FILELFO, Senofonte
Secondogenito di Francesco e di Teodora Crisolora, nacque a Firenze il 5 marzo 1433. Al suo nome illustre il padre accenna nelle Satyrae (Venetiis 1502, dec. VIII, ecatost. X) e come al fratello Giovanni Mario anche a lui giovinetto rivolge consigli e ammonimenti nell'ecatostica V della decade X. Al pari di Giovanni Mario, il F. ricevette la prima istruzione in latino, greco, storia e filosofia dal padre, mostrando buone capacità intellettuali, sebbene manifestasse non meno del fratello un'indole inquieta e volubile.
In assenza di informazioni per gli anni giovanili nell'epistolario paterno, fonte principale, ancorché infida, per ricostruire la biografia del F., bisogna supporre che vivesse con il padre a Siena, a Bologna e a Milano. Diciottenne, si trovava con lui a Siena dove nel marzo-aprile 1451 fu incaricato dal Comune di negoziarne il ritorno sulla cattedra cittadina, già occupata nel 1434; le trattative andarono a monte a causa delle richieste esorbitanti di Francesco. Nel giugno 1451 era di nuovo a Milano presso il padre, che pensava di inviarlo a Napoli per stringere contatti in vista del suo viaggio presso Alfonso il Magnanimo, progettato allora per l'agosto successivo. Ma il F. non dovette partire per Napoli, perché il padre lo inviò a Genova incontro al fratello Giovanni Mario, reduce da un soggiorno a Finale, città con cui Genova era in guerra. Il F. era latore di un lasciapassare per il fratello, ma a Genova non si incontrò con lui, dato che Giovanni Mario aveva proseguito senza fermarsi per Ferrara. Tornò allora a Milano: il 12 settembre risulta rifugiato con il padre, le sorelle e il cognato a Cremona per sfuggire alla peste e qui si trovava ancora in ottobre.
Nel gennaio 1452 era però a Roma, dove entrò a servizio - non sappiamo a che titolo - del vescovo di Mantova Galeazzo Cavriani, che in luglio Francesco si affrettò a ringraziare, raccomandando nel contempo al figlio di sforzarsi di conservare i favori del prelato. Nel frattempo il F. aveva lasciato Roma al seguito del vescovo, il quale, vista compromessa la sua carriera curiale dopo la morte di Niccolò V, si era allontanato dalla città per riottenere incarichi importanti solo sotto il papa Pio II.
Poco dopo si manifestò la prima delle crisi che punteggiarono tutta l'esistenza del Filelfo. Il 5 genn. 1453 Francesco inviò una pacata epistola in cui rispondeva alle lamentele espresse dal F., insofferente della vita itinerante al seguito del suo protettore. Egli aveva manifestato la velleità di abbracciare lo stato ecclesiastico e il padre lo metteva in guardia dal compiere un tale passo senza essere animato da autentica vocazione, nonché (più pragmaticamente) essendo sprovvisto di nozioni di teologia e di diritto ecclesiastico: se il figlio aspirava ad una vita immersa nei negotia avrebbe potuto intraprendere la carriera nell'amministrazione sforzesca. E in marzo il F. era già a Milano, dopo essere passato per Tolentino e la Romagna; qui soggiornò per vari mesi, anche, sembra, durante il viaggio del padre a Roma e a Napoli nel periodo luglio-ottobre 1453. L'anno seguente fu lui a recarsi a Napoli.
Per il triennio 1454-1456 l'epistolario paterno presenta peraltro una situazione piuttosto confusa che rende complicato ricostruire gli spostamenti del Fidelfo. Partito da Milano alla fine di febbraio 1454 con il proposito di percorrere la via adriatica per evitare il transito nel territorio fiorentino, il F. il 10 marzo era a Bologna, ma poco dopo dovette interrompere il viaggio per un'altra destinazione: il 15 maggio Francesco scrisse a Giovanni IV Paleologo marchese di Monferrato, pregandolo di restituire tramite il F. i libri De exilio (cioè le Commentationes Florentinae de exilio); il 24 questi si trovavano effettivamente a Milano, recapitati però da qualcun altro, dato che da una lettera di Giovanni Mario al padre dello stesso giorno (Bibl. ap. Vat., Chig. I, VIII 241, cc. 133v-134r) risulta che il F. era a Torino dal 21 maggio. Non sappiamo quanto il F. si trattenne, ma ai primi di novembre era nuovamente in viaggio per Napoli: il 5 il padre gli affidò una serie di lettere per Malatesta Novello, signore di Cesena, e per gli amici romani e napoletani.
