semplificazione
Nelle lingue si hanno fenomeni di semplificazione quando una struttura più complessa è sostituita da una più semplice, cioè «più facile, più agevole, […] meno impegnativ[a] ecc. a qualche livello per l’utente» (Berruto 1987: 43). Due avvertenze sono necessarie:
(a) il concetto di semplificazione dev’essere sempre inteso in termini locali, cioè in relazione all’ambito linguistico a cui si fa riferimento;
(b) quel che si semplifica da un lato non necessariamente rende il sistema più semplice dall’altro: possono infatti svilupparsi, a seguito della semplificazione, complicazioni del sistema.
A livello fonologico, per es., rispetto al latino (➔ latino e italiano), in italiano si registra lo sviluppo di varie consonanti ➔ affricate. Queste nascono dall’➔assimilazione di una consonante alla vocale palatale successiva, e per questo possono essere considerate come la risposta semplificatrice a una difficoltà locale di tipo articolatorio, cioè la distanza articolatoria tra una consonante velare e una successiva vocale palatale: [k]elere(m) > [ʧ]elere. In latino, però, le affricate erano del tutto assenti, e la loro presenza in italiano può essere considerata, dal punto di vista complessivo del sistema fonologico, una complicazione.
Per converso, un fenomeno che semplifica il funzionamento del sistema non necessariamente provoca la diffusione di strutture più semplici: un caso su tutti è la recessione del ➔ passato remoto a favore del passato prossimo che si registra in molte varietà d’italiano, soprattutto settentrionale (ma anche di altre zone):
(1) dieci anni fa il Presidente della Repubblica si recò / si è recato in visita in Scozia
La semplificazione sta nel fatto che il sistema verbale diventa più semplice dopo l’eliminazione del passato remoto, sostituito dal passato prossimo, che ha l’effetto di neutralizzare l’opposizione tra i due tempi (➔ temporalità, espressione della; si trascura qui l’opposizione di ➔ aspetto che c’è fra le due forme). Tuttavia, dal punto di vista della mera struttura formale, il passato prossimo, essendo perifrastico (è formato da ausiliare + participio passato), è più complesso del passato remoto italiano o, risalendo indietro nel tempo, del perfetto latino cui corrisponde funzionalmente.
Data la prospettiva essenzialmente diacronica dalla quale si deve guardare ai fenomeni di semplificazione, in questa voce si esamina la semplificazione del sistema dell’italiano rispetto al latino; verrà poi trattato qualche fenomeno di semplificazione dell’italiano odierno.
Rispetto al latino, l’italiano presenta vari fenomeni di semplificazione fonologica:
(a) la perdita del tratto di lunghezza nelle ➔ vocali, in parte rispecchiato in gradi diversi di apertura nelle vocali medie (➔ quantità fonologica);
(b) la semplificazione di gruppi consonantici complessi come /kt/, /pt/, ecc., che in italiano sono diventati consonanti lunghe o geminate con assimilazione di tipo regressivo (lat. fractura > frattura, ruptura > rottura, ecc.);
(c) la caduta delle ostruenti finali, non più tollerate dalla ➔ fonetica sintattica italiana (amat > ama, fac > fa’, rex > re, ecc.);
(d) la nascita di consonanti affricate a partire da sequenze di consonanti seguite da vocali palatali, menzionate prima;
(e) la semplificazione del sistema d’➔accento, non più regolato su base fonologica ma puramente lessicale.
Come si è osservato per le affricate, ci si può chiedere anche in quest’ultimo caso se sia davvero una semplificazione il passaggio dall’accento latino, condizionato fonologicamente (recava l’accento la terz’ultima sillaba di una parola solo se la penultima era ‘leggera’, cioè terminante in vocale breve), all’accento libero dell’italiano, senza restrizioni sulle sillabe su cui può cadere e quindi specificato lessicalmente per ogni parola. Certo, in italiano il sistema accentuale è più semplice che in latino. D’altro canto la posizione dell’accento di parola in italiano è meno prevedibile che in latino, e pertanto dà luogo a una più complessa distribuzione dei tipi prosodici possibili (parole tronche, piane, sdrucciole, bisdrucciole (➔ parola italiana, struttura della), e ne rende più difficile l’apprendimento, per es. da parte di stranieri.
