SERGI, Sergio.
– Nacque a Messina il 13 marzo 1878 da Giuseppe, antropologo, e da Maria De Leo.
Conseguita la laurea in medicina presso l’Università di Roma nel 1902, con una tesi sulla fisiologia del cervelletto, continuò a frequentare assiduamente l’ambiente medico dell’Ateneo romano. Divenne assistente volontario dapprima presso l’Istituto di fisiologia sperimentale diretto da Luigi Luciani, in seguito nell’Istituto di chimica fisiologica diretto da Domenico Lo Monaco, e ancora nell’Istituto di psichiatria diretto da Augusto Tamburini. Inoltre, tra il 1902 e il 1906 lavorò nel laboratorio anatomopatologico del manicomio provinciale di Roma diretto da Giovanni Mingazzini e frequentato in quegli anni anche da Ugo Cerletti e Gaetano Perusini. L’intensa attività svolta dopo la laurea gli valse tre premi conferitigli dalla facoltà di medicina: il premio Maggi per la fisiologia sperimentale (1903) e due premi Corsi, uno per la neuropatologia (1905) e uno per la psichiatria (1906).
Nel 1906 vinse una borsa di perfezionamento all’estero, bandita dal ministero della Pubblica Istruzione, per l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso. Si recò dunque a Berlino, dove per due semestri accademici frequentò come interno l’istituto di anatomia diretto da Wilhelm Waldeyer, l’istituto di antropologia diretto da Felix von Luschan e la clinica delle malattie nervose e mentali diretta da Theodor Ziehen. Negli istituti berlinesi Sergi compì studi importanti su crani di abissini e cervelli di Herero, da cui trasse le opere Crania Habessinica, pubblicata nel 1912 a cura e spese della Fondazione Rudolf Virchow, e Cerebra Hererica che gli valse il premio Fauvelle della Société d’anthropologie di Parigi (1911).
Rientrato a Roma, riprese il suo lavoro in università e in manicomio. Nell’ospedale psichiatrico romano svolse le funzioni di medico primario fino al 1924, associando ricerca sperimentale e osservazione clinica. In ambito accademico, invece, entrò nell’istituto di antropologia diretto dal padre Giuseppe, dapprima come assistente volontario poi come aiuto, e nel 1908 conseguì la libera docenza in antropologia.
Sebbene destinati agli studenti di scienze naturali, i corsi proposti da Sergi ponevano l’accento anche sugli aspetti più propriamente sociali dei fenomeni analizzati. Così, ad esempio, il corso di antropologia etnologica tenuto nell’anno accademico 1911-12, era intitolato La donna nei suoi caratteri fisici e sociali. Dopo aver preso in esame l’organismo femminile (morfologia, fisiologia della donna adulta, caratteri sessuali ed estetici), Sergi trattava delle varie fasi di vita della donna considerate «nella loro parte biologica ed etnologica», con ciò intendendo «usi, costumi e credenze» (Programma del corso libero di antropologia, anno accademico 1911-12, in Roma, Archivio storico dell’Università di Roma La Sapienza (pos. AS4576), foglio dattiloscritto). Gli argomenti presi in esame erano periodo fetale, infantile, pubertà, mestruazioni, matrimonio, fecondazione, sterilità, gravidanza, parto, allattamento, vedovanza, vecchiaia, morte. Il professore avrebbe poi analizzato anche il lato patologico criminale della donna (prostituzione, malattie mentali e delitto), argomento di grande interesse scientifico, e politico, fin dalla seconda metà dell’Ottocento (si veda V.P. Babini, Il lato femminile della criminalità, in V.P. Babini - F. Minuz - A. Tagliavini, La donna nelle scienze dell’uomo. Immagini del femminile nella cultura scientifica italiana di fine secolo, Milano 1989, pp. 25-77).
La competenza di Sergi sul versante psichiatrico e criminologico portò Enrico Ferri, fondatore insieme a Cesare Lombroso della scuola giuridica positiva, ad affidargli l’insegnamento di antropologia generale giudiziaria presso la Scuola di applicazione giuridico-criminale dell’Ateneo romano da lui diretta.
Sergi non insegnò solo all’università. Dal 1910 fu docente anche alla Scuola ortofrenica di Roma, aperta nel 1900 da Giuseppe Montesano e Maria Montessori per l’insegnamento ai bambini frenastenici. Qui tenne cicli annuali di conferenze di antropologia per i maestri della scuola.
Durante la prima guerra mondiale Sergi si divise ancora tra antropologia e psichiatria: mentre dirigeva il reparto psicopatici dell’ospedale militare principale di Roma (per questa attività ricevette la croce di cavaliere della Corona d’Italia al termine del conflitto), fu incaricato dalla facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali dell’Ateneo romano dell’insegnamento di antropologia e della direzione dell’istituto di antropologia, incarichi che il padre aveva lasciato nel 1916 per raggiunti limiti di età. Con lui l’istituto divenne un centro di studi antropologici sempre più estesi, che includevano la morfologia e la psicofisiologia etnica dove grande attenzione era dedicata all’analisi del vivente. Grazie a donativi di enti e privati, Sergi incrementò notevolmente il museo e il laboratorio di antropologia, rinnovando i macchinari.
