole-rima della prima stanza ricompaiono nella seconda stanza secondo questo schema: ultima-prima, penultima-seconda, terzultima-terza e così via fino alla sesta stanza, in maniera da formare uno schema rimico (ma si ricordi che devono essere riprese, con evidente sfoggio virtuosistico, non solo le rime, ma le intere parole-rima) complessivo così costituito: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.
Alle sei stanze si aggiunge un congedo di tre endecasillabi, nei quali in rima sono ancora tre parole-rima delle stanze precedenti, mentre all’interno di verso figurano le tre rimanenti; lo schema di Arnaut Daniel prevede che le tre rime del congedo siano le ultime tre dell’ultima stanza: ECA, con le tre rime interne riprese, sempre dalla sesta, in ordine diretto: BDF, uso non rispettato da Dante e da Petrarca. Tra quanti hanno indagato le origini della sestina (in particolare Roncaglia 1981), ha segnalato una circostanza di grande interesse Canettieri (1993), il quale ha osservato come le corrispondenze 1-6, 2-5, 3-4 siano quelle delle facce opposte dei dadi da gioco.
Il modello dantesco dell’unica sestina delle Rime (la già citata “Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”) è quello della canzone di Arnaut Daniel “Lo ferm voler qu’el cor m’intra”, nella quale (unica variante significativa rispetto alla rielaborazione dantesca) il primo verso di ciascuna strofe è un heptasyllabe (equivalente del nostro ottonario; ➔ versificazione), mentre gli altri cinque sono décasyllabes (equivalenti del nostro ➔ endecasillabo). Per il resto, si tratta di coblas estrampas, cioè di stanze i cui versi non rimano tra loro, ma le cui rime ritornano nelle strofe successive, con i due artifici ulteriori già ricordati: le rime ripropongono le parole-rima, e la loro posizione in ciascuna strofe segue il modello incrociato. Lo schema di Arnaut (ripreso in ambito provenzale solo da due trovatori minori) è emulato da Dante: l’introduzione dell’endecasillabo in prima posizione riflette il convincimento dantesco che l’inizio endecasillabico sia proprio dello stile elevato. È tuttavia grazie a Petrarca che la sestina assurge al rango di forma fissa.
L’ultima delle sestine di Petrarca (“Mia benigna fortuna e ’l viver lieto”, Rerum vulgarium fragmenta CCCXXXII) è in realtà una sestina doppia: al termine delle prime sei stanze lo schema riprende invariato dalla prima e così fino alla fine (unico è il congedo trisillabico). A titolo esemplificativo si citano la prima, la seconda e la settima stanza di questa sestina, nelle quali si noterà il bisillabismo delle parole-rima (instaurato da Petrarca e in genere rispettato dai suoi imitatori):
Mia benigna fortuna e ’l viver lieto,
i chiari giorni et le tranquille notti
e i soavi sospiri e ’l dolce stile
che solea resonare in versi e ’n rime
vòlti subitamente in doglia e ’n pianto,
odiar vita mi fanno, et bramar morte.
Crudele, acerba, inexorabil Morte,
cagion mi dài di mai non esser lieto,
ma di menar tutta mia vita in pianto,
e i giorni oscuri et le dogliose notti.
I miei gravi sospir’ non vanno in rime,
e ’l mio duro martir vince ogni stile.
[… ]
Nesun visse già mai più di me lieto,
nesun vive più tristo et giorni et notti;
et doppiando ’l dolor, doppia lo stile
che trae del cor sì lacrimose rime.
Vissi di speme, or vivo pur di pianto,
né contra Morte spero altro che Morte.
Per l’artificio dello schema, si ricollega alla sestina lirica la canzone ciclica dantesca “Amor, tu vedi ben che questa donna” (Rime CII), in stanze di 12 endecasillabi su 5 parole-rima, l’ultima delle quali diventa la prima nella stanza successiva. Di successo circoscritto a pochi rimatori quattrocenteschi ha goduto la cosiddetta terzina lirica (Beltrami 20024: 268), fondata – nel rispetto delle altre regole fondanti della sestina – sulla riduzione a tre dei versi per stanza e a un unico verso del congedo (schema ABC CAB BCA X).
Il virtuosismo tecnico della sestina lirica ha attirato non soltanto poeti ‘archeologi’ quali ➔ Giosuè Carducci e ➔ Gabriele D’Annunzio, ma anche autori del Novecento come Giuseppe Ungaretti e Franco Fortini. Si cita la prima stanza del “Recitativo di Palinuro”, dalla raccolta Terra promessa di Ungaretti:
Per l’uragano all’apice di furia
Vicino non intesi farsi il sonno;
Olio fu dilagante a smanie d’onde,
Aperto campo a libertà di pace,
Di effusione infinita il finto emblema
Dalla nuca prostrandomi mortale.
Petrarca, Francesco (2005), Canzoniere. Rerum vulgarium fragmenta, a cura di R. Bettarini, Torino, Einaudi, 2 voll., vol. 2º, pp. 1463-1477.
Ungaretti, Giuseppe (1969), Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, pp. 250-251.
Baldelli, Ignazio (1976), Sestina, sestina doppia, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 6 voll., vol. 5º, ad vocem.
Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a ed. 1991).
Canettieri, Paolo (1993), La sestina e il dado. Sull’arte ludica del trobar, Roma, Colet.
Roncaglia, Aurelio (1981), L’invenzione della sestina, «Metrica» 2, pp. 3-41.