GALBA, Servio Sulpicio (Servius Sulpicius Galba)
Imperatore romano dal 9 giugno del 68 d. C. al 15 gennaio del 69. L'anno di nascita è ignoto: probabilmente il 40 il 5 a. C. È incerto pure il prenome del padre, forse Servio o Gaio Galba; la madre, Mummia Acaica, era discendente di L. Mummio distruttore di Corinto. Assai stimato a corte, ai tempi di Augusto e di Tiberio, e prediletto dall'imperatrice Livia, fece rapida carriera e nel 33 d. C. era console. Da Caligola fu nominato nel 39 comandante dell'esercito della Germania superiore. In tale carica rimase fino almeno al 43 (forse anche al 44) ripristinando la disciplina dell'esercito e reprimendo ogni moto di ribellione degl'indigeni. Nel 44 o 45, dopo aver accompagnato Claudio nella spedizione britannica, fu nominato a scelta eccezionale proconsole di Africa e tenne la carica per un biennio. Negli ultimi anni di Claudio, come poi per parecchio tempo sotto Nerone, fu lasciato o volle essere lasciato in disparte. Ci mancano dati precisi per poter valutare il suo atteggiamento in questo periodo. Nel 60 accettò di governare la Spagna Tarraconese, dove rimase sino al 68. In quell'anno si trasformò improvvisamente in ribelle, quando seppe del moto di Vindice in Gallia, per quanto egli evitasse di far causa comune con Vindice, che evidentemente aveva mire separatistiche, e si facesse chiamare legato del Senato e del popolo romano in Spagna. Forse G., offeso nei suoi sentimenti di aristocratico romano dall'irrigidirsi dell'assolutismo di Nerone, credette occasione favorevole per tentare di reinstaurare un principato più rispettoso dei diritti del Senato e del popolo romano la rivolta di Vindice, sia come segno dell'indebolimento della potenza neroniana, sia soprattutto come diversivo che avrebbe richiamato altrove le misure repressive del governo. Il suo piano, radicalmente diverso dunque dal moto di Vindice, ottenne successo, ed anzi egli ebbe agio di organizzare il proprio esercito. Al suo moto fecero eco da Roma i senatori che riuscirono a trarre alla loro causa i pretoriani (v. nerone). Morto Nerone, G. assunse il titolo d'imperatore e venne a Roma. La sua proclamazione fu salutata come una restaurazione della vecchia libertà repubblicana e tale la ritenne probabilmente anche G. stesso. Ma era un'illusione. In realtà G. era l'esponente di alcuni aggruppamenti militari che, scontenti del loro imperatore, ne cercavano un altro per averne maggiori profitti e privilegi: essi non difendevano il senato, se non perché i loro interessi coincidevano al momento con quelli dell'assemblea. Infatti, appena passato il primo fervore di simpatia, non solo le legioni della Germania richiesero dal Senato un altro imperatore che fosse più favorevole a loro (1 gennaio 69) e poi lo scelsero esse stesse in Vitellio, e le legioni di Oriente si tennero in prudente riserbo guardando al generale più in vista di quel gruppo, Vespasiano; ma i pretoriani medesimi di Roma, scontenti della severità di G., furono pronti a sostenere un altro candidato. Si vide allora che cosa avesse significato la rottura di quella tradizione di prestigio che era legata ai membri della famiglia giulio-claudia; e si vide inoltre che impresa contraddittoria fosse voler salvaguardare i diritti del senato fondandosi sull'esercito, cioè sulla piccola borghesia e sul proletariato d'Italia (e in parte ormai delle provincie), che ne era l'antitesi. Volle approfittare di questa situazione Ottone, il quale, sembra, aveva aspirato a essere adottato come successore da G., che era senza figli, mentre questi preferì Calpurnio Pisone Frugi Liciniano. Da una parte alimentando l'irrequietezza dei pretoriani, dall'altra atteggiandosi a successore di Nerone, raccogliendo infine tutti i malcontenti, a lui riuscì di prevalere in Roma e di rovesciare e di far uccidere G., non però di domare la ribellione delle legioni di Germania (15 gennaio 69).
Cooperò anche ad accrescere il malcontento contro G. la sua politica finanziaria. Trovatosi a governare dopo un regno dai grandissimi dispendî cercò di restaurare le finanze dello stato senza ulteriormente premere sulle provincie. Mentre dunque mitigava le tasse (sappiamo della riduzione di una malprecisa quadragesima) e cercava d'instaurare una maggiore equità nel governo delle provincie (si vedano specialmente i provmdimenti del prefetto d'Egitto Tiberio Alessandro), non trovava altro mezzo per fare denaro che sequestrare tutti i doni fatti da Nerone togliendoli anche a coloro cui fossero ulteriormente trapassati. La misura conferma la rigidità morale e la scarsa sensibilità politica di Galba.
Fonti: Le vite di Svetonio e di Plutarco; Tacito, Historiae, libro I; Cassio Dione (nell'epitome di Xifilino), LXIV. Tutti questi autori risalgono assai probabilmente a Plinio il Vecchio; altri ritiene loro fonte Cluvio Rufo. Cfr. inoltre Corpus Inscr. Lat., II, 2779; III, 8702; X, 770, 771, 7891; Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, I, n. 1263 (editto di Tiberio Alessandro). Le monete in Mattingly e Sydenham, Roman Imperial Coinage, vol. I, Londra 1923, pp. 196 segg.
Bibl.: Oltre le storie dell'impero, Th. Mommsen, Der letzte Kampf d. röm. Republik, in Gesamm. Schriften, IV, Berlino 1906, p. 333 segg.; A. Schmidt, Die Reformbestr. d. Kaisers Galba, in Abh. zur Alten Gesch., Lipsia 1888, p. 528 segg.; Ph. Fabia, La journée du 15 janvier 69 à Rome, in Rev. de Philol., XXXIV (1912), p. 78 segg.; C. Barbagallo, Un semestre di impero repubblicano, in Atti d. Acc. Arch., Lett. etc. di Napoli, n. s., III (1914), p. i segg.; L. Holzapfel, Röm. Kaiserdaten, in Klio, XII (1911), p. 483 segg.; W. Henderson, Civil war and rebellion in the Roman Empire, Londra 1908. Ult. bibl. presso Fluss, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., 2ª serie, IV, col. 772 segg.