sensismo
Dottrina gnoseologica che considera ogni contenuto di conoscenza, non esclusi quelli tradizionalmente fatti procedere da superiori facoltà conoscitive, come derivato, o direttamente o indirettamente, dall’esperienza sensibile. La storia del s. può dirsi che s’inizi quando, nell’età postaristotelica, nasce la reazione contro la precedente tendenza a svalutare la conoscenza dei sensi a vantaggio di quella intellettuale: così sensisti sono gli epicurei e gli stoici, e a loro modo anche gli scettici. Nel Medioevo la repressione del senso nel campo etico si riflette, in quello gnoseologico, in una svalutazione della sua capacità conoscitiva. La vera fioritura del s. si ha invece quando la vecchia tradizione dell’empirismo inglese (Hobbes, Locke) assume un carattere spiccatamente sensistico, per l’esigenza di combattere ogni forma di innatismo e razionalismo, dimostrando come anche la cosiddetta conoscenza intellettuale provenga in ultima analisi da quella conoscenza sensibile che essa dispregia come inadeguata. Arma principale del s. è l’«associazionismo», di cui Locke è il massimo teorico, e che passa poi, insieme con il s. stesso, agli ideologi francesi (Condillac) e di qui alla cultura italiana del Settecento e del primo Ottocento. Cosi Ardigò sviluppa minutamente il s., quale base della gnoseologia del positivismo e del materialismo. Ma, data l’evoluzione che già il s. e l’empirismo di Locke aveva subito per opera di Berkeley e di Hume, l’empirismo più moderno (Stuart Mill, Mach, Avenarius) non è più sensistico soltanto nel senso gnoseologico, ma anche in quello metafisico.