sentenza (sentenzia)
I valori fondamentali del termine possono essere così indicati: " opinione in merito a qualcosa ", " giudizio su una controversia ", " dottrina di un filosofo ", " significato di una frase o di un discorso ", risultando così coperta l'area semantica che s. occupa nel lessico del tempo.
Dal latino sententia, il termine infatti designa, nel linguaggio dotto, un atto della facoltà intellettiva, e innanzi tutto un giudizio (v.); più precisamente, designa l'atto finale e conclusivo di un procedimento razionale, o la ‛ conclusione ' di un sillogismo, in ordine a ciò che è da fare, e perciò il giudizio finale nel quale culmina un processo di deliberazione: cfr. Papia Vocabulista " Sententia est liberi arbitrii alicuius expressum de re aliqua iudicium, quid sit vel esse debeat aut non "; Tomm. Sum. theol. I II 13 1 ad 2 " Conclusio ... syllogismi qui fit in operabilibus ad rationem pertinet; et dicitur sententia vel iudicium, quam sequitur electio "; e 3c " Sententia sive iudicium rationis de rebus agendis, est circa contingentia, quae a nobis fieri possunt " (per Giovanni Damasceno [De Fide orthodoxa XXXVI 11, trad. Burgundio Pisano], citato da Tommaso, s. dipende dal giudizio ed è propriamente atto della volontà che precede l'‛ electio '; in altri testi tomistici, ad es. Verit. 14 1c, s. è legata all'‛ assenso ' razionale a una verità, secondo la dottrina allegata di Isacco Israeli e Avicenna, nei quali però " sententia " sta per " scientia ": cfr. Domenico Gundissalino De Anima, ediz. J.T. Muckle, in Mediaeval Studies II [1940] 85, e B. Garceau Iudicium pp. 157-158).
Più diffuso l'uso del termine nell'accezione di " opinione " (v. OPPINIONE), a designare il " parere " razionale su di un problema, confortato da ragioni. In tal senso è già in Cic. Fin. I V 15 " quot homines, tot sententiae "; De Orat. I XXXVII 172 " quoniam sententiae atque opinionis meae voluistis esse participes "; Senect. I 3 " ipsius Catonis sermo explicabit nostram omnem de senectute sententiam "; se non trova conferma in argomenti adeguati, la s. non è da ritenere: cfr. Cic. De Prov. consul. 36 " illae sententiae virorum clarissimorum minime probandae sunt ". S. per eccellenza sono le " dottrine " dei ‛ filosofi ': Cic. Nat. deor. I II 3 " quorum [scil. philosophorum] si vera sententia est ". Più semplicemente, B. Latini La rettorica, ediz. F. Maggini, Firenze 1968, 38, rende Cic. Inv. I IV 5 " meo animo " con " al mio animo (cioè per mia sentenza) ".
Un " parere " motivato è l'atto conclusivo di un dibattito oratorio al quale ognuna delle parti dà il suo contributo mediante s. adeguatamente espresse in parole; in tal senso l'uso è costante in Cicerone; cfr. in particolare, per la diffusione del testo nel Medioevo, Inv. I V 7 " deliberativum [scil. genus est], quod positum in disceptatione civili habet in se sententiae dictionem ", che B. Latini (op. cit, p. 60) ‛ espone ': " causa diliberativa è quella che è messa e detta a' cittadini a contendere il lor pareri et a domandare a lloro che nne sentono, e sopra ciò si dicono molte et isvariate sentenze, perché alla fine si possa prendere la migliore... Et così diliberano qual sia meglio e prendesi l'una sentenza ". Un " parere definitivo " è la s. del giudice in un processo, e trae la sua autorità e la sua forza operativa dalla legge della quale è applicazione: ancora Cic. De Orat. I LIV 231 " ille quoque damnatus est, neque solum primis sententiis, quibus tantum statuebant iudices, damnarent an absolverent, sed etiam illis, quas iterum legibus ferre debebant "; Cluent. 102 " Si Oppianicum iudici ad emendas sententias dedisse pecuniam iudicatum est "; inoltre Tomm. Sum. tbeol. II II 67 1c " sententia iudicis est quasi quaedam particularis lex in aliquo particulari facto "; e anche I II 96 1 ad 1 " Dicuntur... quaedam legalia, non quia sint leges, sed propter applicationem legum communium ad aliqua particularia facta; sicut sunt sententiae, quae pro iure habentur "; nell'uso medievale s. è più spesso la condanna o la pena (cfr. Niermeyer, Mediae latinitatis lexicon minus, sub v.). Allo stesso modo il termine designa nel Medioevo l'" opinione ", corroborata da argomenti, di un maestro che chiuda formalmente una disputa su di un problema dottrinale con il suo parere; si parla in tal caso di " sententiae magistrorum " (M.-D. Chenu, La théologie au douzième siècle, p. 358).
