separato
Participio passato di uso tecnico, dal latino separatus-um che nel linguaggio scolastico traduceva il termine greco χωρισϑὸς, ricorrente in Aristotele, nel significato di " astratto ", " assoluto " da materia. In tal senso s. era passato a denotare soprattutto ogni sostanza o forma, in quanto esistente per sé, sottratta alla materia e perciò incorporea e incorruttibile.
La nozione era tradizionalmente attribuita a Platone e alla sua dottrina delle idee, concepite come ‛ universali reali ' o ‛ sostanze s. ', ‛ esemplari ' o ‛ modelli ' delle cose sensibili, e, quindi, cause di esse (Egidio Romano Theoremata de ente et essentia 5 " idea, secundum Platonem, erat ipsa forma separata per se existens, et ab idea fiebat generatio, prout ab ipsa forma separata participatur forma in materia "), dottrina sottoposta a critica da Aristotele (cfr. Metaph. I 9, 990 a 34 ss., VII 16, 1040 b 27 ss., e il commento di Tommaso a quest'ultimo luogo: " in hoc recte facit Plato, ex quo posuit species esse substantias, quod posuit eas separatas. In hoc autem non dixerunt [i platonici] recte, quia dicunt unam speciem esse in multis. Haec enim duo videntur esse opposita: quod aliquid sit separatum per se existens, et tamen habeat esse in multis ", VII lect. XVI; v. anche Sum. theol. I 50 3c, 84 1c " Plato, ut posset salvare certam cognitionem veritatis a nobis per intellectum haberi, posuit ista corporalia aliud genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive ideas, per quarum partecipationem unumquodque istorum singularium et sensibilium dicitur vel homo vel equus vel aliquid huiusmodi. Sed hoc dupliciter apparet falsum "). La tradizione neoplatonica accentrò l'ipostatizzazione delle idee di Platone, concependole come altrettante ‛ sostanze ' intellettuali, riunite in un superiore " mondo intelligibile " e ‛ separate ' dal mondo sensibile, a cui erano unite da un mero rapporto d'imitazione o partecipazione (in tal senso Agostino parlava di rationes rerum presenti nella mente divina come modelli delle realtà terrene). La nozione neoplatonica delle essenze separate venne a contaminarsi e a fondersi con l'angelologia medievale (in particolare per opera dello pseudo-Dionigi), che concepiva gli angeli come enti intermedi tra Dio e mondo. Un nuovo elemento di discussione sul concetto di s. - e quindi di sostanza s. - venne dall'immissione delle opere aristoteliche nella teologia latina. Aristotele infatti aveva criticato la nozione platonica di idea s. come realmente distinta dalla sostanza sensibile, e come principio trascendente la molteplicità degl'individui di una specie: nell'ente determinato concreto, infatti, non si dava separazione reale tra forma (o idea) e materia, ma unione perfetta (sinolo). In tal senso la forma o essenza del sinolo può essere s. solo in quanto ‛ astratta ' secondo ragione, e anzi la sua separazione razionale dalla materia è condizione della sua intelligibilità. Parimenti, la critica alle idee di Platone, in quanto s. e collocate nell'iperuranio, immobili e prive di capacità di produrre movimento e, quindi, cangiamento, portò Aristotele a concepire delle sostanze s., " menti " preposte al movimento di ciascuna sfera celeste (Intelligenze motrici) e, indirettamente, ai processi di generazione e corruzione del mondo sublunare.
Tali Intelligenze sono sostanze s. da materia, eterne e incorruttibili, tante quante sono i cieli (Metaph. XII 8, 1073a 22 ss.). La giustapposizione della cosmologia aristotelica e dell'angelologia medievale generò così il problema della possibile identificazione degli angeli con tali sostanze s. o intelligenze motrici. In particolare all'interpretazione ortodossa di Aristotele (soprattutto degli averroisti) per cui le intelligenze erano considerate s. da materia, eterne, immobili, infinite, una per ogni cielo, e organi di causalità universale, si opponeva la concezione tradizionale francescana, che vedeva negli angeli esseri ilemorfici (formati cioè di una forma e di una materia spirituale), intermedi tra il mondo e Dio, che nella sua libera volontà creatrice non era necessitato da essi come mediatori della causalità celeste.
D. sembra in particolare avvicinarsi alla concezione più strettamente aristotelica delle sostanze s. allorché definisce queste ultime come le sustanze separate da materia, cioè intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli (Cv II IV 2). L'espressione sustanze separate (III VII 5, VIII 15) è peraltro talora sostituita dall'analoga espressione intelligenze separate (III XIII 5 e 7).
Per Cv II IV 13 non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo de l'Etica, che a le sustanze separate convegna pure la speculativa vita, si porta a riscontro Arist. Eth. Nic. X 8, 1178a 19-22 " Concopulatae autem et hae passionibus circa compositum utique erunt. Compositi autem virtutes humanae, et vita utique, et quam secundum has felicitas. Quae autem intellectus separata ". A sua volta s. Tommaso (Exp. in Eth. Nic. X lect. XII 2115) così commenta l'ultima proposizione aristotelica: " vita et felicitas speculativa, quae est propria intellectus, est separata et divina " (v. INTELLIGENZA; sostanza; e B. Nardi, Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960, 37-62).