SERIE
(XXXI, p. 435)
Serie semplici.
1. - Metodi generali di sommabilità (v. vol. XXXI, p. 439, nn. 10,11). - I) Data una serie arbitraria
ed una matrice Õ = ∥ cmn ∥ ad infinite righe e ad infinite colonne (m, n = 0, 1, 2, ...) - i numeri an e cmn potendo essere reali o complessi - supponiamo che, per ogni m, la serie
ove sn indica la somma parziale n-ma della serie data
sia convergente. Posto
si dice che le tm (m = 0, 1, 2, ...) sono ottenute dalle sn (n = 0, 1, 2, ...) mediante una trasformazione lineare T. Questa si dice regolare, se la convergenza della successione {sn}, cioè l'esistenza del limite finito
ha per conseguenza la convergenza, verso lo stesso limite, della successione {tm} (cioè
Orbene, l'esistenza di s ha certamente per conseguenza quella degli infiniti numeri tm, qualora sia soddisfatta la condizione: a) esiste un numero H, indipendente da m, tale che sia
Se a questa proprietà si aggiungono le altre due: b) ogni successione c0n, c1n, c2n, ..., cmn, ... è convergente; c) posto, per ogni m,
anche la successione c0, c1, c2, ..., cn, ... è convergente, si ottiene complessivamente una condizione necessaria e sufficiente affinché anche la successione {tm} sia convergente (I. Schur, 1920). Si dimostra allora che, posto
(per ogni n) e
risulta
Si dimostra perciò in particolare che affinché una trasformazione lineare T sia regolare, è necessario e sufficiente che siano simultaneamente soddisfatte le proprietà a), b), c), e di più sia δn = 0 per ogni n = 0, 1, 2, ..., e δ = 1 (Q. Toeplitz e L. L. Silverman, 1913).
Ogni particolare trasformazione lineare e regolare T fornisce un metodo particolare di sommabilità perché, se
non è convergente, ma esistono i numeri tm e il limite finito
tale limite può essere assunto come "somma" (in senso generalizzato) della detta serie. Per es. se si prefissa una successione di numeri reali
e si pone poi
per n ≤ m, cmn = 0 per n > m, il metodo di sommazione ora indicato si riduce a quello cosiddetto "delle medie di Nörlund"; questo poi si riduce ulteriormente a quello "delle medie (C, k) di Cesaro" se, prefissato un intero k ≥ 1 ad arbitrio, si prende
Se invece si pone
per n ≤ m, cmn = 0 per n > m, ove α indica una costante comunque prefissata (purché ≠ 1), si ottiene il metodo di Hausdorff e Hurwitz (già introdotto, nel caso particolare α = 1/2, da Eulero, 1755), studiato profondamente da K. Knopp (1922-23) e, più recentemente (anche nei casi α reale negativo ed α complesso), da R. P. Agnew (1944), ecc.
Se invece non esiste il
si presenta l'importante problema dello studio, sul piano complesso, dell'insieme dei punti limiti della successione {tn}, cioè dell'insieme dei numeri complessi ciascuno dei quali gode della proprietà che, in ogni suo intorno (per quanto piccolo), cadono infiniti termini tn. Un tale studio, nelle ricerche più recenti, approfondisce soprattutto l'indagine delle molteplici relazioni che intercedono fra il detto insieme e l'insieme analogo dei punti limiti della successione {sn}.
II) Data una serie numerica arbitraria
si consideri la s. di potenze
(XXXI, p. 437, n. 7). Ammettiamo che questa sia convergente nell'intervallo semiaperto o ≤ sx 〈 1 dell'asse reale, e perciò che la sua somma f(x) =
sia una ben determinata funzione (in generale complessa) definita in tale intervallo. Se esiste il
= S finito, si dice che S è la somma secondo S. D. Poisson (1820) della s. numerica assegnata. Tale definizione deve interpretarsi come un'effettiva generalizzazione di quella della convergenza perché, nel caso che la s. assegnata sia convergente ed abbia per somma s, è s = S, e ciò per un ben noto teorema di Abel (XXXI, p. 437, n. 7). Osserviamo ora che si può scrivere (per o ≤ x 〈 1)
Il metodo di sommazione di Poisson si può perciò considerare come caso particolarissimo del seguente. Assegnata una successione di funzioni cn(x)(n = 0, 1, 2, ...), reali o complesse, tutte definite per o ≤ x 〈 1, supponiamo che, per o ≤ x 〈 1, la serie
sia sempre convergente. Indicata con t(x) la sua somma, diciamo che la successione {cn(x)} è regolare, se l'esistenza di s ha, in ogni caso, per conseguenza:
Allora è evidente che, in quanto si consideri una successione regolare atta a fornire una somma, in senso generalizzato, della s. assegnata, in quanto cioè si assuma come somma della detta s. il
(supposto esistente), si ha un metodo generale di sommazione del tutto simile a quello precedente I): la differenza consiste unicamente nel fatto che, invece di avere, per ogni n, una successione di coefficienti cmn(m = 0, 1, 2, ...), si na una funzione cn(x) (o ≤ x 〈 1). I teoremi fondamentali relativi al metodo I) hanno perciò i loro analoghi nel metodo II).