Ma s. per metonimia designa l'obiettivazione, in una formula linguistica, di un giudizio o di un'opinione (in forma impersonale secondo Isidoro Etym. XI XI, e Papia Vocabulista: " Sententia est apud Ciceronem [Rhet. ad Herenn. IV XVII 24] oratio de vita sumpta, quae, quid sit vel esse debeat in vita, breviter ostendit, sic: ‛ liber est qui nulli turpitudini servit '. Sententia dictum est impersonale "), specie se si tratta della s. di un giudice, consegnata alla giurisprudenza nella sua formulazione scritta, o di una dottrina filosofica, o di una ‛ soluzione magistrale '. È da ricordare, a questo proposito, l'uso medievale di raccogliere " flores " o " excerpta " dalle opere degli autori classici e dei padri della Chiesa, dai canoni, e poi dai testi dei ‛ doctores ': sono le ‛ auctoritates ' che ben presto vengono raccolte in repertori, i quali hanno la funzione di trasmettere tutto un patrimonio culturale (v. AUTORITÀ). Un repertorio ordinato e organico di s. costituisce una " summa sententiarum ". Fiorisce in tal modo un genere letterario, nell'ambito del quale è da collocare il Liber sententiarum di Pietro Lombardo (v.).
L'opinione o la dottrina consegnata a un testo pone il problema dell'adeguazione dei " verba " alle s., che è problema squisitamente retorico; secondo Cicerone, l' ‛ elocutio ' ha il compito di adeguare pensieri e parole (Inv. I VII 9 " elocutio est idoneorum verborum et sententiarum ad inventionem accomodatio "); poiché difficilmente si realizza l'adeguamento della s. e dell'espressione di essa, s'impone la necessità dell'interpretazione del testo, le cui tecniche si vanno precisando, a seconda degli specifici ambiti dottrinali nei quali si opera (giuridico, teologico, filosofico), fino a prescrivere precisi criteri ermeneutici. S. in tal caso designa l'" intelligenza profonda " di un testo, il suo " significato ultimo "; cfr. Roberto di Melun Sententiae, prol. (ediz. R. Martin, Lovanio 1947, 11): " textus intelligenta, quae sententia nominatur "; Ugo di San Vittore Didascalion III 9, Patrol. Lat. CLXXVI 771d " Expositio tria continet: litteram, sensum, sententiam. Littera est congrua ordinatio dictionum, quam etiam constructiones vocamus. Sensus est facilis quaedam et aperta significatio, quam littera prima fronte praefert. Sententia est profundior intelligentia, quia nisi expositione vel interpretatione non invenitur. In his ordo est, ut primum littera, deinde sensus, deinde sententia inquiratur; quo facto, perfecta est expositio "; ma anche (con maggior aderenza al ciceroniano De Inventione) B. Latini, op. cit., p. 126: " L'accusato si difendea dicendo che lla sentenzia e lo 'ntendimento di colui che scrisse e fece la legge fue che chi aprisse la porta per male fosse punito; e così pare che lle parole scritte non siano accordanti alla sentenzia dello scrittore, e di ciò nasce controversia intra loro, se si debbia tenere la scritta o la sentenza ".
