SENARIO
– Non si hanno informazioni sulla sua famiglia di origine, così come sulla città o sull’anno della sua nascita, da collocarsi probabilmente nella seconda metà del V secolo, poiché egli risulta essere entrato a servizio presso la corte di Teodorico giovanissimo, tra il 493 e gli inizi del nuovo secolo (Cassiodori Senatoris Variae, a cura di Th. Mommsen, 1894, l. IV, 3 e 4).
La prima attestazione nelle fonti è databile agli anni 503-504, quando Senario ricevette una lettera dal diacono Magno Felice Ennodio (Epistulae, in Opera, a cura di W. Hartel, 1882, l. I, 23). Nella missiva egli viene definito «sublime», lasciando intendere che avesse raggiunto già a quest’epoca un rango elevato presso la corte teodoriciana. Inoltre, Senario sembra essere qui indicato come parente del suddetto diacono milanese, precisazione che porterebbe a ritenerlo appartenente all’alta aristocrazia gallo-romana: come confermerebbe una lettera di Teodorico del 509 destinata al Senato di Roma (Cassiodori Senatoris Variae, cit., l. IV, 4 e 5).
Sono sempre due lettere di Ennodio, inviate a Senario all’inizio del 506 (Epistulae, cit., l. IV, 33) e nel luglio del 508 (l. VII, 5), a informarci del fatto che in questi anni egli svolse un qualche ruolo presso la corte regia di Ravenna, città nella quale risiedeva all’inizio del 508 (l. VI, 12 e 27). Non è chiaro in realtà quali compiti egli abbia svolto per conto di Teodorico in questa fase, ma l’accostamento ai più importanti personaggi della realtà italica dell’epoca ne fanno sicuramente uno degli uomini più in vista della corte regia. In essa Senario si distinse per le proprie competenze e virtù, dimostrando talento nell’ars oratoria, che egli ebbe modo di esercitare sia come segretario, sia come ambasciatore. Non sembra tuttavia che egli abbia ricoperto una funzione ben precisa (Cassiodori Senatoris Variae, cit., l. IV, 3), sebbene le sue capacità lo avessero reso parte del consiglio regio.
Che per il re goto Senario abbia operato principalmente come ambasciatore, lo indica chiaramente l’epitaffio, da lui stesso composto: in apertura egli si definisce «vox regum, lingua salutis, foederis orator, pacis via, terminus irae, semen amicitiae, belli fuga, litibus hostis» (in A. Gillett, Envoys..., 2003, p. 195). Si tratta di attributi importanti che intendono offrire un quadro sintetico e retoricamente alto dei compiti da lui svolti per Teodorico in qualità di legato. Lo stesso re goto nella lettera inviata al Senato di Roma nel 509 confermava che Senario in questo campo dimostrò il suo valore, sottolineando i suoi meriti quale ambasciatore presso i re barbari in contesa tra loro, in riferimento forse alle lotte che intercorsero tra Franchi e Visigoti intorno al 507.
Questa non fu la sola ambasceria condotta da Senario. Nel suo epitaffio, infatti, egli si attribuisce 25 missioni, condotte tutte con esito positivo, che colpiscono per intensità oltre che per ampiezza di distribuzione geografica. Sarebbe stato impiegato in missioni in Oriente, in Spagna, nel Nord Europa e nell’Africa vandalica, raggiungendo per due volte in un solo anno la costa atlantica e Costantinopoli. A queste bisogna poi aggiungere il probabile impiego in missioni in Italia, soprattutto a Roma.
È in virtù di questa intensa attività che Teodorico, tra il 509 e il 510, lo elevò al rango di illustris, favorendone l’ingresso nel Senato, e lo nominò comes Patrimonii, cioè amministratore di tutte le fonti di reddito acquisite dal regno goto sin dal tempo di Odoacre. Risalgono a questo periodo tre lettere indirizzate a Senario da parte di Teodorico, che contengono istruzioni riguardo ad alcuni casi specifici: la perdita di un carico di grano inviato dalla Sicilia alla Gallia in seguito a un naufragio (Cassiodori Senatoris Variae, cit., l. IV, 6); l’esercizio della giustizia in occasione di una lite tra curiali e proprietari in Dacia (l. IV, 11); o ancora l’invio di rifornimenti alimentari a un certo illustris di nome Colosseo, inviato dal re in Pannonia come comes (l. IV, 13).
