Citti, Sergio
Regista, soggettista e sceneggiatore cinematografico, nato a Roma il 30 maggio 1933. Il percorso dei suoi film si inoltra in una dimensione atemporale, con una scrittura limpida, segno di un'estrema concisione intellettuale, e una narrazione che può espandersi all'infinito. Muovendosi in un mondo inventato che ha però le stimmate del presente, C. ritrova un legame con il mito e la metastoria, collegandosi a un mondo arcaico. Il suo lavoro è esempio di una cifra espressiva insolita nel panorama del cinema italiano: questo forse spiega come mai un autentico autore come lui stenti a realizzare i suoi progetti malgrado sia ricco di idee da grande affabulatore. In quasi tutti i suoi film ha utilizzato come protagonista il fratello Franco, con il quale ha collaborato alla regia di Cartoni animati (1997).
Le origini proletarie e il suo vissuto nella periferia romana contribuirono a farlo entrare in sintonia con il mondo di Pier Paolo Pasolini, che incontrò nel 1954 e con il quale instaurò un'ininterrotta collaborazione. Lo scrittore-regista lo coinvolse fin d'allora come consulente nella ricostruzione del lessico romanesco per i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959). Fu sempre la frequentazione di Pasolini che lo indusse a iniziare il lavoro nel cinema come collaboratore ai dialoghi, per Federico Fellini (Le notti di Cabiria, 1957), Mauro Bolognini (La notte brava, 1959; La giornata balorda, 1960), Franco Rossi (Morte di un amico, 1960), Bernardo Bertolucci (La commare secca, 1962), e Pasolini stesso (Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962). Di quest'ultimo fu poi aiuto regista in otto film, da La ricotta (episodio del film collettivo RO.GO.PA.G., 1963) a I racconti di Canterbury (1972), e sceneggiatore (con Pupi Avati) per Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
Ha esordito come regista nel 1970 con Ostia (scritto in collaborazione con Pasolini), sul rapporto affettivo tra due fratelli, 'ragazzi di vita' divisi dall'incontro con una ragazza, film nel quale le implicazioni inconscie riflettono, come racchiuse in una sfera, un'inquietudine panica. Il successivo Storie scellerate (1973), ambientato in una Roma ottocentesca ispirata a G.G. Belli, sembra calarsi dentro la favola del tempo, ritrovando umori e cinismo di una concezione arcaica della storia. La realtà vi emerge fantasticata in una 'innocenza' figurativa che intreccia e disperde il percorso delle 'storie', come in un itinerario smarrito. Questo 'gioco perverso' viene mantenuto anche in Casotto (1977), nel sovrapporsi delle vicende chiuse in una cabina balneare. Il film, che in apparenza ricalca il genere della commedia, in realtà è una raggelante visione del vuoto. Realizzato dopo l'assassinio di Pasolini, la morte vi diventa una connotazione immanente, passa nelle risate dei protagonisti inconsapevoli, quasi in un rifiuto a drammatizzare. In Due pezzi di pane (1979), al di là della favola (le grottesche disavventure di due suonatori ambulanti), la significazione si rifrange in più sensi che rivelano percorsi sotterranei e immagini speculari. Un'inquietudine sottende tutto l'arco narrativo del film, un itinerario che si muove in un tempo astratto. Un'estenuante reiterazione con impercettibili modificazioni inscrive nella favola l'immagine onirica, la luce inghiotte i fatti in eventi immaginari e trascolora la stessa finzione nel vero. Sul terreno dell'allegoria si muove anche Il minestrone (1981), lungo le situazioni di fame atavica di due vagabondi che diventano sempre più enigmatiche, tendenti al surreale come tessuto segreto. Franco Citti e Ninetto Davoli si muovono silenziosi, prima estranei poi complici, e con loro C. mette in scena la fame, protratta all'infinito in un viaggio verso la morte che si interrompe nell'attimo che precede la soluzione 'naturale'. Anche nella serie televisiva Sogni e bisogni (1984) il dato reale si infrange nel dato immaginifico e un disincanto visivo rende il senso del mistero: soprattutto nell'episodio Verde luna, visione ghiacciata di un paesaggio mentale, apologo narrato con una limpidezza giocosa totalmente filmica, con intuizioni e metafore cariche di sensi continuamente mutanti. In Mortacci (1989) C., con il suo saper essere ingenuo ma mai naïf, conduce alla lieve essenza di un cinema che guarda il mondo con ironia, costruendo la sua favola sui morti che escono dalle tombe come un giocoso rovesciamento di condizioni. Si avverte il suo senso metafisico e l'incanto di una visionarietà, per es. in quelle terribili facce di compaesani che decretano la messa a morte del soldatino dato per disperso, quasi delle allucinazioni alla David Lynch che toccano gli orli di una zona remota, dove si incontrano l'impossibile e il possibile. In I Magi randagi (1996) il vagabondaggio diventa parabola: tre saltimbanchi travestiti da re Magi si ritrovano in un viaggio onirico seguendo prima il loro istinto e poi la stella cometa. Nel loro itinerario mitico passano mari, montagne e paesi, aggregano piccole folle, rimuovono ostacoli, e raggiungono una borgata di Roma dove assistono alla nascita di una 'bambina-Gesù', in un cerchio di pietre che è anche il luogo tombale del Poeta, circondato dai suoi personaggi. Su questo percorso si colloca Cartoni animati: un film lunare, una parabola dove sogno e realtà si congiungono in un apologo amaro. In Vipera (2001) ritorna lo spirito del cantastorie, attraverso la favola drammatica di una ragazza alla ricerca del figlio perduto nell'Italia dell'immediato dopoguerra.
Nel 1989 ha scritto per "Filmcritica" (nr. 400, pp. 666-71) un soggetto inedito: La pietà di una cosa.
M. Paganelli, Conversazione con Sergio Citti, in "Filmcritica", 1978, 282, pp. 63-69.
E. Bruno, C. Piccino, Conversazione con Sergio Citti, in "Filmcritica", 1989, 394, pp. 228-37.
La terra vista dalla luna, a cura di S. Toffetti, Torino 1993.
Mi chiamo Sergio Citti, racconto storie, a cura di A. Macis, S. Naitza, Cagliari 1999.
B. Roberti, Il canto della storia, in "Filmcritica", 2001, 516-517, pp. 314-17.