Secondo il primo di questi valori, s. assume l'accezione più larga e generica nel passo del Convivio dove si osserva che propria operazione [del linguaggio]... è manifestare conceputa sentenza (I X 9), è cioè quella di esprimere " i concetti della mente ", " ciò che il pensiero ha concepito ". Il vocabolo allude all'attività elaboratrice del pensiero anche nel commento a III Amor che ne la mente 41-42 Quivi dov'ella parla si dichina / un spirito da ciel; D. infatti osserva che il pensiero d'amore per la Donna gentile è da lui chiamato spirito celestiale, però che là su è lo principio e di là su viene la sua sentenza (III VII 12): al significato allegorico della canzone, celebratrice dell'amore per la Filosofia, ben si adatta l'affermare che il principio movente di questo amore è nel cielo e che di lassù viene il suo " contenuto concettuale ".
Il termine ricorre con un'accezione più limitata quando assume il significato di " opinione ", sia questa suggerita da un'interpretazione personale priva di un'obiettiva certezza (la comune sentenza di IV VII 4, cui corrisponde al § 5 populare oppinione; così in Vn III 14) o tragga invece autorevolezza dal prestigio di chi la esprime, senza per questo assurgere alla dignità di dottrina indiscussa e indiscutibile. È questo il caso degli esempi di I 1 la concordevole sentenza de li savi, di IX 15 la sentenza imperiale (allusivo alla definizione della nobiltà quale antica possession d'avere / con reggimenti belli [Le dolci rime 23-24] tradizionalmente attribuita a Federico II) e di XIV 3 e XV 1, dove s. ricorre a proposito dell'opinione di coloro che, travisando e mutilando la definizione imperiale, sostenevano che la nobiltà fosse fondata su antica tradizione di ricchezza e si trasmettesse di padre in figlio (cfr. Le dolci rime 25 ss.). Analogamente, perché risulti più chiara la polemica implicita nel v. 73 ned ellino altressì, se son cristiani! della medesima canzone, in XV 9 alle sentenze dei ‛ filosofi ' o vero ‛ Gentili ', a cui pur si riconosce una certa validità (ma per i problemi suscitati dalla tradizione del passo, certamente lacunosa, dalle integrazioni proposte e dall'interpretazione complessiva di esso, v. Busnelli-Vandelli; e Simonelli, Contributi, in " Studi d. " XXXII [1954] II 31), è contrapposta la cristiana sentenza, alla quale è attribuito maggior vigore perché rompitrice d'ogni calunnia (il che impone di assegnare alla seconda occorrenza il significato di " dottrina " e non quello di " opinione ").
A una " tesi ", a una " dottrina " formulata in modo logicamente coerente e scientificamente ineccepibile il vocabolo allude in molti altri passi del Convivio: se in III V 12 sono ricordate le sentenze de li astrologi (cfr. anche II III 4, seconda occorrenza), più frequentemente il vocabolo ricorre con riferimento all'uno o all'altro degli aspetti della speculazione dei filosofi antichi che D. considerava suoi maestri e sul cui studio si era formato: Cicerone (IV XXI 9), Boezio e Cicerone (II XII 4) e, soprattutto, Aristotele: I XII 3, II III 2 e 4 (prima occorrenza), XIV 6, III IV 6, X 2, XV 5, IV XVII 3 (qui la divina sentenza di Aristotele è contrapposta all'altrui sentenza; altro esempio nello stesso paragrafo).
Un riferimento alla filosofia aristotelica si ha anche in If XI 85, mentre in Pd IV 24 parer tornarsi l'anime a le stelle, / secondo la sentenza di Platone, lo spunto, indiretto, è offerto da Timeo 41 d ss.; e così al v. 55.
Gli altri esempi della Commedia, pur avendo lo stesso valore, attestano un impiego del termine concettualmente meno puntuale. Virgilio chiama mia sentenza (If VII 72) il " ragionamento " che egli si appresta a svolgere a proposito della Fortuna; la sentenza (Pg XVI 56) di Marco Lombardo, cioè la sua " affermazione " che tutto il mondo è traviato (cfr. vv. 47-48) conferma, raddoppiandolo, nella mente di D. un dubbio in lui già suscitato da Guido del Duca; Beatrice promette a D. di risolvere un suo dubbio mediante il dono di una gran sentenza (Pd VII 24), cioè di una serrata " argomentazione ".