Non sappiamo per quanto tempo Senario occupò la carica di comes Patrimonii, ma è probabile che egli fosse già ritornato a Ravenna prima del 513, data dell’ultima lettera inviatagli da Ennodio, nella quale si fa riferimento alla sua residenza in città (Epistulae, cit., l. VIII, 7). Il suo epitaffio non indica più ulteriori incarichi a corte dopo questa data. Da una lettera inviatagli da Avito (Opera, a cura di R. Peiper, 1883, epistula 39), vescovo di Vienne e parente di Ennodio, databile tra il 515 e il 516, si può però supporre che Senario continuò a ricoprire un ruolo di spicco nella società italica dell’epoca. Nella missiva, infatti, il vescovo gallico lo interrogava sulla legazione che papa Ormisda aveva inviato a Costantinopoli nel tentativo di risolvere lo scisma acaciano.
Risalirebbe a quest’epoca anche una lettera inviatagli dal diacono romano Giovanni, forse il futuro papa Giovanni I (523-526), in risposta alle curiosità di Senario riguardo ai riti d’iniziazione cristiana e alla possibilità di ribattezzare gli ariani – tema questo centrale alla fine del regno di Teodorico, a causa delle iniziative bizantine contro le chiese ariane del regno d’Italia. In effetti, la dimensione religiosa non dev’essere stata affatto secondaria nella vita di Senario, quanto meno dopo la conclusione del suo mandato alla comitiva Patrimonii. A chiusura del suo epitaffio, infatti, egli affermava di essere stato guidato nella sua vita dalla pietà, dalla fede e dall’onestà, elementi questi che ritroviamo anche in alcune delle lettere ennodiane.
A partire dagli anni Venti del VI secolo, le testimonianze relative a Senario scompaiono del tutto e l’epitaffio, giuntoci solo in trascrizioni di epoca moderna, è privo dell’indicazione della data di morte e del luogo di sepoltura. Non è difficile ipotizzare che egli sia stato vittima del clima di instabilità politica dell’ultima fase del Regno di Teodorico: gli anni segnati dall’inasprirsi delle tensioni con l’Oriente e, sul fronte interno, dalla condanna a morte di personaggi illustri come il senatore Simmaco e Boezio, che segnarono una frattura tra l’élite italica di origine romana e il re goto.
Malgrado le lacune relative all’inizio e alla fine della sua vita, la biografia di Senario ci presenta un caso esemplare dell’Italia gota. Un personaggio che legò completamente la sua ascesa e la sua affermazione sociale al servizio presso la corte di Teodorico fu per questo al centro delle relazioni e della politica italica e internazionale per il primo ventennio del VI secolo, ma che probabilmente, come altri esponenti del suo rango, visse gli ultimi tragici anni del regno goto ritirandosi a vita privata.
Fonti e Bibl.: Giovanni Diacono, Epistola ad Senarium, in Patrologia Latina, LIX, Paris 1845, coll. 399-408 (riedita anche come Epistola ad Senarium, in Analecta Reginensia: extraits des manuscripts latins de la reine Christine conservés au Vatican, a cura di A. Wilmart, Città del Vaticano 1933); Ennodio di Pavia, Opera, a cura di W. Hartel, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, VI, Vindobonae 1882 (le lettere sono edite anche in Id., Opera omnia, a cura di F. Vogel, in MGH, Auctores antiquissimi, VII, Berlin 1885); Avito di Vienne, Opera, in MGH, Auctores antiquissimi, a cura di R. Peiper, VI, 2, Berlin 1883; Cassiodori Senatoris Variae, a cura di Th. Mommsen, in MGH, Auctores antiquissimi, XII, Berlin 1894 e, per un’edizione più recente dello stesso testo: Variarum libri XII, a cura di Å.J. Fridh, in Corpus christianorum series latina, XCVI, Turnhout 1973, ora anche in traduzione italiana con testo a fronte e commento in Fl. Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, Varie, a cura di A. Giardina - G.A. Cecconi - I. Tantillo, Roma 2014. L’epitaffio di Senario è riedito con traduzione in inglese e commento in A. Gillett, Envoys and political communication in the late antique West (411-533), Cambridge 2003, p. 195.
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