SENOCRATE (Ξενοκράτης, Xenocrătes)
Filosofo greco del sec. IV a. C., scolaro di Platone. Quando, morto il maestro, gli successe Speusippo nella direzione dell'Accademia, egli lasciò Atene insieme con Aristotele. Ma nel 339-8 successe a Speusippo nello scolarcato, che tenne fino al 315-4, anno della sua morte.
Per quanto si può ricostruire del suo pensiero, S. appare come un epigono del tardo platonismo, preoccupato principalmente di ricondurre a sistema organico le concezioni avanzate dal maestro nella sua ultima fase di attività. Egli è, così, il primo a introdurre nella tradizione quella precisa partizione della filosofia in "logica", "fisica" ed "etica", che già era potenzialmente contenuta nel platonismo e doveva poi esercitare durevole efficacia. Nella sfera gnoseologica, egli distingue nettamente il sapere "sensibile" da quello "intelligibile" e da quello, intermedio, dell'"opinione", facendo corrispondere questa gerarchia conoscitiva a quella dei gradi del reale, terreno, celeste e sopraceleste. Nella sfera metafisica, cerca di meglio sistemare il matematismo proprio della più tarda teoria platonica delle idee: concepisce così il primo principio come Unità o Monade (Μονάς) e il secondo come Diade (Δυάς), la quale non è, come l'altra, affatto immune dall'ἄπειρον, cioè dall'"illimitatezza" e dal male, e apre quindi la via, nella gerarchia discendente dell'universo, al regno dell'imperfezione. Il carattere matematico di tali due principî assicura poi alle idee il carattere di idee-numeri, senza più la distinzione, rimasta in Platone, tra queste e i numeri propriamente detti. I principî cosmici sono d'altronde interpretati da S. anche come divinità maschile e femminile, Zeus ed Era, Osiride e Iside, e il collegamento platonico dell'idea dell'anima a quella del "demone intermediario" fa sì che la sua psicologia si sviluppò in una complessa demonologia. Vien qui in luce l'aspetto più religioso, misticheggiante e quindi anche pitagoreggiante, del temperamento di S.: aspetto che gli assicurò, in vita, il dispregio di Aristotele (già suo compagno di scuola e poi capo, in Atene, della scuola eterodossa nello stesso tempo del suo scolarcato ortodosso), ma anche, due secoli dopo, la fortuna che le sue concezioni incontrarono in una mentalità per certi lati affine, quella di Posidonio. L'importanza storica di S. può dirsi quindi consista precipuamente nell'aver costituito un ponte di passaggio tra le dottrine del tardo Platone e l'iniziale neoplatonismo di Posidonio.
La migliore edizione dei frammenti è quella curata da R. Heinze nell'opera sotto citata (insufficienti erano quelle del Wynpersse, nella sua Diatribe de Xenocrate Chalcedonio, Leida 1828, e del Mullach, in Fragmenta philosophorum Graecorum, III, Parigi 1881, p. 114 segg.). Si vedano inoltre, per elementi apparsi posteriormente all'edizione del Heinze, Filodemo, Volumina rhetorica, ed. S. Sudhaus, I (Lipsia 1892), p. 350; II (ivi 1896), p. 173, e W. Crönert, Kolotes und Menedemos, Texte und Untersuchungen zur Philosophen- und Literaturgeschichte (Lipsia 1906), p. 67.
Bibl.: Fondamentale è R. Heinze, X., Darstellung der Lehre und Sammlung der Fragmente, Lipsia 1892. Bibliografia ulteriore in Ueberweg-Prächter, Grundriss d. Gesch. d. Philos., I, 12ª ed., Berlino 1926, p. 100*.