2 - Serie inviluppanti. - Siano
due s. numeriche coi termini an reali o complessi, i termini An reali non negativi, ma del resto arbitrarî. Se valgono le limitazioni ∣ an ∣ ≤ An per ogni n = 0, 1, 2, ..., si dice che la seconda s. è una maggiorante della prima (XXXI, p. 436, n. 3). Si dice inoltre (seguendo G. Polya, 1924) che un certo numero s, reale o complesso, è inviluppato dalla s.
rispetto alla maggiorante
oppure che la s.
inviluppa (o è inviluppante di) s rispetto a detta maggiorante, se, per ogni n = 0, 1, 2, ..., risulta
Si scrive:
La teoria delle s. mnaggitoranti è stata sviluppata ampiamente, dopo il 1950, da J. van der Corput e dalla sua scuola. Fssa si presenta anzi tutto come una particolare teoria di sommabilità (v. sopra, n.1) perché si riconosce subito che, se
allora
converge ed ha per somma s. Inversamente: se
converge ed ha per somma s, è sempre possibile costruire una maggiorante
Come teoria della sommabilità, si hanno proprietà molto interessanti quando si generalizza la definizione delle s. inviluppanti alle s. fi funzioni, in particolare alle s. di potenze. Un esempio molto semplice e significativo è fornito dalla seguente osservazione: se f(2) è una funzione complessa monogena (v. funzione, XVI, p. 190, n. 29) per ogni valore z, finito e complesso ≠ 1, e se esistono un numero reale o complesso a e tm numero reale λ ≥ 1 tali che
(per ogni z ≠ 1), allora è necessariamente f(z)
(per ogni z ≠ 1). Conseguentemente si può dire che
è la somma (in senso generalizzato) della s. geometrica
non solo nell'interno del cerchio ∣ z ∣ ≤ 1 (ove tale s. è convergente), ma per ogni z ≠ 1.
In generale una s. Σan non inviluppa un sol numero s rispetto a una data maggiorante ΣAn, anzi ne inviluppa infiniti (formanti sempre un certo insieme convesso del piano complesso). Il numero s è unico sotto ipotesi molto semplici, per es. se l'estremo inferiore della successione {An} è 0.
La teoria delle s. inviluppanti ha importanti applicazioni nel calcolo numerico, in particolare in quella degli sviluppi asintotici (XXXI, p. 439, n. 12). In tali applicazioni si cerca di trovare, per una data serie Σan, una s. maggiorante i cui termini An siano ben noti e i più piccoli possibili, perché, se fra tali termini se ne trova anche uno solo ≤ ε, si ha la possibilità di calcolare una somma generalizzata s, per la Σan, con un errore che, in modulo, è ≤ ε.
Serie multiple.
3. - Serie doppie. - Data una matrice Ā ⊄ ∥ ars ∥ ad infinite righe (r = 0, 1, 2, ...) e ad infinite colonne (s = 0, 1, 2, ...), i cui termini ars sono numeri reali o complessi, si chiama s. doppia (relativa ad Ā) ciascuno dei due simboli
Se i termini della matrice si ordinano in altro modo, secondo la nuova matrice Ā* ⊄ ∥ arisj ∥ (ad infinite righe e ad infinite colonne; i, J = 0, 1, 2, ...), in modo cioè che ogni termine ars della Ā si ritrovi una ed una sola volta nella Ā* e inversamente, si possono analogamente considerare le serie doppie
(relative alla Ā*). Le quattro s. scritte sono ottenibili l'una dall'altra con convenienti riordinamenti dei termini, e tutte possono anche dirsi relative alla matrice Ā oppure, meglio ancora, può dirsi che si tratta sempre della stessa s., ma ordinata in modi diversi. Una s. doppia non è dunque altro che una serie di serie, cioè una s. ciascun termine della quale è, a sua volta, una s.
Se, per ogni indice r = 0, 1, 2, ..., la s.
è convergente ed ha per somma A′r, e se è anche convergente la serie
ed ha per somma A′, si scrive: A′ =
e si dice che la s. doppia (relativa alla matrice Ā) è convergente per righe, e che A′ è la sua somma per righe. Analogamente se, per ogni s = 0, 1, 2, ..., la s.
è convergente ed ha per somma A″s, e se è anche convergente la serie
ed ha per somma A″ si scrive: A″ =
e si dice che la s. doppia (relativa alla matrice Ā) è convergente per colonne, e che A″ è la sua somma per colonne.
La convergenza per righe non implica quella per colonne, né viceversa. Per es. la s. relativa alla matrice
è convergente per righe (la sua somma per righe è 0), mentre non lo è per colonne. Ha perciò interesse una definizione generale di convergenza per una s. doppia, che non sia legata al particolare ordinamento della s. per righe o per colonne, né ad alcun altro ordinamento nel senso sopra spiegato. Si conviene pertanto di chiamare convergente la s. doppia relativa alla matrice Ā ⊄ ∥ ars ∥ (senza riferirsi ad un ordinamento piuttosto che ad un altro), quando esiste un numero reale o complesso s soddisfacente alla condizione: ad ogni numero reale ε > 0 (per quanto piccolo) si può far corrispondere un indice N tale che, per ogni coppia di indici
Si dice allora che s è la somma della s. doppia considerata, e si scrive:
Questa terminologia e la relativa notazione sono ben scelte, perché si riconosce facilmente che: se una s. doppia è convergente ed ha per somma s, e se esiste la somma di ciascuna riga [colonna], s è anche la somma per righe [per colonne] della serie.