Giunto a Napoli, il F. vi rimase senza dare cenno almeno fino al febbraio 1455, quando Francesco scrive per sollecitarne la partenza. Ma ancora il 3 agosto (lettera a Giovanni Mario) Francesco lo attendeva. Ignoriamo se e quando tornasse a Milano; ulteriori notizie datano al 1º dic. 1456, quando il padre scrisse a Mantova, dove il F. aveva ricevuto un'accoglienza promettente da parte del vescovo Cavriani, esortandolo a una condotta prudente ed equilibrata.
Le aspettative si rivelarono però caduche se il 28 marzo 1457 troviamo il F. a Venezia, raggiunto dalle solite raccomandazioni del padre che gli rimprovera la sua condotta sregolata e contraddittoria.Nel 1459 Francesco tentò invano di sistemare il F. alla corte dei Gonzaga come precettore. Il 23 genn. 1460 si trovava a Ferrara: accolto con munificenza dal duca Borso d'Este, si proponeva tuttavia di tornare a Venezia. Poco dopo era a Mantova, dove incontrò il fratello. Di lì, in febbraio, i due si recarono insieme a Venezia, accompagnati dalle lettere di raccomandazione del padre all'oratore milanese Marchesio Varesino e a Bernardo Giustinian. Ma già nella prima metà di marzo il F. si trasferì a Ragusa, da dove scrisse al padre il 30 marzo dicendosi soddisfatto dell'accoglienza tributatagli.
Nella città dalmata ottenne l'impiego di cancelliere del Comune, e Francesco si affrettò a far giungere agli ottimati ragusei una commendatizia di Francesco Sforza per consolidare la sua posizione.
Ma già pochi mesi dopo il F. manifestò la solita irrequietezza e il proposito di tornare a Milano; poi tacque fino al 6 luglio 1461. Nel frattempo sposò una giovane ragusca di nome Giacomina Turcinovich, da cui ebbe Francesco, morto piccolo nel 1462. A una bambina chiamata Petronilla si accenna nella lettera del 28 maggio 1463, nella quale Francesco si compiace che il nome sia stato cambiato in quello più nobile di Teodora; da una lettera di Giovanni Mario del 21 genn. 1468 (Bibl. ap. Vat., Chig. I, VII, 264, cc. 107r-109v) sembra che fosse nata un'altra figlia e nel testamento redatto nel 1473 Francesco destina a Florio, figlio del F., un terzo dei beni immobili posseduti a Tolentino. Di un figlio illegittimo di nome Ciro, fanciullo ma già avviato dal nonno agli studi di umanità, si parla una prima volta nell'ottobre 1461; nel novembre 1462 era presso il padre a Ragusa.
Il 10 ag. 1461 il F. si trovava al campo di Ferdinando d'Aragona a Barletta, in qualità di oratore della Repubblica dalmata, ma non riuscì ad ottenere la conferma delle franchigie in precedenza concesse da Alfonso.
Dopo un nuovo silenzio, dal marzo 1462 al maggio 1463, il F. riprese la corrispondenza. Nel febbraio del 1464 rinnovava le solite lamentele e l'intenzione di lasciare Ragusa, adducendo il clima poco adatto alla sua salute. Nel gennaio 1465 il suo ritorno sembrò imminente a Francesco; nel maggio egli attendeva ancora il figlio e lo invogliava riferendo dei rumores circa una possibile sistemazione alla corte sforzesca. Ma poi subentrò la delusione; il 28 luglio Francesco si chiede stupito come mai, dopo essere arrivato a Venezia, a Pesaro e a Ferrara, il F. non l'abbia raggiunto a Milano.