Dal punto di vista morfologico, il grande cambiamento rispetto al latino riguarda la perdita della morfologia del ➔ caso. Ciò semplifica enormemente la flessione dei nomi, riducendo da dodici a due il numero di forme di parola teoricamente possibili in un paradigma nominale (➔ paradigmi). Tuttavia, la perdita del caso ebbe effetti sulla sintassi, dato che l’➔ordine degli elementi della frase è divenuto più rigido: per es., in latino era possibile in una frase l’➔oggetto diretto anteposto:
(2)
Paulum amat Lucilla
Paolo[oggetto] ama Lucilla[soggetto]
«Lucilla ama Paolo»
che in italiano è impossibile, salvo ad avere un forte accento contrastivo sul costituente anteposto:
(3) PAOLO ama Lucilla, non Antonio
Anche in questo caso, però, la frase risulta ambigua tra un’interpretazione in cui Paolo è soggetto e una in cui è oggetto di ama: solo il ricorso al contesto permette di discriminare.
La morfologia di caso è sostituita in parte dall’impiego di ➔ preposizioni, che spesso sono opache dal punto di vista semantico. Infine, in italiano si è sviluppato un sistema di pronomi ➔ clitici, assenti in latino, che permettono di spostare costituenti in posizioni non canoniche come nell’esempio visto sopra, risolvendo ogni ambiguità sintattica: Paolo lo ama Lucilla.
Il sistema verbale (➔ modi del verbo) è invece rimasto piuttosto complicato: per certi versi è anzi divenuto ancora più complesso, con il formarsi di un modo non presente in latino, il ➔ condizionale, oltre che con la fioritura di una serie di ➔ tempi composti: si pensi a forme come il passato prossimo, il trapassato prossimo, ecc., oltre che a tutta la flessione passiva.
Rispetto a questa tendenza c’è un’unica grande eccezione, la scomparsa della flessione dell’➔infinito, che si accorda con la generale riduzione di flessione delle forme nominali vista sopra. In questo modo, tuttavia, «il gerundio, liberato dal compito di operare come forma flessa dell’infinito, può assumere altre funzioni [...] che, specialmente in italiano, diventeranno numerose e importanti» (Simone 1993: 47-48). Tra queste citiamo, oltre all’uso, in realtà limitato a varietà poco sorvegliate, in funzione di converbo, cioè come subordinata circostanziale di modo non finito (mi ha salutato ridendo), soprattutto l’impiego, molto frequente, nella cosiddetta perifrasi progressiva (stare + gerundio; ➔ perifrastiche, strutture; ➔ sintassi).
Inoltre, sono sparite in italiano le forme perifrastiche ottenute mediante i cosiddetti aggettivi verbali (gerundivo e participio futuro), anche se, come si è detto, vi nascono parecchie altre perifrasi. Infine, da un punto di vista morfosintattico si registra una generale semplificazione del meccanismo della consecutio temporum, «consentendo una più libera sintassi della clausola dipendente» (Simone 1993: 48; ➔ concordanza dei tempi).
Va infine osservato che tra le lingue romanze l’italiano è forse la lingua più conservativa e vicina al latino (➔ lingue romanze e italiano). Ciò è dovuto al fatto che l’italiano è stato usato per secoli dai ceti più colti come lingua solamente scritta, a differenza di altre lingue romanze, in cui invece l’uso orale ha avuto un impatto maggiore (➔ storia della lingua italiana). Per questo, a proposito dell’italiano si parla di una forte «costanza dell’antico» (cfr. Nencioni 1987), sia per la prossimità col latino che per la spiccata conservatività della sua storia linguistica.
I fenomeni di semplificazione che si osservano nell’italiano di oggi si lasciano ricondurre, pur nella cornice della costanza dell’antico, da un lato al «fatto che esso, dopo essersi sviluppato per secoli come lingua solamente scritta, solo da alcuni decenni è adoperato anche come lingua parlata», dall’altro «all’affiorare, nelle sue strutture, di alcuni aspetti tipici di taluni suoi dialetti» (Simone 1993: 61).