Per quanto riguarda la divergenza d'una s. doppia, supponiamo dapprima che tutti i termini ars siano reali; si dice allora che la s. doppia diverge a + ∞ [a − ∞], e si scrive
se ad ogni numero reale K si può far corrispondere un indice N tale che, per ogni coppia di indici m, n entrambi > N, risulti
Supponiamo invece che non tutti i termini ars siano reali (od anche che, pur essendo tutti reali, interessi considerare tali termini come numeri complessi); si dice allora che la s. doppia diverge, e si scrive
se ad ogni numero reale K > 0 si può far corrispondere un indice N tale che, per ogni coppia di indici m, n entrambi > N, risulti
Vale il criterio generale di convergenza (di A. Cauchy): condizione necessaria e sufficiente per la convergenza di una s. doppia è che ad ogni numero reale e ε > 0 (per quanto piccolo) si possa far corrispondere un indice N tale che, per ogni quaterna di indici m, m′, n, n′ maggiori di N, con m′ ≥ m, n′ ≥ n, risulti
Naturalmente i termini ars d'una s. doppia possono anche ordinarsi, all'occorrenza, in un'unica successione. Corrispondentemente può alternarsi l'ordine dei termini di una s. doppia, in modo da ottenersi una s. semplice: tale è, ad esempio, la cosiddetta serie diagonale (relativa alla matrice Ā) a00 + a10 + a01 + a20 + a11 + a02 + a30 + a21 + ... Una s. doppia si dice incondizionatamente convergente, quando qualunque s., doppia o no, che da essa si deduca ordinandone in altro modo i termini, è convergente. Una s. semplice o doppia si dice subordinata ad un'altra, semplice o doppia, quando ogni suo termine è termine anche dell'altra (purché uno stesso termine di questa non figuri ripetuto più volte nella s. considerata). Due s. che differiscano per l'ordine dei termini sono dunque ciascuna subordinata all'altra. La somma di un gruppo finito qualunque di termini d'una stessa s. doppia si dice una somma "appartenente" alla s. doppia.
Le s. doppie a termini tutti reali e non negativi sono d'uso molto frequente nelle applicazioni e godono di proprietà semplici ed espressive. Anzitutto si ha: "condizione necessaria e sufficiente affinché una s. siffatta sia convergente, è che le somme ad essa appartenenti formino un insieme limitato"; in tal caso la s. è incondizionatamente convergente e la sua somma (qualunque sia l'ordine dei termini) uguaglia l'estremo superiore di questo insieme. In secondo luogo una s. doppia, a termini non negativi, che non sia convergente, diverge a + ∞. Ogni s. (semplice o doppia) subordinata ad un'altra (semplice o doppia) a termini non negativi e convergente, è anch'essa convergente e la sua somma non supera la somma di questa. Delle s. doppie, a termini non negativi (anzi positivi), indichiamo, come primo semplicissimo esempio, la serie:
ove λ indica un qualunque numero reale positivo (s. analoga ad una s. geometrica di ragione λ). Tale s. è divergente, se λ ≥ 1, convergente ed ha per somma 1/(1 − λ)2, se λ 〈 1.
Alle s. doppie, a termini non negativi, si può estendere, in modo opportuno, il criterio del confronto (XXXI, p. 436, n. 3). Si può estendere anche il criterio della radice di Cauchy, nella forma: se esiste un intero N tale che, per r, s > N, sia
ove λ è un numero qualunque 〈 1, la serie doppia è convergente. Delle stesse proprietà delle s. doppie a termini non negativi godono ovviamente le s. doppie i cui termini sono tutti non negativi fatta eccezione d'un numero finito di questi (si devono solo fare alcune leggere variazioni, di dettaglio, negli enunciati di alcuni dei relativi teoremi). E di analoghe proprietà godono le s. doppie a termini tutti non positivi, fatta al più eccezione d'un numero finito di questi.
Una s. doppia
si dice assolutamente convergente, quando è convergente la s. doppia formata dai moduli dei suoi termini, cioè quando è convergente la s.
In tal caso la
è anche convergente, anzi lo è incondizionatamente.
Le applicazioni della teoria delle s. doppie convergenti, a termini numerici, sono svariatissime in ogni campo delle matematiche pure ed applicate. Fra tali applicazioni citiamo il seguente teorema, enunciato da D. Hilbert, la cui dimostrazione completa fu conseguita con la collaborazione di H. Weyl, di I. Schur e infine (1927) di G. H. Hardy, e le cui conseguenze sono tuttora argomerno d'importanti ricerche. Il teorema dice che, prefissati ad arbitrio due numeri m, n, reali, positivi e perfetti (cioè tali che m + n = mn), e due successioni {xr}, {ys} (r, s = 1, 2, ...) di numeri reali non negativi tali che le due s.
convergano anche la s. doppia
converge; e, in tal caso, posto
risulta
(il segno d'uguaglianza vale solo se tutti i numeri xt, oppure tutti i numeri ys, sono nulli).
