Sensazione
Può essere definito sensazione ogni stato di coscienza in quanto avvertito come prodotto da uno stimolo esterno o interno al soggetto. Secondo la provenienza degli stimoli si parla di sensazione tattile, visiva, sonora ecc.
1. Sensazione e percezione
La definizione di sensazione pone come sua caratteristica propria lo stato conscio, ma le due cose possono essere dissociate, sia in pazienti cerebrolesi sia anche in soggetti normali. È noto a tutti che ci sono momenti della giornata in cui la nostra coscienza è come sospesa, mentre il flusso d'informazioni sensoriali continua. Per es., talvolta guidiamo la macchina, anche per lunghi tratti, totalmente immersi nei nostri pensieri; a un certo punto, improvvisamente, ci rendiamo conto di avere guidato per chilometri, di avere quindi evitato ostacoli, di esserci fermati ai semafori, in maniera totalmente automatica, senza rendercene conto. Anche altre forme di sensazione possono essere inconscie: gli stimoli tattili provenienti dallo sfregamento dei vestiti sulla cute di frequente vengono totalmente ignorati. In certi casi ciò è dovuto a un processo di adattamento a livello dei recettori, ma in parte è causato da una sorta di sospensione della coscienza sensoriale. La dissociazione fra coscienza e sensazione è presente in modo clamoroso in alcuni pazienti cerebrolesi il cui comportamento è guidato dai sensi, per es. dalla visione, ma non raggiunge lo stato di coscienza. Questo fenomeno, definito blindsight da L. Weiskrantz (1986), consiste nel fatto che pazienti con ablazione chirurgica, o danno vascolare, dell'area visiva primaria di un emisfero cerebrale e conseguente cecità della metà opposta del campo visivo (emianopsia) mostrano di rilevare, sia pure inconsciamente, gli stimoli visivi anche quando questi sono presentati nella metà cieca del campo visivo, localizzando nello spazio stimoli che affermano di non riuscire a vedere. In generale la procedura adottata per rivelare la presenza di blindsight è la seguente: al paziente viene mostrato un punto luminoso nella zona cieca; alla domanda "Ha visto qualcosa?" il paziente risponde prontamente "No". Se però gli viene chiesto d'indovinare dove potrebbe essere stato presentato lo stimolo, il paziente, con una probabilità senza dubbio maggiore del caso, indica con la mano o il movimento degli occhi la zona corretta di campo visivo. In questi pazienti sono presenti tutte le strutture nervose che normalmente mediano la sensazione visiva, tranne l'ultima stazione rappresentata dalla corteccia visiva primaria. In particolare, sono presenti quelle strutture mesencefaliche, note come collicoli superiori, che ricevono abbondanti afferenze visive e che normalmente servono a rilevare stimoli periferici e in movimento (Cervetto-Marzi-Tassinari 1987). Tali strutture guidano poi il movimento degli occhi che serve a portare sulla fovea (la zona di massima acuità della retina) il segnale visivo presentato. Questi fenomeni di sensazione inconscia operano probabilmente anche in soggetti normali, ma sono in genere accompagnati da correlati percettivi consci, mentre nei pazienti citati sono gli unici che sopravvivono alla mancanza dell'area visiva primaria. Al proposito, sono in corso da vari anni studi per cercare di accertare se, tramite procedure di training riabilitativo, sia possibile ai pazienti con difetti di campo visivo per lesioni vascolari della corteccia visiva passare dalla visione inconscia a quella conscia, che ovviamente è quella che interessa all'individuo: i risultati sono incoraggianti, ma lontani dall'essere definitivi. In ultima analisi, si potrebbe dire che la definizione data all'inizio confonde la sensazione, che può raggiungere la coscienza ma può anche rimanerne al di fuori, con la percezione, che invece è sempre cosciente. La sensazione, secondo questo approccio concettuale che trova le sue radici nel pensiero di D.O. Hebb (1949, 