SERINDIA
Regione dell'Asia Centrale comprendente l'area intorno al bacino del Tarim nel Turkestan cinese, la cosiddetta Kashgaria (Sinkiang).
Notizie storiche, sia pure lacunose, sull'Asia Centrale risalgono al II sec. a. C. (fonti cinesi e Geografia di Tolomeo) ma secondo il Mahabhārata già nel V e nel IV sec. a. C. veniva importata in India la seta cinese attraverso la regione di Khotan. Per secoli la S., nel cuore dell'Asia Centrale, assolse una parte di primo piano nel quadro economico, politico e culturale euroasiatico in quanto nel suo territorio passava la via carovaniera della seta e dell'oro che la poneva in contatto con i paesi più occidentali dell'Oriente romanizzato e con quelli del Medio ed Estremo Oriente. Lungo il tracciato della strada della seta sorsero delle città-stato, vere e proprie oasi nell'enorme depressione sabbiosa del Tarim, centri importanti del traffico commerciale e centri di irradiazione di motivi religiosi e culturali.
L'Asia Centrale venne contesa da popoli sedentari di alta civiltà e da nomadi: Cinesi, Persiani, Kuşāna, Kidariti, Heftaliti, Tibetani ed infine Turchi che, sotto l'impero Uighur, ne completarono la conquista, mentre poi popolazioni turche di fede islamica ne spezzarono per sempre l'unità culturale. Il fondo di questa natura, eterogeneo per l'apporto di varie correnti di pensiero, si era formato quasi interamente sulle concezioni filosofico-religiose del buddismo, sia del Piccolo Veicolo (Hinayana) sia del Grande Veicolo (Mahayana) non tralasciando le esperienze, più tarde, nestoriane e manichee che lasciarono un'impronta riconoscibile nell'evoluzione artistica e sociale del paese.
Regione d'interferenza, aperta ai più varî contatti, la S. accolse elementi ellenistico-romani (attraverso i regni greco-battriani), iranici (mediati o direttamente pervenuti sia dai Parthi che dai Sassanidi), indiani (con la mediazione del Gandhāra prima, Gupta e dei Kusana poi), cinesi (dagli Han, ai Wei, ai T'ang). Ogni città-stato rivela una fisionomia particolare secondo i rapporti che la legano all'una piuttosto che all'altra civiltà asiatica. La via della seta si divide infatti in due diramazioni ad anello: procedendo verso oriente, lungo il tracciato settentrionale incontriamo i centri di Kashgar, Tumshuq, Kucha, Qyzyl, Shorchuq, Qarashahr, Turfan ed al limite estremo Tunhuang; di qui, tornando verso occidente per il tracciato meridionale, troviamo Miran, Niya, Yarkand, Khotan e Kashgar.
L'influsso classico, ellenistico-romano, perviene in Asia Centrale direttamente con il commercio da territorî romanizzati e attraverso il Chorezm (v.), che le ricerche degli archeologi russi, specialmente del Tolstov, ci mostrano come punto di confluenza di motivi dell'arte del Gandhāra (in quanto il paese rientrò nell'orbita dell'impero Kuşāna; v. ganndhāra, arte del) e di motivi proprî del mondo romano pervenuti per via diretta. Tale influsso è documentato dai depositi di monete romane e bizantine, dalle lampade di tipo egizio trovate a Tumshuq, mentre le pietre preziose rinvenute a Yotkan (l'antica Khotan) che portano incise figure di Apollo e Diana, a Niya ed altre località sembrano dovute alla mano di artisti itineranti (in questo caso artisti della Siria o Greci d'Asia che operarono in loco). Recenti studî hanno mostrato infine un nuovo influsso, quello legato alla scuola romano-sarmatica. Reminiscenze classiche sono rilevabili ovunque nel tracciato settentrionale della carovaniera, specie nella produzione di Tumshuq.