Come per le s. semplici, anche per le s. doppie sono stati studiati metodi particolari e generali di sommabilità, cioè metodi atti ad attribuire un valore numerico, chiamato genericamente somma, anche a serie che non convergono. Ricerche in proposito, profonde e altamente specializzate, si vanno moltiplicando, sempre più, da vent'anni a questa parte (N. Obrechkoff 1940, T. P. Nigam 1940, J. D. Hill e H. J. Hamilton 1941, L. Cesari 1942-47, L. Amerio 1941-43, I. M. Sheffer 1945, A. Wilansky 1947, K. Knopp e G. G. Lorentz 1949-52, K. Zeller 1952-53, ecc.). In analogia con quanto detto sopra al n. 1, posto, per ogni coppia d'indici m, n non negativi, smn =
e prefissata una matrice {cuvmn} a termini (numeri) reali o complessi cuvmn dipendenti da quattro indici (ciascuno assumente, indipendentemente dagli altri tre, i valori 0, 1, 2, ...), si considera la trasformazione lineare:
che fa passare dalla matrice {smn} alla matrice {tuv}. Lo studio delle proprietà di limite (per u, v → ∞) relative a questa permette di stabilire delle opportune definizioni, e relative proprietà, per la matrice {smn},, appunto nel senso d'una generalizzazione del concetto di somma della serie
e d'una teoria relativa.
Nella teoria delle s. inviluppanti sono state dimostrate varie proposizioni di notevole interesse, fra le quali segnaliamo la seguente (J. G. van der Corput 1951). Siano {ars}, {Ars}due matrici (r, s = 0, 1, 2, ...), {sh}, {Sh} due successioni (h = 0, 1, 2, ...) ed s un numero, tali che
Allora, se per ogni h = 0, 1, 2, ... vale la limitazione Sh ≤ Aho, risulta
Se i termini d'una s. doppia sono delle funzioni ars (P), reali o complesse, definite al variare di P in uno stesso insieme I di punti appartenenti a un certo spazio euclideo (a un numero qualunque di dimensioni), si hanno nuove definizioni e proprietà che presentano strette analogie con quelle delle s. semplici di funzioni (XXXI, p. 437, n. 8). Così si dice che la s. doppia converge in I, se converge ogni s. numerica
ottenuta fissando P in un punto qualunque Ä di I: in tal caso la somma della serie
risulta essere una funzione f(P), anch'essa definita in I. La s. si dice uniformemente convergente in I se, scelto ad arbitrio un numero positivo ε, è sempre possibile determinare un indice N tale che, per m, n > N, risulti f(P) -
in tutto I. La convergenza uniforme, in I è assicurata per es. se, in tutto I e per ogni coppia di indici r, s, è ∣ ars(P) ∣ ≤ a*rs, indicando con {a*rs} una doppia successione di numeri, non negativi e costanti, tali che la s.
sia convergente (in questo caso, particolarmente restrittivo, che implica anche la convergenza uniforme, in I, della s.
si dice che la serie
è totalmente convergente in I).
Tra le applicazioni della teoria delle s. doppie di funzioni, hanno particolare rilievo: I) la teoria delle s. doppie di potenze; II) quella delle s. doppie trigonometriche.
I) Una serie doppia di potenze si scrive
e presenta profonde analogie, nel suo comportamento, con una serie semplice di potenze (XXXI, p. 437, n. 7). I coefficienti (costanti) ars, come pure le variabili x, y, si suppongono in generale complessi.
Per una tal s. non sussiste tuttavia più l'importante concetto di cerchio di convergenza. Per es. la s.
converge sotto la condizione ∣ xy ∣ 〈 1, per cui, prefissato ad arbitrio un numero ρ > 0 e preso ∣ x ∣ 〈 ρ, basterà, per la convergenza, prendere poi ∣ y ∣ 〈 1/ρ. Ma valgono per es. i seguenti teoremi, del tutto analoghi a ben noti teoremi sulle s. semplici di potenze. 1°) Se la s. converge in un punto (x0, y0), essa converge assolutamente in tutti ipunti (x, y) tali che sia ∣ x ∣ 〈 ∣ x0 ∣ , ∣ y ∣ 〈 ∣ y0 ∣. 2°) Se la s. converge in tutto un intorno dell'origine (punto x = 0, y = 0), e se la somma della s. è nulla in un insieme di punti avente l'origine come punto di accumulazione, allora la s. è identicamente nulla, cioè è ars = 0 per tutti i valori di r ed s (principio d'identità). 3°) Se (x0, y0) è un punto interno a un campo in cui la s. data converge, indicata con f(xy) la somma di questa, vale, per x ed y sufficientemente prossimi ad x0 ed y0 rispettivamente, lo sviluppo di Taylor:
per cui può ancora parlarsi di prolungamento analitico nel senso del Weierstrass. Di qui il concetto di funzione analitica che sta a fondamento di tutta la teoria delle funzioni di due variabili complesse.
II) Una serie doppia trigonometrica si usa scrivere nella forma seguente:
ove le {amn}, {bmn}, {cmn}, {dmn} sono quattro successioni doppie di numeri reali arbitrarî (coefficienti costanti) e λmn = 1/4 se m = n = 0, λmn = 1/2 se m-= 0, n > 0 oppure m > 0, n = 0, λmn = 1 se m > 0, n > 0.
Quando, data, nel quadrato Q ⊄ [0 ≤ x ≤ 2π, 0 ≤ y ≤ 2π] del piano xy, una funzione reale f(xy) integrabile (in Q) secondo Lebesgue (v. vol. XIX, p. 370, n. 22), i coefficienti vengono calcolati con le formule:
la s. doppia trigonometrica prende il nome di s. doppia di Fourier della f(xy) (XXXI, p. 438, n. 9, e fourier, XV, p. 823). Una tale s. può, in ipotesi di larga generalità, convergere ed avere per somma la f(xy). Come esempio semplicissimo si trovano, per la funzione f(xy) ⊄ xy, i coefficienti di Fourier:
Le s. doppie di Fourier, analogamente a quelle semplici, sono utile strumento per l'analisi delle funzioni di due variabili, particolarmente se a doppia periodicità, e, come tali, hanno frequenti applicazioni nella fisica.