1966), rappresenta il risultato dell'attivazione delle vie di senso, dai recettori alla corteccia cerebrale. Per la visione, che è certamente la modalità sensoriale più studiata sperimentalmente, la sensazione corrisponde quindi a una serie di attivazioni neurali successive, che vanno dall'attività dei recettori retinici stimolati da un segnale luminoso all'attività dei nervi e dei tratti ottici e infine a quella dell'area visiva primaria nella corteccia del lobo occipitale. Tale definizione è volutamente riduttiva, ma non è necessariamente in contrasto con la precedente in quanto, nella maggior parte dei casi, anche se non inevitabilmente, l'attivazione del sistema visivo centrale raggiunge la coscienza. C'è comunque da dire che non sappiamo ancora in base a quali meccanismi l'attività di determinate aree cerebrali produca la sensazione cosciente, mentre quella di altre rimane al di sotto della coscienza. Non solo l'approccio di Hebb ma anche la moderna psicologia cognitiva, nata con U. Neisser (1967), considera la sensazione un processo essenzialmente passivo che rispecchia in maniera inevitabile e innata la realtà. Al contrario, la percezione è un processo attivo, costruttivo, che si basa sull'esperienza precedente e sulla motivazione presente. La sensazione riguarda gli attributi isolati degli oggetti: la luminosità o il colore, per es., mentre la percezione riguarda l'oggetto nel suo complesso e non solo una scala di grigi o di sfumature cromatiche. Inoltre, la sensazione è in genere un processo a un solo stadio, mentre la percezione è tipicamente sequenziale e coinvolge risposte motorie che vanno da movimenti saccadici oculari per la scansione dell'oggetto a movimenti palpatori della mano nel caso della percezione tattile. Dove è possibile differenziare chiaramente sensazione e percezione è nelle 'figure ambigue o reversibili', nelle quali la stessa configurazione di attività neurale, cioè la stessa sensazione, dà luogo a due percezioni diverse, in rivalità fra di loro, come nella ben nota immagine della moglie-suocera in cui si vede alternativamente il profilo di una giovane o il volto di una vecchia, o nella figura ambigua dei due profili-vaso in cui si vedono due volti scuri in uno sfondo chiaro, ma anche un vaso chiaro su sfondo scuro.
Il significato di questi fenomeni è che lo stesso pattern di stimolazione visiva, cioè la stessa sensazione, dà luogo a due percezioni diverse in conflitto fra di loro e la prevalenza dell'una o dell'altra dipende da vari fattori attenzionali e dall'esperienza precedente. Un'altra categoria di fenomeni che permette di distinguere chiaramente la sensazione dalla percezione è rappresentata dalle costanze percettive e, in particolare, da quelle di luminosità e di grandezza. Non è la quantità di luce riflessa da un oggetto che ne determina necessariamente la luminosità, ma il contrasto con gli oggetti circostanti: un drappo nero al sole riflette più luce di un pezzo di carta bianca all'ombra, anche se il primo ci appare scuro e il secondo luminoso. Lo stesso vale per la grandezza di un oggetto: l'angolo sotteso sulla retina da un oggetto dipende dalla distanza, eppure gli oggetti mantengono la stessa grandezza percettiva anche quando si allontanano e quindi l'ampiezza dell'immagine retinica diminuisce proporzionalmente. Infine, un esempio chiarissimo di dissociazione fra sensazione e percezione è rappresentato dal movimento visivo apparente, che si ottiene con una opportuna sequenza di accensione e spegnimento di due luci a una certa distanza l'una dall'altra. Se la luce A è accesa, per es., per 1/5 di secondo e poi subito dopo che si è spenta viene accesa la luce B per 1/5 di secondo si vede una sola luce che si muove da A a B. Quindi, da un punto di vista della sensazione si hanno due stimolazioni separate del campo visivo, ma dal punto di vista della percezione si vede un unico stimolo in movimento.
