Semele (Semelè)
Figlia di Cadmo, re di Tebe, e di Armonia; sorella di Ino, Agave e Antonoe; madre di Bacco, avuto da Giove.
Giunone, sdegnata per l'infedeltà del marito e desiderosa di vendicarsi, apparve a S. sotto le sembianze della vecchia nutrice Beroe e astutamente le insinuò il sospetto sulla divinità dell'amante, inducendola a chiedere a Giove, per averne la prova, che le si mostrasse nella pienezza del suo splendore e della sua maestà, non diversamente da come il dio era solito mostrarsi a Giunone. S. fece giurare a Giove di concederle ciò che gli avrebbe chiesto. Il dio prima tentò di dissuaderla, ma non potendo violare il giuramento che la fanciulla gli aveva estorto, fu costretto ad aderire alla sua richiesta e apparve dinanzi a lei come il signore del tuono e del fulmine. Il corpo mortale di S. non tollerò quel fragore e rimase incenerito dal dono di nozze (Ovidio Met. III 253-315). Giunone, accesa d'ira contro la stirpe di Cadmo a causa di S., rese furioso Atamante, re di Orcomeno e marito di Ino, la quale aveva educato Bacco, figlio di Semele. Atamante, scambiando nella sua follia la consorte e i due figli, Learco e Melicerta, per una leonessa e due leoncini, tese le reti per prenderli, poi uccise Learco sbattendolo contro uno scoglio, mentre Ino, pazza di dolore, si lasciò precipitare da una rupe insieme con l'altro figlioletto (Ovidio Met. IV 512-560). Prima di colpire Ino la dea aveva spinto Agave, altra sorella di S., moglie di Enchione, a uccidere, mentre sacrificava a Bacco insieme con le figlie ebbre, l'unico figlio maschio, Penteo, credendolo un cinghiale (Ovidio Met. III 511 ss.), e aveva fatto sbranare dai propri cani Atteone, unico figlio di Antonoe, sorella di S. e moglie di Aristeo (vv. 131-252).
Il canto XXX dell'Inferno (decima bolgia, dei falsatori di persone) si apre con due quadri mitologici tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: il pazzo furore dei due soggetti serve di confronto con la scena che si presenta improvvisamente agli occhi di Dante. Nel primo quadro è rievocato il mito di S. che, amata da Giove, suscitò l'ira di Giunone, la quale si vendicò contro tutta la stirpe di Cadmo (Nel tempo che Iunone era crucciata / per Semelè contra 'l sangue tebano, / come mostrò una e altra fïata, v. 2; per il v. 3, cfr. If X 50). Dopo la solenne formula di apertura, s'inizia, col v. 4, l'ampia rievocazione del mito di Atamante, drammatico e ricco di pathos, al pari del mito di Ecuba narrato subito dopo (vv. 13-21). In D. entrambi i miti sono condensati in pochissimi versi e rispecchiano i momenti culminanti o più significativi della narrazione ovidiana, e in entrambi è possibile rintracciare la presenza del poeta latino.
A S. incenerita da Giove D. fa esplicito riferimento in Pd XXI 6, nel cielo di Saturno (spiriti contemplanti), quando accenna al trattenuto riso di Beatrice, la quale, accortasi della meraviglia di D., spiega che se ridesse, come aveva fatto ogni volta nel passaggio da un cielo all'altro (cfr. II 28, V 94-96, VIII 13-15, XIV 79-91, XVIII 55-57), aumentando il piacer santo dei suoi occhi (XIV 138), tu ti faresti quale / fu Semelè quando di cener fessi, alludendo appunto al momento in cui S. rimase incenerita, come narra Ovidio (Met. III 308-309 " corpus mortale tumultus / non tulit aethereos donisque iugalibus arsit ", ripreso da Stazio Theb. III 184-185 " fulmineum in cinerem monitis Iunonis iniquae / consedit ".
Quanto all'accento sull'ultima, si sa che l'uso medievale era di accentare in tal modo i termini non latini in genere, come scrive Giovanni da Genova: " omnis barbara vox, non declinata latine, / Accentum super extremam servabit acutum " (cfr. Parodi, Lingua 234).
Di S. si fa menzione anche in Ep III 7, dove Bacco è detto, paronomasticamente, ‛ semen Semeles ', in connessione con Alcitoe e le sue due sorelle.
Bibl. - G. Margiotta, Il canto XXX dell'Inferno, in Nuove lett. III 83 ss. (con bibliografia).