4. - Serie multiple. - Analoga alla teoria delle s. doppie è quella delle s. multiple, la cui espressione generale è
A tale teoria non intendiamo qui neppure accennare, tanto più che essa, rispetto a quella sopra delineata delle s. doppie, si svolge con generalizzazioni che, allo stato attuale dell'analisi matematica, appariscono, in molti casi, di carattere soltanto formale.
Bibl.: H. Dörrie, Unendliche Reihen, Monaco 1951; G. H. Hardy, Divergent series, Oxford 1949; K. Zeller, Theorie der Limitierungsverfahren, Berlino 1958; O. Szász, Introduction to the theory of divergent series, New York 1948; J. G. van der Corput, Asymptotic expansions, 2 voll., Los Angeles 1950-51; A. Zygmund, Trigonometric series, 2 voll., Cambridge 1959.
Serie di potenze di più variabili complesse.
Come è stato sopra osservato, il concetto di serie multipla di potenze nel campo complesso sta alla base della teoria delle funzioni analitiche di due, o più in generale di n variabili complesse, così come accade nel caso di una sola variabile (n = 1).
Ma nel passaggio da n = 1 a n > 1 si manifestano circostanze nuove che differenziano profondamente i due casi, già nella stessa definizione e nello studio della struttura del "campo di convergenza" di una serie di potenze. Ne parleremo brevemente, limitandoci al caso di due variabili (n = 2), il quale è peraltro sufficientemente indicativo anche per il caso generale di n qualunque.
1. Raggi associati e raggio ristretto di convergenza. - Sia
una serie doppia di potenze nelle variabili complesse x, y, a coefficienti ahk complessi, considerata nell'intorno del punto (x0, y0). per lo studio delle proprietà della [1] non è restrittivo sostituire ad essa la serie
considerata nell'intorno di O(0,0). Per cercare di estendere la nozione di cerchio e raggio di convergenza, cominciamo col porre la seguente definizione: due numeri reali positivi r, s si dicono raggi associati di convergenza per la serie [2]. quando la [2] stessa è assolutamente convergente per ∣ x ∣ 〈 r, ∣ y ∣ 〈 s, mentre non lo è per ∣ x ∣ > r, ∣ y ∣ > s. I due numeri r, s non sono univocamente determinati dalla serie, anzi uno dei due può scegliersi ad arbitrio, entro certi limiti. Circa il legame tra r ed s sussiste anzitutto un teorema dovuto a E. Lemaire: tra due raggi associati r, s della serie [2] intercorre la relazione:
In particolare i raggi associati possono essere uguali (r = s = R), e il loro comune valore R prende allora il nome di raggio ristretto di convergenza della serie [2]. Campo ristretto di convergenza della serie sarà poi l'insieme dei punti (x, y) tali che ∣ x ∣ 〈 R, ∣y ∣ 〈 R.
Il raggio ristretto di convergenza della serie [2] è univocamente determinato dai coefficienti della serie stessa attraverso il seguente teorema di O. Biermann (precedente a quello di Lemaire, e in esso contenuto): Data la serie [2], se i numeri
formano un insieme limitato il numero R definito dalla formula
è il raggio ristretto di convergenza della [2].
La formula [3] è del tutto analoga a quella di Cauchy-Hadamard per le serie semplici, ma il campo ristretto di convergenza, sopra definito, è ancora insufficiente per descrivere completamente la convergenza della serie, poiché esso non comprende ancora tutti i punti di assoluta convergenza della serie.
2. Bicilindri circolari dell'S4. - Per lo studio del campo totale di convergenza di una serie di potenze, conviene rappresentare le coppie di variabili complesse x, y, (x = x1 + ix2, y = y1 + iy2) nei punti di uno spazio euclideo S4 a 4 dimensioni reali, in cui siano coordinate x1, x2, y1, y2. Il modo d'introdurre in questo spazio i punti all'infinito comporta tuttavia una differenza nell'esposizione della teoria delle funzioni analitiche di più variabili presso i diversi autori.
Nello spazio S4 s'intende per bicilindro circolare di centro O(0,0) e raggi a, b, e si indica con γa,b, il luogo dei punti di S4 per cui
Un bicilindro è dunque un campo a 4 dimensioni, che equivale topologicamente al prodotto di due cerchi, ed ha come contorno due porzioni di varietà a 3 dimensioni rappresentati rispettivamente da:
In modo del tutto analogo si definisce un bicilindro con centro in un punto qualunque (x0, y0) e raggi a, b.
3. Convergenza di una serie doppia di potenze. - Vale in proposito un primo teorema: Se l'insieme dei termini delle serie [2], calcolati in x = α, y = β (con α, β ≠ 0) è limitato, cioè se:
presi due numeri positivi a, b tali che a 〈 ∣ α ∣, b 〈 ∣ β ∣, la serie converge totalmente nel bicilindro Γa,b di centro O e raggi a, b incluso il contorno.