È sul piano fonologico che è oggi più forte l’impatto della dimensione parlata sullo standard scritto, al punto che «risulta sempre più difficile parlare di un solo sistema fonologico italiano» (Mioni 1993: 136). L’influsso delle diverse varietà geografiche induce nella ➔ pronuncia dei parlanti l’effetto di vari processi di semplificazione che originano nei sistemi fonologici dei dialetti o varietà regionali. Solo per fare un esempio, tradizionalmente si attribuiscono al sistema standard corretto sette vocali, almeno in sillaba tonica. In realtà, solo poche varietà realizzano compiutamente questo tipo (➔ fonologia): anche nei casi in cui sono realizzati i sette fonemi vocalici, come in gran parte dell’Italia centrale, della Campania, della Basilicata e del Molise, oltre che in Veneto, Trentino e Friuli, la loro distribuzione è diversa dallo standard. Per es., in Veneto è comune una pronuncia c[e]ntotr[ɛ] rispetto allo standard c[ɛ]ntotr[e] (Mioni 1993: 123). In diverse altre varietà troviamo un sistema semplificato, con soli cinque fonemi vocalici ma con sette ➔ allofoni tipici; o addirittura con solo cinque vocali, come in Venezia Giulia e tutta l’Italia meridionale estrema.
Anche in altri punti del sistema si registrano fenomeni di semplificazione. Nel sistema verbale, per es., nelle varietà meno sorvegliate e nel parlato in generale, riscontriamo una riduzione complessiva delle forme del paradigma verbale.
Un primo fenomeno riguarda la già citata riduzione del passato remoto a favore del passato prossimo, fenomeno comune anche ad altre lingue romanze (come il francese), per cui «le lingue romanze parlate, pur disponendo di due forme distinte per il passato (una loro innovazione rispetto al latino, a non contare l’imperfetto) ne usano una sola» (Simone 1993: 63).
Un secondo fenomeno, che interessa l’intera penisola, è la riduzione del ➔ congiuntivo in favore dell’indicativo, soprattutto in frasi dipendenti da verbi come credere, ritenere, ecc. (4) e più in generale nelle frasi completive (5) (➔ completive, frasi):
(4) Carlo crede che Maria spesso si dimentica / dimentichi di lui
(5) mi chiedo se Gianni sia / è andato in vacanza
Questo fenomeno, che può esser messo in connessione con la semplificazione del sistema latino della consecutio temporum, si accompagna a un altro fenomeno che minaccia anch’esso il congiuntivo, oltre che il condizionale. Infatti, in registri colloquiali si ha la sistematica sostituzione delle forme del congiuntivo trapassato e del condizionale passato con l’➔imperfetto indicativo. In particolare, l’imperfetto indicativo si usa in modo generalizzato nel ➔ periodo ipotetico dell’irrealtà (o controfattuale):
(6) se Maria veniva / fosse venuta qui, ci divertivamo / saremmo divertiti di più
Analogamente, il condizionale è minacciato dall’imperfetto indicativo (ma solo nel registro parlato informale) quando è impiegato come ➔ futuro nel passato:
(7) Mario ha detto che sarebbe venuto / veniva domani
È invece preservato nel suo valore epistemico quando ricorre in congetture (anche controfattuali):
(8) credo che a Mario piacerebbe / sarebbe piaciuto / *piaceva andare in vacanza all’Elba
Studi svolti su campioni di ➔ lingua parlata hanno messo in evidenza come i parlanti facciano un uso piuttosto parsimonioso della complessità del paradigma verbale dello standard (cfr. Voghera 1992): nelle principali l’indicativo costituisce infatti oltre il 90% delle forme verbali impiegate, seguito da un 4% di forme di condizionale; poco meno dell’80% delle forme di indicativo sono date dal presente, seguito da un 10% circa di forme di passato prossimo e da un 5% di forme di imperfetto.