Anche quando gli elementi iranici, con il sorgere dell'impero sassanide, sostituiscono quelli classici, i moduli stilistici gandharici non vengono tralasciati, si determina anzi una corrente di gusto particolare, quella irano-buddista, che unisce schemi ed intuizioni proprî della Persia con motivi iconografici e sensibilità dell'India buddista. Questo incontro avviene certo lentamente e gradatamente ma è presto documentato dalla produzione artistica di Bamiyan (v.) che influenza sensibilmente i centri vicini della Serindia. Temi e costumi iranici si diffondono largamente. L'apporto iranico, già prima sensibile con i Parthi, si fa più intenso con i Sassanidi a dimostrazione di quanto valida e forte sia stata l'irradiazione culturale di questo impero.
Un'altra componente nella produzione artistica centroasiatica di questo periodo è quella indiana dei Gupta che, affiancandosi alla corrente iranica, creerà un nuovo stile definito sassano-gupta. L'apporto indiano si fa sempre più preponderante (gli atteggiamenti e la grafia dei dipinti di Ajanta [v.] saranno, infatti, molto cari agli artisti centro-asiatici) e sarà responsabile, per alcuni centri, di uno stile che permette di delineare quel fondo locale di cui si diceva all'inizio. Una numerosa serie di motivi iconografici e decorativi che attestano la derivazione dall'arte gupta è rintracciabile a Qyzyl, Qarashahr, Shorchuq, Kucha e soprattutto a Tumshuq e, lungo il tracciato meridionale, a Khotan (v.).
L'influsso della Cina è notevole, sia nel tempo che nello spazio, certo con maggiore intensità nel tracciato settentrionale della carovaniera e soprattutto nella parte più orientale; ma va sottolineato che sono proprio le correnti centro-asiatiche che suggeriscono nuovi contenuti ed invenzioni stilistiche agli artisti cinesi, tanto che le forme create in Asia Centrale (specialmente a Turfan ed a Tun-huang) assumono una parte di primo piano nella formazione e nell'evoluzione dell'estetica e dell'iconografia cinese e persino giapponese.
Questi i principali influssi stranieri che intervengono, ove più ove meno, nella formazione dell'arte centro-asiatica dando luogo a manifestazioni oltremodo complesse con caratteri particolari per i varî centri che però, grosso modo, possono ricondursi a tre scuole principali. Tralasciando Tunhuang che pure, per la sua posizione geografica al confine tra Cina ed Asia Centrale, merita un cenno particolare in quanto è responsabile in gran parte della irradiazione verso la Cina delle correnti stilistiche centro-asiatiche (documentate da un'attività pittorica prodigiosa che va dalle prime grotte del IV sec. d. C. a quelle del X e XI sec.), si possono isolare tre centri, che per le vicende storico-politiche sono legati con maggiore evidenza ad una piuttosto che ad un'altra corrente. Questo vale naturalmente per un periodo di maturità, intorno al VI sec., dopo il periodo dell'influenza classica che aveva investito tutti i centri della S.; precedentemente era soprattutto l'influsso occidentale, romano-orientale, che animava le composizioni degli artisti centro-asiatici.
La prima scuola è rappresentata da Khotan (v.), posta sul cammino meridionale della carovaniera, dove la tendenza indiana è straordinariamente evidente anche quando si afferma la corrente iranica, limitata a sua volta da una più ampia affermazione dei modi sinizzanti. La scuola pittorica di Khotan ebbe una notevole fortuna, soprattutto fuori del territorio khotanese; l'influsso diretto arrivò persino in Cina (sappiamo, infatti, di un pittore khotanese che dipinse alla corte dei primi T'ang intorno al VII sec.) e nel Tibet dove il termine Li-lugs (che significa "scuola di Khotan") ricorre spesso nelle fonti e nelle cronache tibetane.
Nel tracciato settentrionale troviamo a Turfan la seconda scuola, con i suoi numerosi centri archeologici, dove l'influsso cinese, invece, affiancato da una componente turca, si fa sentire con maggiore intensità. Rilevabile è l'apporto iranico (legato poi alla penetrazione del manicheismo e del nestorianesimo) che è responsabile di nuove soluzioni iconografiche che riescono a fondersi con tecniche e modi cinesi per dar luogo ad un incontro sino-iranico duraturo e suscettibile di influenzare addirittura le creazioni dell'arte islamica, il che attesta quanto valida sia stata questa corrente, tanto più se si tiene conto che nell'Asia Centrale, ormai conquistata definitivamente dall'Islam, Turfan fu l'unica isola Uighur.