Si osservi subito che la condizione [5] non implica la convergenza della serie nel punto (α, β); né può la [5] sostituirsi con la condizione che la serie converga semplicemente in (α, β) (se però la serie converge assolutamente la condizione [5] è certamente soddisfatta). Si noti d'altronde che il teorema analogo per le serie semplici vale sia nell'ipotesi [5], sia nell'ipotesi di convergenza semplice della serie.
In generale si definisce come bicilindro di convergenza della serie [2] ogni bicilindro tale che la serie [2] converga totalmente in ogni campo ad esso interno. I bicilindri Γa,b di cui al teorema sono particolari bicilindri di convergenza per la serie, per i quali la convergenza ha luogo anche sul contorno.
4. Il campo totale di convergenza. - Per le serie di potenze di una variabile il campo totale di convergenza è definito come l'insieme dei punti in cui la serie converge, e dei loro punti di accumulazione; esso è un cerchio nel piano della variabile complessa x e risulta covariante della serie stessa rispetto alle sostituzioni lineari intere sulla x. Adottando un'analoga definizione per il campo di convergenza di una serie doppia, il campo così definito non risulterebbe covariante per sostituzioni lineari intere sulle due variabili x, y. Per questo ed altri motivi una siffatta definizione per le serie doppie ha scarso interesse e conviene pertanto adottare la seguente: campo totale di convergenza della serie doppia [2] è l'insieme Γ dei punti di S4 (fuori di x = 0 e y = 0) in ciascuno dei quali l'insieme dei termini della serie è limitato, e dei loro punti di accumulazione. E basta che in Γ esista un punto diverso da O(0,0), perché Γ stesso sia un campo a 4 dimensioni. Con questa definizione la serie [2] risulta assolutamente convergente in ogni punto interno a Γ. Inoltre ogni punto interno a Γ è interno a qualche bicilindro di convergenza e viceversa. Il campo totale di convergenza della [2] può pertanto definirsi anche come l'insieme dei punti di S4 ciascuno dei quali è in qualche bicilindro di convergenza; oppure anche come l'insieme dei punti di S4 (fuori di x = 0, y = 0) nei quali la serie converge assolutamente, e dei loro punti di accumulazione.
Come si comporta la serie [2] sul contorno del campo Γ e fuori di Γ? (si suppone d'ora in poi il campo Γ limitato).
Sul contorno di Γ possono esistere punti in cui la serie converge assolutamente, ma nulla può dirsi in generale. In punti esterni a Γ la serie può convergere semplicemente fuori di x = 0 e y = 0, e può convergere assolutamente su x = 0 o y = 0.
Il campo totale di convergenza Γ risulta peraltro covariante della serie rispetto alle sostituzioni lineari intere sulle due variabili x, y.
Se si fosse adottata come definizione di campo di convergenza quella di insieme dei punti in cui la serie converge assolutamente e dei loro punti di accumulazione (senza la condizione: fuori di x = 0, e y = 0), si sarebbe ottenut,. per quanto detto, un insieme somma del campo T (a 4 dimensioni), prima definito, e di eventuali "frange" (ted. Stachel) di dimensione 2 su x = 0, o y = 0.
5. Alcune proprietà delle serie multiple di potenze. - Per le serie multiple di potenze vale il principio d'identità già menzionato nella parte precedente della voce.
Sussiste inoltre il teorema di derivabilità termine a termine: la serie [2] è derivabile termine a termine rispetto ad x in ogni punto interno al campo Γ di convergenza della [2]; cioè. chiamando f(x, y) la somma delle serie, si ha:
Analogamente per la derivazione rispetto ad y:
Però contrariamente a quanto accade per le serie semplici, il campo Γx di convergenza della serie [6] non coincide necessariamente con quello Γ della serie data, ma può essere più ampio; e i due campi Γx, Γy possono essere diversi.
Il teorema di derivabilità termine a termine può naturalmente applicarsi più volte; da ciò si può dedurre, tra l'altro, lo sviluppo di Taylor della f(x, y) valido.
Ricordiamo infine la proprietà fondamentale espressa dal teorema: la funzione f(x,y), somma della serie [2], è sviluppabile in serie di Taylor nell'intorno di ogni punto (x0, y0) interno al campo totale Γ di convergenza. Tale sviluppo converge totalmente in ogni bicilindro di centro (x0, y0) contenuto in Γ (vedi parte precedente della voce, al n. 3).
Funzioni analitiche di più variabili complesse.
Accenneremo all'introduzione delle funzioni analitiche di più variabili secondo i punti di vista di Weierstrass, Cauchy e Riemann, cercando soprattutto di sottolineare le analogie, come pure le profonde differenze, con le funzioni analitiche di 1 variabile.
6. Punto di vista di Weierstrass. - La definizione di funzione analitica secondo Weierstrass, nel caso di più variabili, è del tutto analoga a quella relativa a una sola variabile (cfr. vol. XVI, p. 191).
Introdotte allo stesso modo le nozioni di elemento analitico e di prolungamento analitico (sostituendo semplicemente a una serie semplice una serie doppia, e al cerchio di convergenza, il campo totale Γ) si definisce come funzione analitica l'insieme di tutti gli elementi analitici dedotti per prolungamento analitico da un elemento iniziale. I punti (x, y) interni al campo di convergenza di qualche elemento analitico che definisce la funzione f si dicono punti di regolarità per f e ne costituiscono il campo di regolarità C, che risulta un insieme aperto e connesso dello spazio S4. I punti di accumulazione di C, ad esso non appartenenti, sono i punti singolari della funzione; questi, insieme con i punti di C, formano il campo di esistenza Å della funzione. che risulta così essere la chiusura topologica del campo C (talvolta si usa il termine "campo di esistenza" in luogo di "campo di regolarità").
