seme
L’organo indispensabile per la sopravvivenza della specie
Anche se in apparenza il seme di una pianta è un organo privo di vita, contiene al suo interno l’embrione da cui si svilupperà una nuova piantina. Ciascun seme trascorre un periodo di riposo prima di germinare e sopravvive per un periodo di tempo variabile da pianta a pianta. Esistono apposite, e utilissime, banche dei semi dove questi ultimi sono conservati
A partire dall’esterno verso l’interno ciascun seme è formato da tegumento, albume ed embrione. Il tegumento è il rivestimento esterno che racchiude e protegge tutto ciò che è situato all’interno. Può essere liscio o provvisto di piccole protuberanze: creste, uncini o addirittura espansioni simili ad ali che ne facilitano la disseminazione. In alcuni casi è rivestito di peli, come nel salice o nel cotone, in altri è carnoso come nel tasso o duro e legnoso come nel pino domestico e nella maggior parte delle Gimnosperme.
Ciascun seme contiene, inoltre, l’embrione, un piccolissimo ammasso di cellule dalla forma allungata paragonabile a una pianta in miniatura perché formato da una radichetta, da un minuscolo fusto e spesso da foglioline microscopiche, dette cotiledoni. Alcuni semi contengono una sola fogliolina embrionale (Monocotiledoni), altri due (Dicotiledoni) o più di due (Gimnosperme), mentre in altri casi – come nelle Graminacee – i cotiledoni mancano del tutto. L’embrione è avvolto dall’albume, uno speciale tessuto ricco di sostanze di riserva che nelle Graminacee occupa gran parte del seme. Albume e cotiledoni sono ricchi di sostanze indispensabili per nutrire sia l’embrione – in via di sviluppo entro il seme – sia la giovane piantina (plantula) durante i primi giorni di vita, quando ancora non è in grado di mantenersi in modo autonomo.
Il frutto, entro cui sono raccolti i semi, serve a disperdere questi ultimi nell’ambiente una volta raggiunta la maturazione. Anche il seme deve raggiungere la maturazione e per questo impiega tempi che variano da pianta a pianta: alcuni semi maturano rapidamente insieme al frutto, come quelli dei salici o dei pioppi, altri impiegano tempi più lunghi come quelli del pero e del melo i quali, una volta formati, maturano dopo circa due anni.
Prima di germinare il seme trascorre un periodo di riposo, detto dormienza, durante il quale conduce una vita ‘a rilento’ e non germina anche se posto in condizioni ambientali favorevoli al suo sviluppo.
La vitalità del seme, anche detta longevità, oltre a dipendere dalle condizioni ambientali, varia molto da pianta a pianta. Alcuni semi possono sopravvivere per migliaia di anni, come quelli di lupino ritrovati in Canada tra i ghiacci e risalenti a circa 10.000 anni fa.
Molti semi sono noti soprattutto perché mangerecci come quelli delle piante di pisello, fagiolo, fava, lenticchie, noce, arachide o castagna. Alcuni, ricchi di grassi, sono utilizzati per ricavare oli – come quelli di girasole, di lino o di ricino –, altri per ricavare farine perché ricchi di amido – come quelli del frumento e di molti cereali; altri ancora, quelli di tutte le Leguminose, sono ricchi di proteine. Determinati semi, infine, sono impiegati per preparare bevande o dolciumi, quali caffè, orzo, cacao e cocco.
La coltivazione e la selezione delle piante operata dall’uomo da tempi remoti ha contribuito a modificare sempre più le forme selvatiche che crescevano e crescono tuttora spontaneamente. L’uomo ha modificato di generazione in generazione le caratteristiche delle piante coltivate rendendole però più vulnerabili all’attacco di virus o batteri e più suscettibili alle malattie rispetto a quelle selvatiche da cui si sono originate.
Queste ultime sono invece una importante fonte di biodiversità perché, nel caso di estinzione di qualche specie, attraverso ibridazioni potrebbero fornire nuovi caratteri molto utili alle varietà coltivate. Ecco perché conservare i semi delle piante selvatiche in apposite banche dei semi rappresenta una risorsa indispensabile per la sopravvivenza delle specie vegetali.