In questo quadro si inscrive anche l’impiego dell’indicativo presente al posto del futuro, mentre il ➔ futuro anteriore sopravvive quasi solo nell’uso epistemico:
(9) sarà stato il gatto a rompere il bicchiere
Fenomeni di semplificazione si osservano anche nell’ambito dei pronomi personali (➔ personali, pronomi). Nella norma consolidata (➔ norma linguistica), si distinguono tradizionalmente i pronomi tonici soggetto egli / ella / essi / esse da quelli non soggetto lui / lei / loro, che possono riferirsi esclusivamente ad antecedenti umani. Si noti che l’opposizione è neutralizzata quando il pronome ricorre in posizione post-verbale: lo ha detto lui / *egli, sono stati loro / *essi, ecc. Oggi il sistema dei pronomi soggetto è in profonda trasformazione: il femminile ella è scomparso, benché il maschile egli sia ancora impiegato, almeno nelle varietà sorvegliate. Inoltre si neutralizza l’opposizione della coppia esso / essa, tradizionalmente impiegata per riferirsi ad antecedenti non umani, ora anche con riferimento a persone (10) e come non soggetto. D’altro canto il pronome non soggetto tradizionalmente riferito ad umani si trova sempre più di frequente anche con antecedenti inanimati (11):
(10) grazie alla donna, e con essa, l’uomo si apre ad un altro dono meraviglioso ed impareggiabile: quello dei figli
(11) l’estate finalmente sta arrivando e con lei arriva un appuntamento importante: il campo scuola
Anche tra i pronomi clitici si osservano fenomeni di semplificazione:
(a) la distinzione tra le forme di dativo singolare maschile gli e femminile le tende a sparire in favore del maschile (12 a.);
(b) la distinzione tra il dativo singolare gli e plurale loro tende ad annullarsi, ancora in favore di gli (12 b.);
(c) l’uso del clitico avverbiale ci si espande (12 c.) «fino a coprire una varietà di usi che altrimenti sarebbero risolti con pronomi tonici» (Simone 1993: 72; cfr. Berretta 1985):
(12)
a. l’ho ricercata e gli ho detto se potevamo vederci perché volevo parlare con lei
b. prima della gara [...] ho raccolto i ragazzi e gli ho detto: abbiamo davanti una partita decisiva
c. ho incontrato Marianna, ma ci ho parlato poco
Infine, i pronomi clitici entrano in gioco anche a livello morfosintattico «in un tipo speciale di clausola, caratterizzato da un pronome relativo non-soggetto (rappresentato sempre da che) e da un clitico di ripresa» (Simone 1993: 92):
(13)
a. un grafico che non se ne sentiva la mancanza
b. è un libro che l’ho letto tutto d’un fiato
In altre parole, il pronome relativo appare indebolito riducendosi a un connettivo generico, «del quale non è facile (o forse neppure possibile) dire se si tratti di un relativo o di una congiunzione» (Simone 1993: 93; ➔ che polivalente).
Bisogna aggiungere che tutti i fenomeni che abbiamo visto esemplificati in (10-13), oltre che in altre varietà romanze, si ritrovano anche in fasi precedenti dell’italiano. Per es., la relativa indebolita con ripresa pronominale (➔ relative, frasi) vista in (13) si ritrova già agli inizi della tradizione letteraria italiana:
(14) Una sposa pigliai
che dato li ho el meo core
(Jacopone da Todi, “O Cristo onnipotente”, 6-7)
Si noti che in (14) c’è anche la cancellazione della distinzione tra il dativo singolare maschile gli e il femminile le vista sopra in (12 a). I fenomeni di semplificazione rappresentano quindi l’affioramento di tendenze costantemente presenti nel corso della storia dell’italiano.
Berretta, Monica (1985), I pronomi clitici nell’italiano parlato, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, hrsg. von G. Holtus & E. Radtke, Tübingen, Narr, pp. 185-224.
Berruto, Gaetano (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
Mioni, Alberto M. (1993), Fonetica e fonologia, in Sobrero 1993, pp. 101-139.
Nencioni, Giovanni (1987), Costanza dell’antico nel parlato moderno, in Gli italiani parlati. Sondaggi sopra la lingua di oggi. Incontri del Centro di studi di grammatica italiana (Firenze, 29 marzo - 31 maggio 1985), Firenze, Accademia della Crusca, pp. 7-25 (rist. in Id., Saggi di lingua antica e moderna, Torino, Rosenberg & Sellier, 1989, pp. 281-299).
Simone, Raffaele (1993), Stabilità e instabilità dei caratteri originali dell’italiano, in Sobrero 1993, pp. 41-100.
Sobrero, Alberto A. (a cura di) (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 1º (Le strutture).
Voghera, Miriam (1992), Sintassi e intonazione nell’italiano parlato, Bologna, il Mulino.