7. Funzioni olomorfe e meromorfe. - Una qualsiasi funzione uniforme di due variabili complesse x, y, si dice olomorfa in un punto P di S4, se nell'intorno di P è sviluppabile in serie doppia di potenze; olomorfa in un campo, se è tale in ogni punto del campo. Ad esempio una funzione analitica uniforme (definita come sopra) è olomorfa in tutto il suo campo di regolarità.
Un teorema di E. Goursat dà una condizione necessaria e sufficiente di olomorfia: perché una funzione uniforme f(x, y) sia olomorfa nel punto P, occorre e basta che essa ammetta in P derivate parziali prime monogene (cioè indipendenti dal modo di passare al limite nel calcolarle). Questo poggia a sua volta su un importante teorema dovuto a F. Hartogs: una funzione f(x, y) olomorfa in un campo di S4 rispetto a ciascuna delle due variabili separatamente, è olomorfa anche rispetto al nuovo complesso.
Una funzione analitica uniforme f(y, x) si dice meromorfa in un punto P del suo campo di esistenza Å, se esiste un intorno I di P, tale che in I ⋂ _C la funzione possa esprimersi come quoziente di due funzioni olomorfe ϕ(x, y) ψ(x, y) cioè f(x, y) =
Una funzione si dice poi meromorfa in un campo se è tale in ogni punto del campo. Un teorema analogo a quello di Hartogs per le funzioni olomorfe è stato dimostrato da R. Caccioppoli per le funzioni meromorfe di due variabili.
8. Punti Singolari delle funzioni analitiche. - I punti singolari di una funzione analitica f(x, y), già sopra definiti, si distinguono in due tipi: punti singolari inessenziali (sono quei punti singolari in cui f(x, y) è meromorfa), e punti singolari essenziali (tutti gli altri).
I punti singolari inessenziali possono essere di due specie: di 1ª specie o poli, di 2ª specie o punti d'indeterminazione effettiva. Un punto (x0, y0) è un polo per la f(x.y) se esiste ed è infinito il
comunque si faccia tendere il punto (x,y) al punto (x0, y0) entro il campo di regolarità della funzione. Se viceversa tale limite non è determinato, il punto considerato è d'indeterminazione effettiva. A titolo di esempio si osserverà che la funzione f(x, y) =
ha un polo nel punto (0,0); invece la funzione
presenta un punto d'indeterminazione effettiva nel punto (0,0). Tra i punti di regolarità si possono incontrare i cosiddetti punti d' "indeterminazione apparente"; questi non sono punti singolari perché, come indica il termine stesso, si tratta di una indeterminazione eliminabile; è punto siffatto il punto (0,1) per la funzione
la quale, eliminando un comune fattore ai due membri della frazione, si riduce alla
ed è pertanto regolare nel punto considerato.
Importa osservare che si presentano qui circostanze senza riscontro nella teoria delle funzioni di una variabile: intanto i punti d'indeterminazione effettiva non esistono per funzioni di una variabile; e poi il fatto fondamentale, osservato per primo da A. Hurwitz. che una funzione analitica di più variabili non può avere punti singolari isolati. Così la funzione sopra considerata
ha sì un polo nell'origine (0,0), ma ha anche un polo in ogni punto (0, h) con h prossimo a zero; esiste quindi una varietà, a due dimensioni reali, uscente dall'origine e tutta costituita da poli: è una varietà polare della funzione stessa. Approfondite indagini, su cui non possiamo trattenerci, hanno messo in luce la struttura dell'insieme dei punti singolari, sia inessenziali che essenziali.
9. Principali teoremi sulle funzioni analitiche. - Non possiamo che limitarci a rapidi cenni, prima sulle funzioni olomorfe, poi sulle funzioni meromorfe.
Per le funzioni olomorfe vale l'analogo del teorema di Liouville: Una funzione analitica f(x, y), ovunque olomorfa al finito e limitata, è una costante. E anche: una funzione analitica f(x, y), olomorfa dovunque al finito e all'infinito, è una costante. Accanto a queste ovvie estensioni ne esistono però altre più significative, tra le quali ricordiamo quella espressa da un teorema di F. Severi: una funzione f(x, y), considerata sulla superficie o di S4 luogo dei punti complessi di una curva algebrica irriducibile F(x,y) = 0, qualora sia olomorfa rispetto alle due variabili x, y sulla superficie σ, è costante in tutto l'S4.
Ma il punto culminante della teoria. che ne costituisce uno dei fatti più riposti e inaspettati, è segnato dal teorema di F. Hartogs: Se una funzione uniforme f(x, y) è olomorfa nei punti del contorno, supposto connesso, di un dominio limitato D di S4, è possibile prolungare la f(x, y) come funzione olomorfa in tutto l'interno di D. Questo teorema non ha affatto l'analogo nel caso di una variabile, ove può ben accadere che una funzione f(x) sia olomorfa nei punti di una curva chiusa del piano della variabile complessa x, senza essere olomorfa in tutti i punti del dominio racchiuso dalla curva.
