Sengoku
Periodo della storia del Giappone (1477-1576), corrispondente all’incirca agli ultimi cento anni del periodo Ashikaga. Il S. jidai è il «periodo degli Stati combattenti», durante il quale il potere degli Ashikaga declinò completamente, fino alla deposizione dell’ultimo loro shogun. Già in precedenza Yoshimitsu (1358-1408), il terzo shogun Ashikaga, aveva dovuto affrontare le velleità di indipendenza degli , i governatori militari provinciali, che gestivano i loro territori in maniera sempre più autonoma e in alcuni casi erano arrivati a trattenere oltre il 50% dei proventi delle tasse per le spese militari, invece di inviarli al governo centrale. Yoshimitsu convinse molti shugo a risiedere a Kyoto (capitale sia shogunale che imperiale in quel periodo), con la promessa di una vita lussuosa e senza troppi impegni, alla stregua dei nobili di corte, lasciando al proprio posto nelle province dei subalterni. Successivamente, tuttavia, le tendenze indipendentiste degli shugo si acuirono. Dopo la guerra di Onin, che si combatté nella capitale per oltre dieci anni e al termine della quale (1477) Kyoto era in rovina, gli shogun Ashikaga persero di fatto qualsiasi autorità sulle province e iniziò il S. jidai. In questo periodo i nobili di corte e gli shugo che risiedevano a Kyoto persero i loro possedimenti provinciali. Il Paese si ritrovò diviso in oltre 200 territori/feudi in guerra fra loro. Nei cento anni seguenti si sviluppò il processo del gekokujo, per il quale «gli inferiori rovesciano i superiori»: molti samurai di origine non nobile approdarono al potere in virtù delle loro capacità militari. Gradualmente comparve la figura del sengoku daimyo, il «signore feudale dell’epoca degli Stati combattenti», a capo di un territorio di fatto indipendente (han). Alcuni provenivano dai ranghi delle antiche dinastie di shugo, ma la maggioranza veniva da famiglie samuraiche di medio e basso rango. I vari feudi divennero centri di potere autonomo a tutti i livelli: politico, amministrativo, penale, economico, militare. Il daimyo, che ormai non rispondeva più agli ordini degli shogun e impediva ai funzionari shogunali di operare nel proprio han, era la massima autorità nei suoi possedimenti e disponeva di un proprio esercito e di propri funzionari per la riscossione delle tasse e l’amministrazione. Alla fine del S. gli han si erano ridotti a poco più di una ventina, governati da signori molto potenti, come i Tokugawa, gli Oda o gli Shimazu, alcuni dei quali erano in grado di aspirare alla conquista di tutto il Paese. L’arrivo fortuito dei commercianti portoghesi nel 1543 sulle coste del Giappone e il commercio che negli anni immediatamente successivi ne derivò portarono degli stravolgimenti nei metodi di combattimento. L’introduzione delle armi da fuoco (archibugi, cannoni) vide prevalere chi riuscì a procacciarsele, a produrle e a utilizzarle, organizzando eserciti moderni e rendendosi capace di difendersi da esse con fortificazioni e castelli di nuova concezione. Dal 1568 si imposero sulla scena tre personaggi che unificarono nuovamente il territorio del Giappone (➔ Oda, Nobunaga; Toyotomi, Hideyoshi; Tokugawa, Ieyasu).