Farinata ha predetto a D. il futuro, mentre Cavalcante si è mostrato ignaro del presente; è questo un enigma, e D. prega Farinata di scioglierlo: solvetemi quel nodo / che qui ha 'nviluppata mia sentenza (If X 96); si ha qui un caso di metonimia, in quanto s. non indica il prodotto del pensiero, ma la " mente " che il pensiero produce.
Un uso estensivo si ha anche nel passo del Fiore dove Amico promette ad Amante: i' ti dirò tutta la sentenza / di ciò che de' far fin' amante e saggio (XLIX 13); il Petronio spiega " tutta la mia opinione ", ma poiché fino al sonetto LXVII segue una vera e propria ars amandi, al vocabolo sarà forse opportuno assegnare il significato più lato di " dottrina "; e così in LXXII 1.
Il secondo gruppo di accezioni si collega all'idea di un giudizio che venga espresso in merito a una controversia, riguardo a un comportamento da seguire o anche su un fatto già avvenuto o su un'azione già compiuta. Coloro i quali danno un apprezzamento favorevole delle spese pazze compiute da altri per far sfoggio di apparente liberalità, hanno falso iudicio in lor sentenza (Rime LXXXIII 31), cioè " nel giudicare " (in lor sentenza) si dimostrano privi di retto discernimento (iudicio), o la loro ‛ opinione ' si fonda su di un falso giudizio. Un uomo, quando parla di sé stesso, si valuta sempre con misura non giusta; perciò, parlando di sé con loda o col contrario... dice falso per rispetto a la cosa di che parla; ma se, per giunta, è consapevole dell'errore in cui necessariamente cade, dice falso per rispetto a la sua sentenza (Cv I II 10), dice cioè il falso anche in relazione al " giudizio " che pronuncia di sé. Analogamente (cfr. la ricordata dottrina tomistica), il consenso dato a un comportamento è motivato con l'ultima sentenza de la mente (II VI 8), cioè con l'interiore " giudizio " che ne dà l'intelligenza.
In qualche caso, pur mancando nel contesto un esplicito riferimento all'attività giudicante di un magistrato, il vocabolo si atteggia in modo da alludere alla possibilità di una condanna o di un'assoluzione: Amore ammonisce Amante a portar in pacïenza / la pena che per me avra' a soffrire, / innanzi ch'io ti doni mia sentenza, " il mio verdetto " (Fiore IV 11), e così in Rime dubbie XII 13; la gran sentenza (If VI 104, Pg X 111) è, per antonomasia, il " giudizio universale " formulato da Dio.
In alcuni esempi del Fiore, nel valore del vocabolo acquista rilevanza l'idea di un giudizio ostile nei confronti del giudicato, se non addirittura di una condanna; con questa sfumatura semantica lo usa Falsembiante in CXXVI 4 Que' che non pensa d'aver... preziosi vini / o ver di be' sacchetti di fiorini, / le mie sentenze lor fier troppo dure, e 14 (anche qui il vocabolo compare al plurale), CXXIV 14; Ragione, anzi, lo usa a proposito della dannazione eterna, quando afferma che chi dall'amore della donna richiede solo diletto carnale, cade in sentenza (XXXIX 8).
In Pd XXXIII 66 al vento ne le foglie levi / si perdea la sentenza di Sibilla, tutti i commentatori spiegano " i responsi ", " gli oracoli " della Sibilla cumana; appare però fondata l'osservazione del Mattalia che commenta: " non il responso, ch'era stato formulato e dato... ma il suo concreto e intelligibile ‛ significato ', risultante da un certo numero di foglie disposte in un certo ordine ".
Un'indiretta conferma della validità di questa interpretazione è offerta dal fatto che le attestazioni più frequenti di s. sono proprio quelle nelle quali il vocabolo allude al " significato " di una frase o di un passo poetico o assume accezioni riconducibili a quella ora indicata. Così, vale " significato " in Vn XIV 13 Questo sonetto non divido in parti, però che la divisione non si fa se non per aprire la sentenzia de la cosa divisa, e XXII 17; If IX 15 io traeva la parola tronca [cioè la frase reticente di Virgilio] / forse a peggior sentenzia che non tenne. Estensivamente, il vocabolo indica " la sostanza ", " la parte essenziale " di un discorso: le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia (Vn I X); e così in XXXIX 6. Può anche designare " il contenuto " di una lirica, ad esempio in Rime LXXXV 7, dove, smentendo con una sorta di palinodia le affermazioni contenute nel sonetto Parole mie (LXXXIV), D. ammette che ne la sua sentenzia non dimora / cosa che amica sia di veritate. Può infine assumere l'accezione più lata di " significato ", come in XCIX 5, dove si ammonisce che la sentenzia [della pulzelletta] non richiede fretta.