Costruì egli stesso nuovi apparecchi, tra cui l’apostasimetro, ideato per la corretta misurazione sul cranio e sulla testa della distanza di vari punti mediani dall’asse biauricolare; il tricocicloforo, per la misura dei vari possibili diametri del fusto del pelo e della loro posizione reciproca (strumento, quest’ultimo, utile anche ai fini medico-legali per identificare tra i vari indiziati l’omicida); il pantogoniostato cranio-osteoforo, per rilevare il contorno del cranio e di qualsiasi altro osso secondo i vari possibili piani, attraverso la misurazione in gradi dell’inclinazione di questi rispetto ai tre piani fondamentali dello spazio.
Sergi succedette al padre anche nella direzione della Società romana di antropologia, dandole nuovo impulso. Eletto vicesegretario nel 1908, tre anni più tardi propose di dare all’organo di stampa della società il nuovo nome di Rivista di antropologia, conservando nel sottotitolo la vecchia denominazione di Atti della Società romana di antropologia e non cambiando la numerazione dei volumi. È del 1933, invece, la proposta di modificare il nome della società in Istituto italiano di antropologia. I cambiamenti suggeriti da Sergi, entrambi accolti con favore, lungi dal rappresentare un segno di discontinuità rispetto all’opera paterna, miravano ad accentuare quella rilevanza nazionale dell’Associazione e della Rivista già esistente dai primi anni della loro istituzione (avvenuta nel 1893).
Nel 1925 vinse il concorso per titolare di cattedra e l’anno successivo sposò Maria Genna, con cui aveva pubblicato l’articolo Sulla differenza del tempo di reazione semplice negli arti simmetrici, apparso sulla Rivista di antropologia nel 1921 (XXIV, pp. 301-390), sorella peraltro del collega antropologo Giuseppe. Dal matrimonio nacque, l’anno successivo, la figlia Maria.
Fu soprattutto nel campo della paleoantropologia e paleoarchelogia che Sergi ottenne fama e prestigio internazionali, grazie ad alcune importanti scoperte e spedizioni effettuate tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. Nel 1929 dimostrò per la prima volta la presenza in Italia dell’uomo di Neanderthal, illustrando il cranio fossile estratto quell’anno dalle ghiaie alluvionali dell’Aniene nella località romana di Saccopastore. Nel 1934 partecipò a una spedizione archeologica nel Fezzan (attuale Libia), organizzata dalla Reale Società geografica italiana e dove gli scavi effettuati fornirono un’importante documentazione antropologica sui Garamanti, antica popolazione berbera del Sahara. Sergi diede conto di queste sue ricerche in numerosi congressi nazionali ed esteri, e pubblicò i risultati su bollettini e riviste.
Negli anni del fascismo utilizzò l’arma del richiamo al rigore scientifico e metodologico per contrastare le facili semplificazioni e la strumentalizzazione degli studi sulle razze umane da parte dell’ideologia fascista (di fatto, lo stesso ‘antidoto’ utilizzato dal padre Giuseppe). Per questo motivo la Rivista di antropologia da lui diretta rimase anche in quegli anni strumento di diffusione di una conoscenza scientifica dell’uomo scevra da implicazioni politiche e lontana dalla retorica ampiamente presente in altri organi di stampa, quali Razza e civiltà e La difesa della razza. Nell’anno delle famigerate leggi razziali, Sergi, che non risulta tra i firmatari del Manifesto della razza, si rifiutò di compilare le ‘schede personali’ dove si doveva segnalare l’eventuale appartenenza alla ‘razza ebraica’ dei dipendenti pubblici. Il 13 gennaio 1945 la commissione per l’epurazione del personale universitario, composta da Andrea Lorusso Caputi (consigliere della Corte suprema di cassazione), Vittorio Marchese (ispettore superiore del ministero) e Luigi Salvatorelli (designato dall’alto commissario aggiunto per l’epurazione) rinunciò al procedimento di epurazione a carico di Sergi richiesto il 30 novembre 1944 dal commissario aggiunto per l’epurazione.
Durante la seconda guerra mondiale diresse l’ospedale militare territoriale di Pesaro. Fuori ruolo per raggiunti limiti di età dal novembre del 1948 e collocato a riposo nel novembre del 1953, Sergi continuò fino al 1964 a tenere nell’Ateneo romano corsi liberi (equipollenti ai corsi ufficiali) di biologia delle razze umane.
Sostenitore fino all’ultimo di una «idea unitaria di uomo» e di un’antropologia che, in quanto «storia naturale dell’uomo», doveva essere composta da «morfologia, genetica, fisiologia ma anche psicologia» (Pogliano, 2005, pp. 434 s.), Sergi proprio su questo tema aprì il Congresso internazionale di scienze antropologiche ed etnologiche, svoltosi a Parigi nel 1960.
Morì a Roma il 22 giugno 1972, all’età di 94 anni.
Fonti e Bibl.: Le notizie biografiche e relative alla carriera accademica sono ricavate dal fascicolo personale di Sergio Sergi conservato presso l’Archivio storico dell’Università di Roma Sapienza (pos. AS4576).
V. Correnti, Commemorazione ufficiale del Prof. S. S., in Rivista di antropologia, 1972-1973, vol. 58, pp. 9-34; S. Puccini, L’antropologia a Roma tra Giuseppe e S. S., ibid., 1993, vol. 71, pp. 229-247; C. Pogliano, L’ossessione della razza. Antropologia e genetica nel XX secolo, Pisa 2005, pp. 41-64, 369-427.