L'anno dopo, se si deve prestare fede alle date dell'epistolario paterno che sembra duplicare il viaggio compiuto nel 1465, il F. fu nuovamente a Ferrara senza proseguire per Milano. Il secondo viaggio sembra essere peraltro confermato da una lettera del fratello Giovanni Mario da Verona del 5 sett. 1467 (Bibl. ap. Vat., Chig. I, VII, 241, cc. 113v-116r), in cui si rammarica di non averlo incontrato: il F. avrebbe dovuto recarsi a Padova in agosto, ma non si era spinto oltre Ferrara. Problematica è invece la testimonianza del vescovo di Verona Ermolao Barbaro, che in una lettera al giudice Antonio Donati del 5 nov. 1466 dice di aver udito il F. sostenere pubblicamente una disputa nel palazzo vescovile e lo giudica "doctum quidem virum". Da Verona Giovanni Mario gli scrisse il 25 sett. 1467, incoraggiandolo a rendersi familiare del veronese Timoteo Maffei, creato vescovo di Ragusa.
La corrispondenza con il padre riprese solo il 7 apr. 1470, con una lettera in cui il F. comunicò di essere gravemente malato e di voler lasciare la Dalmazia. Francesco gli inviò incontro un servo, che prese il mare a Venezia il 4 settembre; ma il F. era già spirato il 27 agosto a Ragusa.
Francesco si offrì di accogliere la nuora e i nipoti, oltre a Ciro, che si trovava presso di lui già dai primi mesi dell'anno, dopo essere stato per qualche tempo con lo zio Giovanni Mario.
A parte alcuni sonetti nel codice Ottelio della Biblioteca comunale di Udine, null'altro è noto dell'attività letteraria del F., cui il padre accenna di frequente ma con genericità, limitandosi a parlare di molte opere: è perciò legittimo dubitare della testimonianza. Le lettere di Francesco su questioni ortografiche ed epigrafiche e a proposito della ricerca di codici fanno pensare ad un livello piuttosto superficiale, da non poter paragonare alla vasta ed eterogenea produzione di Giovanni Mario. Una certa curiosità dovettero suscitare a Milano le sue lettere da Ragusa, contenenti informazioni sulla situazione in Oriente: in un caso almeno una di queste fu letta a Francesco Sforza (lettera di Francesco Filelfo del 19 febbr. 1466). Alla sua memoria Giovanni Mario dedicò un poema in esametri sull'origine di Ragusa, la Raguseide, a cui fece seguire una volgarizzazione in terzine in undici capitoli, e lo nominò anche nella prefazione della sua Historia Ragusae urbis in prosa.
Fonti e Bibl.: F. Filelfo, Epistolae, Venetiis 1502, ad annos;Id., Lettere volgarizzate dal greco, a cura di L. Agostinelli-G. Benadduci, Tolentino 1899, nn. 31 e 38; E. Barbaro, Orationes contra poetas, a cura di G. Ronconi, Firenze 1972, p. 152; S. Dolci, Fasti litterario-ragusini, Venetiis 1767, p. 65; C. Santini, Saggio di memorie della città di Tolentino, Macerata 1789, pp. 202-204; F. M. Appendini, Notizie istorico-critiche sulla antichità... de' Ragusei, II,Ragusa 1802; pp. 99, 320 s.; C. Rosmini, Vita di Francesco Filelfo, III, Milano 1808, pp. 107- 126; F. Gabotto, S. F. a Ragusa, in Arch. stor. per Trieste, l'Istria e il Trentino, IV (1889-95), pp. 132-138; A. Luzio-R. Renier, I Filelfo e l'umanesimo alla corte dei Gonzaga, in Giorn. stor. della lett. ital., XIII(1890), pp. 191-193; N. Pelicelli, Due opere inedite di Giovanni Mano Filelfo, in Riv. dalmatica, V(1902-03), pp. 8-11; G. Fabris, Il codice udinese Ottelio di antiche rime volgari, in Memorie storiche forogiuliesi, V(1909), pp. 39, 228 s.; P. Frassica, I Filelfo due generazioni di umanisti, in F. Filelfo nel quinto centenario della morte, Padova 1986, pp. 515-527; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, ad Indicem.