La terza scuola, quella di Kucha, che accoglie nella sua area centri importanti dal punto di vista archeologico e storico-artistico, dà l'accenno alla tendenza iranica che resta nel tempo anche dopo il crollo dell'impero sassanide per opera degli Arabi. Mostra però di apprezzare le soluzioni indiane ampiamente rintracciabili nella fase detta indoaranica che coesiste con una corrente sinizzante la quale trova eco soprattutto nella produzione di Qumtura.
Passando all'esame dei singoli centri di maggior rilievo, troviamo dapprima Khotan a S e Tumshuq a N; quindi, sempre a N, i centri kuccei: in primo luogo Qyzyl, poi Shorchuq e, ancora più a N, Turfan; a S Mirau e infine, all'estremità orientale, Tun-huang.
A N di Khotan (v.), si trova Tumshuq, centro legato all'ambiente artistico della regione di Kucha che funge da trait d'union tra l'Iran orientale (mondo classico in genere) e la Serindia. Tumshuq (circa 300 km ad O di Kucha) vive dai primi secoli dell'èra cristiana fin verso il X sec. offrendo così nel tempo un'ampia testimonianza dei molti influssi accolti, rielaborati e mediati da quelli occidentali, preponderanti, a quelli cinesi del periodo più tardo. La località va ricordata soprattutto per la produzione plastica in stucco, che presenta forti analogie con quella del Fondukistan e che prova con chiarezza il passaggio da schemi tardo-gandharici (seconda fase della scuola del Gandhara) a quelli gupta, passaggio ottenuto non senza un notevole sforzo di fondere questa tendenza con quella iranica la quale diviene più forte e diretta quando, dopo il VII sec., questo centro diviene rifugio dei profughi persiani. Molte le testine di Bodhisattva, del tipo noto a Qyzyl ed a Shorchuq, di personaggi varî trattati a mo' di ritratto o resi con volti attoniti e freddi anche quando è evidente lo sforzo di imprimere espressione al volto con tratti e linee; esse documentano l'operosa attività del centro ma nel contempo i limiti dei coroplasti che si muovono sulle linee tecniche e stilistiche degli artisti di Hadda e Taxila. Nell'insieme cl troviamo di fronte ad opere di scarso valore artistico (questo va detto specialmente per le grandi composizioni) a parte alcune piccole teste in stucco pregevoli per il forte vigore espressivo. Interessanti sono una testa di Buddha in legno dorato per il sapiente modo di adeguare i canoni dell'estetica indiana con l'espressione pensosa propria delle genti centro-asiatiche e, soprattutto per i rapporti con il mondo dei sassanidi e degli scito-sarmati, un busto di guerriero.
La città carovaniera di Kucha rivela uno dei più notevoli centri per il numero e la qualità delle opere, per la complessità dei contenuti e degli stili. Per quanto riguarda la genesi degli stili va sottolineata l'importanza che ebbe il Chorezm e la corrente romano-sarmatica responsabile di alcuni apporti classici ed iranici attraverso la via settentrionale dei Chorezm. L'evoluzione di Kucha è assai varia e sono appunto le località minori di questo statooasi e quelle vicine che ci permettono di delinearne meglio la fisionomia artistica.
Qumtura è uno dei centri kuccei che risentono maggiormente delle soluzioni pittoriche dei T'ang, pur offrendo esempî di pittura chiaramente iranizzanti simili a quelli di Qyzyl di cui subisce fortemente l'influsso del suo secondo stile. Opere di certo valore artistico mostrano il cosiddetto Tempio delle Apsara, quello dei Demoni. Anche la plastica, che oscilla tra schemi indiani ed iranici, trova sotto l'influsso cinese un suo più compiuto modo di esprimersi.