2. La psicofisica
La psicofisica è quella branca della psicologia che studia la relazione fra sensazione e stimolazione fisica; il termine fu introdotto da G.T. Fechner nel 1860. Fechner considerava un problema cruciale della psicofisica quello di descrivere quantitativamente la relazione fra l'intensità fisica dello stimolo e l'intensità percepita, cioè la cosiddetta funzione psicofisica. Il metodo usato da Fechner era indiretto e consisteva nel misurare la capacità dei soggetti di discriminare fra due intensità fisiche. Era comunque convinto che quella che lui definiva una 'psicofisica esterna', che riguarda la correlazione fra grandezza della stimolazione sensoriale e intensità della stimolazione fisica, sarebbe stata in seguito sostituita da una 'psicofisica interna', che riguarda invece la correlazione fra la magnitudine dell'esperienza sensoriale soggettiva e l'intensità del processo eccitatorio suscitato dallo stimolo nel sistema nervoso centrale. In altri termini, Fechner riteneva che sarebbe stato possibile stabilire una psicofisica quantitativa non solo di eventi sensoriali elementari, ma anche di eventi percettivi, emozioni e stati di coscienza. In effetti, la moderna psicofisica ha sviluppato metodi, come la signal detection (metodo di rilevamento del segnale, v. oltre) o lo scaling (distribuzione in scala) che permettono di mettere in pratica le idee di Fechner. Oggi, inoltre, grazie alle moderne tecniche non invasive d'indagine cerebrale - sia elettrofisiologiche come i potenziali evocati, sia neurometaboliche come la PET (Positron emission tomography) o la risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional Magnetic resonance imaging) -, la psicofisiologia e la neuropsicologia stanno affrontando tali problemi con risultati di grande interesse. Queste tecniche permettono, infatti, di studiare in soggetti umani quali sono le aree cerebrali che si attivano selettivamente durante compiti psicologici ben determinati, per es. compiti percettivi, mnemonici o attenzionali (Frackowiack et al. 1997). Due sono gli interrogativi fondamentali a cui cerca di rispondere l'approccio psicofisico: il primo riguarda i limiti dei sistemi sensoriali; il secondo il rapporto fra intensità dello stimolo e intensità della sensazione. Le modalità con cui vengono affrontati tali interrogativi comprendono la capacità di rilevare uno stimolo, la capacità di discriminarlo da altri e infine le tecniche di scaling. Gli esperimenti di rilevazione hanno lo scopo di accertare qual è la minima quantità di energia fisica necessaria ad accertare la presenza di uno stimolo, mentre quelli di discriminazione hanno lo scopo di trovare la minima differenza di energia fisica necessaria per discriminare due stimoli. La sensibilità del sistema sensoriale in esame viene misurata dalla 'soglia assoluta' per il rilevamento di uno stimolo, mentre la capacità di discriminare viene misurata dalla 'soglia differenziale'.