Questa complessa latitudine di valori è però attestata con maggior organicità e più significante articolazione concettuale nel Convivio, dove anzi il vocabolo acquista particolare rilevanza come termine tecnico del lessico dell'estetica dantesca sia per la sua duttilità semantica, sia per la sua adattabilità a collegarsi con alcuni fra i temi essenziali del trattato.
Così, con l'accezione di " significato concettuale " o di " contenuto " s. ricorre, in relazione alle canzoni che dovranno essere commentate, nei passi dedicati all'illustrazione del titolo del trattato (Cv I I 15 questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente) e alla difesa dell'uso del volgare invece del latino nelle prose del commento (VII 8 lo latino sanza lo comandamento di questo signore [cioè del contenuto delle canzoni] averebbe esposite molte parti de la sua sentenza, e 13, IX 7 e 8), nell'affermazione della priorità e importanza fondamentale del significato letterale (II I 8 in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico), nell'acuta e ricorrente distinzione fra la validità concettuale delle canzoni e la bellezza della loro veste retorica (XI 4 la bontade e la bellezza di ciascuno sermone sono intra loro partite e diverse; ché la bontade è ne la sentenza, e la bellezza è ne lo ornamento de le parole, 7 e 9, IV II 13, III 3).
Un'altra occasione per il ricorso al vocabolo è offerta dalla tecnica della ‛ divisione ' costantemente seguita per chiarire in modo più limpido il significato delle canzoni. Di questo uso si hanno esempi in II VII 3 Ad evidenza dunque de la sentenza de la prima divisione, è da sapere che...; VIII 1, X 1 (due volte), III V 1, VI 1, VIII 4, IV II 1, VII 15, XXIII 5.
Momento essenziale della metodologia dantesca nel condurre il commento alle canzoni è l'accoglimento della dottrina dei quattro sensi. La già ricordata affermazione della priorità del significato letterale, consapevolmente confermata in II I 9 con ciò sia cosa che ne le scritture [la litterale sentenza] sia sempre lo di fuori, impossibile è venire a le altre, massimamente a l'allegorica, sanza prima venire a la litterale, spiega l'alto numero di frequenze per la locuzione litterale sentenza, usata come sinonimo di " senso letterale " o anche con il valore di " comprensione del testo secondo il senso letterale "; se ne hanno esempi in I 11 e 15, III 1, VII 1, X 11 (sentenza litterale), XI 10, XII 1, III VI 13, VII 17, X 10, XII 1, XV 20, IV I 11 (la sentenza secondo la lettera).
D'altra parte, la vera sentenza delle canzoni, cioè il loro significato più profondo, è nascosa sotto figura d'allegoria (I II 17); di qua la contrapposizione fra la vera sentenza, o significato allegorico, e la esposizione fittizia e litterale (II XV 2), secondo una tematica più o meno esplicitamente ripresa anche in XII 8 e 10, III XV 19. E si veda inoltre II XI 3, IV III 1, XXX 5.
Bibl. - G. Paré-A. Brunet-P. Temblay, La Renaissance du XIIe siècle, Montréal-Parigi 1933, 267-274; M.-D. Chenu, Introduzione allo studio di s. Tommaso, traduz. ital. Firenze 1953, 70-71, 217, 228 ss.; ID., La théologie au douzième siècle, Parigi 1966², 330, 352, 358-359, 367; ID., La théologie comme science au XIIIe siècle, ibid. 1969³, 17, 24-25; E.F. Byrne, Probability and opinion, L'Aia 1968, 64 ss.; B. Garceau, Iudicium. Vocabulaìre, sources, doctrine de saint Thomas d'Aquin, Montréal-Parigi 1968, 156-162.