A Subashi, sempre nell'area di Kucha, la produzione plastica invece accoglie soprattutto elementi indiani (gupta) ed iranici; così quella pittorica che elabora uno stile vicino al primo di Qyzyl.
Ma il centro che meglio esprime la cultura di Kucha è Qyzyl, località vicinissima e caratterizzata (come Qumtura) da costruzioni architettoniche e complessi monastico-religiosi ricavati in grotte, volute certo dai sovrani del piccolo stato per desiderio di avere santuarî simili a quelli dell'Iran orientale e dell'India.
Le grotte dette Ming-oi che i Cinesi, per altre famose località, tradurranno "grotte dei mille Buddha" furono esplorate da Grünwedel, von Le Coq, Pelliot Oldenburg e Stein (alcuni templi furono distrutti da un terremoto nel 1916). Le differenze architettoniche, la diversa disposizione e decorazione delle grotte sono spiegabili perché queste furono costruite in epoche diverse, dal IV all'VIII secolo. Architettonicamente possono essere classificate secondo tre tipi: 1) divise in due parti, prevalentemente rettangolari, precedute da un vestibolo presentano la vòlta a berceau (raramente a cupola); 2) quadrate hanno solitamente la copertura a cupola; 3) altre portano soffitti a false travi aggettanti. I santuarî rupestri di Qyzyl mostrano anche nei particolari la dipendenza dall'ambiente artistico irano-buddista di Bāmiyān (v.). Le grotte, famose per le pitture murali, hanno restituito pregevoli opere in plastica di evidente ispirazione gandharica e tra l'altro manoscritti indiani su foglie di palma e scritture su tavolette lignee; interessante un libro di sessanta pagine in sanscrito, testo tocarico in caratteri indiani. Ma la fama di Qyzyl è legata alla sua attività pittorica che può dividersi in due grandi periodi: il primo che tocca l'inizio del VII sec.., vede un'evoluzione iniziale analoga a quella di Bāmiyān, cioè iranizzante ma con elementi, sia pure mediati dal mondo sassanide, bizantini (rintracciabili nelle teorie di donatori a Qyzyi e a Qumtura che ricordano da vicino quelle delle Vergini di S. Apollinare Nuovo a Ravenna) tardo-romani e persino, come sopravvivenze, paleo-cristiane (un dipinto che presenta lo Yaksha Ātavika con un bimbo in braccio si avvicina all'iconografia del S. Cristoforo). Non manca in questo primo periodo l'apporto indiano (gandharico e gupta poi), tanto che la prima fase è stata definita come indo-iranica, ma l'influsso sassanide (dovuto specialmente all'affluire di profughi, verso la fine del VII sec., dall'Iran sotto la pressione degli Arabi) è più evidente nei ritratti di cavalieri e donatori; esso permane nel secondo periodo con l'imitazione dei gioielli e delle vesti sassanidi, anche se la conquista di Kucha (648) da parte dei Cinesi porta inevitabilmente tecniche e motivi sinizzanti che non trovano però eco in maniera determinante negli artisti di Qyzyl, contrariamente a quanto avviene a Qumtura che offre dipinti di chiara marca T'ang. Oltre la classica divisione in due stili possiamo riconoscere un terzo stile volto essenzialmente al decorativismo che ricerca modi e stilizzazioni convenzionali. Un dato senza dubbio positivo è la capacità di rielaborare tutti i varî influssi accolti da questo centro in modo così individuale da farci cogliere appieno la vivezza del fondo locale, che si manifesta tra l'altro nel contenuto e nel particolare gusto narrativo. Un elemento che distingue la produzione pittorica di Qyzyl è la scelta della tavolozza che tra brillanti colori base e gialli e verdi arriva ad un verde malachite e blu lapislazzuli ignoti persino a Bāmiyān, di cui pure segue schemi, motivi e ritmi come i famosi corpi librati in volo (Grotta del Pittore) che spesso ricorrono nelle composizioni di Qyzyl.