La teoria delle funzioni meromorfe si articola su risultati e teoremi, che, almeno in parte, rispecchiano situazioni analoghe relative alle funzioni olomorfe. Anzitutto l'analogo del precedente teorema di Severi, dovuto al medesimo autore, si enuncia: una funzione meromorfa rispetto alle due variabili indipendenti, nei punti di una superficie σ di S4 luogo dei punti di una curva algebrica irriducibile, è una funzione razionale. Inoltre sussiste un teorema assai riposto, analogo a quello di Hartogs, e dovuto a E. E. Levi, che assicura la possibilità del prolungamento meromorfo di una funzione all'interno di un campo, conoscendo il carattere meromorfo della funzione sul contorno del campo stesso.
10. Il punto di vista di Cauchy. - Il punto di vista di Cauchy nella teoria delle funzioni di una variabile complessa consiste nel partire dalla nozione di olomorfismo di una funzione e, attraverso il teorema integrale di Cauchy e la formula di Cauchy, giungere alla sviluppabilità in serie di Taylor della funzione nell'intorno di ogni punto del suo campo di olomorfismo; in tal modo ci si ricongiunge al punto di vista di Weierstrass. Passando alle funzioni di due variabili, si hanno risultati analoghi, ma ancora ben lungi dal costituire una teoria altrettanto sviluppata; e ciò sia perché la teoria dell'integrazione, nel passaggio a più variabili, si può generalizzare in diverse direzioni, sia perché intervengono fatti topologici di notevole complessità.
Accenniamo brevemente a come si possa fare l'estensione. Si assume anzitutto la seguente definizione di funzione olomorfa (diversa dalla precedente, ma che risulta ad essa equivalente): la funzione uniforme f(x, y) è olomorfa in un campo di S4 se per ogni punto (x0, y0) del campo esiste un bicilindro circolare di centro (x0, y0) nel quale la funzione è olomorfa separatamente rispetto alla x e alla y. Separando il reale dall'immaginario
(con u, v funzioni reali delle 4 variabili reali x1, x2, y1, y2), le condizioni di olomorfismo si esprimono attraverso le quattro equazioni
Pensiamo la x e la y distese in due piani di Argand-Gauss e variabili rispettivamente in due campi C1, C2 dei due piani, e pensiamo la f(x, y) definita nel bicilindro (generalizzato) di S4 prodotto topologico C1 × C2. In queste condizioni si può enunciare il teorema di Cauchy nel modo seguente: Se f(x, y) è olomorfa nel bicilindro C1 × C2 e γ1, γ2 sono due qualunque cicli a una dimensione contenuti in C1, C2 e omologhi a zero, risulta:
ove l'integrale a primo membro si può intendere eseguito con due integrazioni successive rispetto ad x e ad y.
Nelle stesse ipotesi del teorema precedente si dimostra la formula integrale di Cauchy:
la quale fornisce il valore della funzione in un qualsiasi punto (ξ, η) (con ξ interno a γ1 ed η interno a γ2), mediante una doppia integrazione.
Per stabilire il collegamento con il punto di vista di Weierstrass si procede ora come per le funzioni di una variabile pervenendo senza gravi difficoltà alla formula
la quale esprime la sviluppabilità in serie di Taylor della funzione data a partire da un punto qualunque (x0, y0) del suo campo di olomorfismo.
L'estensione della teoria di Cauchy. a cui abbiamo accennato, è senza dubbio la più immediata; non si può dire però che essa si sia rivelata abbastanza generale e significativa. Si conoscono altre estensioni, di natura più elevata, della teoria di Cauchy, dovute in gran parte alle ricerche di E. Martinelli; esse poggiano sull'uso della teoria delle forme differenziali esterne nel campo complesso e mettono in luce importanti collegamenti della teoria delle funzioni di più variabili complesse con la topologia, su cui non possiamo però qui trattenerci.
11. Il punto di vista di Riemann. - Se u e v sono la parte reale e immaginaria di una funzione olomorfa f(x, y), esse devono soddisfare le condizioni di olomorfismo [7]; da queste segue che la funzione
soddisfa il seguente sistema di quattro equazioni differenziali
e naturalmente la v soddisfa un sistema analogo.
Ora i due sistemi [7] e [8] sono equivalenti nel senso che ogni soluzione (u, v) della [7] è costituita da due funzioni u, v che soddisfano separatamente il sistema [8]; viceversa ad ogni soluzione u del sistema [8], si può associarne un'altra, v, in modo che (u, v) sia una coppia di soluzioni del sistema [7], e in modo quindi che la funzione u + iv sia olomorfa. La determinazione di una funzione olomorfa può dunque in qualche modo sostituirsi con la risoluzione del sistema [8], cioè con la ricerca delle funzioni biarmoniche (così si chiamano le soluzioni di [8]) che sono particolari funzioni armoniche, per le quali è possibile considerare un problema di Riemann -Dirichlet.
Anche questo metodo per costruire funzioni olomorfe di più variabili non ha avuto adeguato sviluppo, forse perché lasciato in ombra agli inizî della teoria; successivamente esso è stato però rimesso in onore nel corso di ricerche dovute a T. Levi Civita, W. Wirtinger, F. Severi e G. Fichera.
Bibl.: W. F. Osgood, Lehrbuch der Funktionentheorie, II, Lipsia 1929; H. Behnke e P. Thullen, Theorie der Funktionen mehrerer Komplexer Veränderlichen, Berlino 1934; S. Bochner e W. T. Martin, Several complex variables, Princeton 1948; F. Severi, Lezioni sulle funzioni analitiche di più variabili complesse (litografie), Padova 1958.