3. La soglia sensoriale
In genere, si definisce soglia il limite sotto al quale un dato stimolo, o la differenza fra due stimoli, cessa di essere percepibile. Tale definizione è in parte ingannevole perché suggerisce che ci sia un punto lungo un continuum d'intensità fisica al di sopra del quale un dato stimolo viene sempre rilevato e al di sotto del quale non viene mai rilevato. Ciò non è vero; anche nelle migliori condizioni sperimentali e con soggetti altamente motivati c'è sempre una certa variabilità nelle risposte a stimoli vicini alla soglia. Tale variabilità è caratteristica di tutti i soggetti e di tutte le modalità sensoriali ed è verosimilmente dovuta sia a fluttuazione nei meccanismi attentivi del soggetto, sia a variazioni casuali di sensibilità dei recettori. Mano a mano che ci si allontana dai valori soglia d'intensità dello stimolo la variabilità diminuisce. La più corretta definizione di soglia è pertanto quella statistica: la soglia corrisponde all'intensità di stimolazione che viene rilevata il 50% delle volte in un esperimento di rilevamento dello stimolo o che viene rilevata il 50% o il 75% delle volte, a seconda del numero di risposte possibili, in un esperimento di discriminazione (v. oltre). I metodi per misurare la soglia sensoriale sono essenzialmente tre: due classici, il metodo dei limiti e quello degli stimoli costanti, e uno moderno, il già ricordato metodo di rilevamento del segnale. Per quanto riguarda la determinazione della soglia assoluta, il metodo dei limiti consiste nel presentare gli stimoli con intensità progressivamente maggiori (serie ascendente) oppure minori (serie discendente). Nella prima serie lo stimolo è posto inizialmente sotto la soglia sensoriale e aumentato fino a che il soggetto lo rileva; nella seconda, lo stimolo è posto sopra la soglia e viene diminuito fino a che il soggetto non lo rileva più. Il valore di soglia assoluta, in ogni prova, viene preso come il punto di mezzo fra un rilevamento e un non-rilevamento dello stimolo; la media dei valori di soglia di tutte le prove rappresenta la soglia sensoriale di quel determinato soggetto. Il metodo degli stimoli costanti differisce dal precedente in quanto stimoli di varia intensità vengono presentati in maniera casuale, cosicché il soggetto non può anticipare, come con il metodo dei limiti, quale intensità verrà presentata nella prova successiva. L'intensità degli stimoli è scelta in modo tale che all'intensità più bassa nessuno stimolo viene rilevato e alla più alta vengono rilevati tutti. I dati sono espressi in percentuali di rilevamento in funzione dell'intensità degli stimoli (funzione psicometrica). Come soglia assoluta viene preso quel valore d'intensità che il soggetto ha rilevato il 50% delle volte. Negli esperimenti di discriminazione si misura la soglia differenziale per una coppia di stimoli invece che per uno stimolo singolo. Questa è definita come differenza fra l'intensità di due stimoli abbastanza grande da essere rilevata il 50% o il 75% delle volte, a seconda del numero di risposte richieste. Quando le risposte sono tre, al soggetto viene chiesto se lo stimolo è più grande, uguale o più piccolo del campione standard; in tal caso si usa il 50%. Quando ci si limita a chiedere se lo stimolo è più piccolo o più grande dello standard si usa il 75% delle risposte corrette per stabilire la soglia differenziale (il 50% delle risposte corrette in una scelta binaria rappresenterebbe una prestazione a caso). Gli stimoli da paragonare sono presentati successivamente (per la modalità acustica) o simultaneamente in due posizioni spaziali diverse (nella modalità visiva). Il metodo di rilevamento del segnale, o signal detection, si basa essenzialmente sulla constatazione che la sensibilità dei sistemi sensoriali umani è limitata soprattutto dall'esistenza di un 'rumore neurale di fondo', che rappresenta lo sfondo contro il quale il soggetto deve rilevare la presenza di uno stimolo esterno. Quindi il problema dell'osservatore è distinguere il segnale dal rumore di fondo. Secondo questo approccio concettuale, non esiste una vera soglia ma un continuum di sensazioni che vanno da un massimo di rumore di fondo per segnali deboli a un massimo di segnale esterno per segnali intensi. La presenza del rumore di fondo obbliga il soggetto a decidere con un suo criterio se la sensazione provata è dovuta al rumore di fondo o allo stimolo. Tale criterio non rappresenta una soglia in senso classico perché può essere influenzato da variabili non sensoriali, come la motivazione e la probabilità di presentazione dello stimolo. Importante con questo metodo è la stima delle risposte false positive in cui il soggetto considera, sbagliando, come segnale esterno il rumore di fondo. Questa stima permette di misurare la vera abilità discriminativa del soggetto indipendentemente dal suo criterio di decisione.
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