Le grotte più interessanti per gli affreschi sono quelle del Pavone, dei Navigatori, del Tesoro, degli Ippocampi, tutte del primo periodo, secondo il Waldschmidt e, del secondo, quelle dei Musicisti, di Māyādei Preta; quella del Pittore sembra appartenere ad uno stile di transizione e ci ripropone il tema del torso scheletrico del Buddha emaciato.
Procedendo verso oriente, prima di incontrare le località appartenenti alla scuola di Turfan, troviamo Qarashahr e Shorchuq, centri dove ancora forte è l'influsso classico-gandharico, almeno nelle prime fasi. La produzione plastica di Qarashahr come quella di Turfan segue suggerimenti dei coroplasti di Hadda e Taxila ma con più originalità e più tardi accoglie, accanto a reminiscenze classiche, invenzioni e motivi irano-sassanidi. I basso-rilievi in stucco, che mostrano analogie con i rilievi khotanesi, ricordano quelli tardo-romani soprattutto per la trattazione del panneggio pesante di alcune figure. Altrettanto valida è la produzione di Shorchuq che va famosa per alcune immagini di Buddha e di Bodhisattva in stucco policromo degne di apparire tra le opere migliori dell'arte buddista. Qui i molti impasti in terracotta hanno fatto pensare ad una industrializzazione della plastica ornamentale. Ma è l'attività pittorica di Shorchuq e di Qarashahar che più interessa e che raggiunge spesso alti valori artistici, attraverso trasformazioni, sempre personalissime, dei suggerimenti stranieri. La pittura si muove essenzialmente sui canoni gupta (e prima gandharici) assorbendo però via via gli ideali estetici cinesi che si fanno nel tempo più intensi tanto che persino i volti ricalcano quelli delle stele Wei (v. cinese,arte). Il linguaggio pittorico di Shorchuq preannuncia, in certo modo, il mondo estetico di Turfan e denuncia già in maniera sintetica e chiara la dipendenza di questo centro da una diversa area culturale anche se evidente la ricerca di equilibrare gli apporti classici, indiani, iranici, con quelli cinesi, dando luogo ad uno stile di transizione personalissimo.
Centro legato ancora alla tradizione gandharica è Miran; i suoi affreschi, che adornano l'interno di due costruzioni contenenti un piccolo stūpa, sono risoluzioni pittoriche di motivi plastici della scuola gandharica. Bisogna rilevare però che in questi affreschi gli elementi classico-occidentali, specialmente romani (per l'uso del rosso pompeiano negli sfondi), appaiono con più frequenza e meglio determinati che in opere di altri centri tanto che la firma di un certo Tita, forse un Titus pracritizzato, apposta ad uno di essi ha fatto pensare che li abbia dipinti un artista del mondo romano. Questo dato è comunque poco probante in quanto il nome Tita potrebbe derivare dalla forma Datta, tipicamente indiana. Non mancano inoltre notazioni bizantine (nel chiaroscuro ottenuto stendendo un leggero strato di bianco sulla superficie maggiormente illuminata), siriache (rilevabili nell'acconciatura di una figura femminile), tardo-alessandrine (evidenti ad esempio nella trattazione degli occhi che ricordano opere del Fayyūm); ma tutti questi elementi in fondo ci possono ricondurre al Gandhāra in quanto non sono estranei alla tradizione artistica di questa scuola.
Dobbiamo arrivare a Turfan per entrare in un diverso mondo religioso-simbolico ed in un più vario panorama storico-politico che vede susseguirsi, nel tempo, genti diverse e conseguentemente diversi pensieri, contenuti e tendenze artistiche. Più precisi si fanno qui i limiti, anche cronologici, delle varie correnti secondo l'evoluzione storica del momento. La regione, dominio dei T'ang, passa a far parte, dopo una parentesi tibetana, dell'impero turco degli Uighur (dopo l'8oo d. C.) che, convertiti nel 763, seguono la religione manichea. Il manicheismo ispira affreschi e miniature; di grande interesse, specialmente per l'iconografia, quelli di Khocho (o Idiqutshähri, antica capitale della regione) con i suoi ritratti di donatori e sacerdoti (un affresco notevole mostra Mani coronato dal Sole e dalla Luna e circondato dal clero). Più tardi gli Uighur sembrano interessarsi fortemente al buddismo e nasce, più che una tendenza, una scuola uigurico-buddista con chiari elementi sinizzanti riconoscibili anche dalle figure rappresentate: volti tondi, naso aquilino, occhi obliqui.
Prevalgono comunque in questa area, storicamente e geograficamente più vicina alla Cina, ideali e correnti artistiche ispirate a quelle cinesi. Nella prima fase, tuttavia, di una certa intensità dovette essere l'influsso gandharico e quello indiano ed iranico. Turfan, con i suoi numerosi centri, presenta quindi una produzione legata essenzialmente a motivi iconografici e soluzioni tecniche cinesi ma presente, e più vitale degli altri, l'influsso iranico che, prevalendo il manicheismo, dà luogo ad un incontro sino-iranico dove su contenuto occidentale indiano s'impianta, con brillanti realizzazioni, la finissima tecnica cinese del disegno preciso e quella iranica della linea sicura ma leggera. È il momento felice degli affreschi di Khocho e di Sänggim (altra località minore dell'area di Turfan) che sintetizzano meglio che altrove questo incontro; infatti a Bäzäklik le opere seguono schemi e notazioni cinesi evidenti nella preferenza data alle forme terrifico-grottesche mentre a Murtuq (che mostra analogie con Kucha e Shorchuq) è l'elemento iranico ed indiano che predomina.
La zona di Turfan, visitata da Regel (primo europeo a Turfan dopo B. Goes - 1604), Klements, esplorata da Stein, Pelliot, von Oldenburg e Grünwedel, ha dato resti di letteratura religiosa sia in persiano che in antico turco, stūpa, monumenti funebri con vòlte persiane, santuarî rupestri, testine ellenistiche, frammenti di libri turco-manichei, miniature e persino un affresco di soggetto cristiano (nestoriano) documentando così i varî apporti. Ma estremamente interessante e suggestiva è la pittura (su seta, murale, a rotolo - detta con termine tibetano tanka -) dei varî siti di questa regione le cui opere esprimono, nei confronti, delle altre scuole della S., nuovi valori estetici. La produzione artistica della regione, capace di dar vita a veri capolavori e che sembra, a prima vista, caratterizzata da una instabilità stilistica (dovuta al modificarsi di fatti ed idee) lascia tracce nelle composizioni estremo-orientali anche giapponesi (Kondo di Horyūji) dimostrando ad abundantiam la sua validità. È comunque il periodo più tardo che fa di Turfan un centro di irradiazione per alcuni motivi che troveranno eco verso oriente e, persino, nell'arte islamica dei Ghaznavidi e dei Selgiuchidi spiegando così le reminiscenze rintracciabili nella miniatura persiana del XIII e XIV secolo.
Bibl.: Sir A. Stein, Ancient Khotan, Oxford 1907; A. Gründwedel, Altbuddhistische Kultstätten in Chinesischen Turkistan, Berlino 1912; A. von Le Coq, Chotscho. Königlich-Preussische Turfan-Expedition, Berlino 1913; Sir A. Stein, Serindia, 5 voll., Oxford 1921; E. Waldschmidt, Gandhara, Kutscha, Turfan. Eine Einführung in die Frühmittelalterliche Kunst Zentralasiens, Lipsia 1925; A. von Le Coq, Buried Treasures of Chinese Turkesrtan, Londra 1928; S. F. Oldenburg, Le sculture del Gandhara nel Museo Statale dell'Ermitage (in russo), A.N.S.S.S.R., V, Leningrado 1930; J. Hackin, Buddhist Art in Central Asia, Londra 1937; M. Bussagli, L'influsso classico ed iranico sull'arte dell'Asia Centrale, in Rivista dell'Istituto Naz. di Archeologia e Storia dell'Arte, Roma, N. S. II, 1953; id., Catalogo della mostra dell'arte del Gandhara, Roma 1958. Si veda anche khotan.