SELENE (Σελήνη)
Il nome indica la luna come corpo celeste e nello stesso tempo la sua personificazione, la divinità o almeno una delle divinità della luna. Nelle genealogie tradizionali fissate da Esiodo essa è detta figlia del titano Hyperion e di Theia, personalità peraltro alquanto evanescenti e insostanziali. In particolare Hyperion, che è considerato una ipostasi di Helios e che quindi non sta altro che a indicare l'ovvia parentela universalmente postulata nelle credenze popolari tra il sole e la luna.
Non diversamente da Helios, S. non è una divinità maggiore, il suo culto è relativamente limitato e assai scarse ne sono le figurazioni sicure. Uno dei principali centri di culto deve porsi peraltro in Elide, dove è da localizzare almeno nei suoi inizî, l'unica storia mitica connessa con la dea, quella del giovane pastore Endimione che ne fu amante. La storia di questo amore è di notevole antichità e appare già nella poesia di Saffo: tuttavia non vi è alcuna sicurezza che l'immagine di S. ricordata da Pausania come esistente nel mercato di Elide accanto a una di Helios sia di grande antichità (vi, 24, 6). Che anzi il fatto che l'emblema distintivo menzionato dal periegeta sia non già il disco lunare, ma le corna del crescente, farebbe supporre si tratti di un'immagine ellenistica. Altrettanto vaga è la menzione di una statua della dea accanto a quella di Pan in Sicione (Paus., ii, 10, 2) a cui è forse da ricollegare una tarda moneta di Patrasso.
Le più antiche immagini di S. che è possibile identificare ricorrono nella ceramica attica a figure rosse intorno al 500 a. C. Si tratta di volti femminili entro un disco, come nel concilio degli dèi della famosa coppa firmata da Sosias nel museo di Berlino o il grande volto misterioso entro il tondo di una coppa del Pittore di Elpinikos a Bonn (Journ. Hell. Stud., lix, 1939, p. 150). Di poco posteriori peraltro le figurazioni di S. in carro non diversamente da quanto avviene per Helios. Così in una famosa coppa del Pittore di Brygos (Berlino n. 2293, Furtwängler-Reichhold, 160) il carro della dea emerge dalle onde del mare con i cavalli alati arditamente tagliati dal bordo circolare del tondo della coppa. Verso la metà del secolo peraltro si affermano sempre di più la figurazione di S. cavalcante un cavallo o un mulo, a partire dalla oinochòe prossima al Pittore di Egisto nel museo di Firenze (C. V. A., Firenze, ii, tav. 67, 1). Così incontriamo S. seduta sulla sua cavalcatura, in un caso mentre insegue su terreno roccioso il cavallo già per metà scomparso, tagliato fuori dai limiti del fondo di una coppa (Furtwängler-Reichhold, iii, p. 37). In seguito poi le immagini di S. come quelle di Helios, di Eos, di Phosphoros, tendono ad assumere sempre più la funzione di un inquadramento di un'azione, come una sorta di coordinate simboliche del tempo e dello spazio in cui si situa un grande avvenimento mitico. Questo è il senso che occorrerà dare alle immagini di S. nel frontone orientale del Partenone, nella base dello Zeus di Olimpia, nella gigantomachia quale ci è data di riflesso nel tardo cratere attico di Napoli. E in questo senso è assai utile rilevare il contrasto tra la gioiosa apoteosi dei carri di Helios, di Eos, di Nyx, e la raccolta, solitaria cavalcata di S. a volte tutta avviluppata nel manto, come a difendere un suo elusivo segreto.
Monumenti di minore importanza come gemme e lucerne ci danno immagini di S. su un carro tratto da tori o da arieti o cavalcante un torello. In molti casi può trattarsi di adattamenti di figure divine affini, come Men per l'ariete o Artemide Tauropòlos: è peraltro anche da ricordare come per altre minori divinità lunari, quali Pasifae ed Europa, la connessione con un toro, in generale ipostasi di Zeus, è al centro stesso della loro storia. In tarda età classica e naturalmente nell'ellenismo è quasi normale la fusione o la sovrapposizione di S. con altre divinità, in particolare Artemide, Ecate, Ilizia. Artemide poi, anche come cacciatrice, assume come simbolo normale il crescente lunare sulla fronte: e in età romana, anche se si tratta di un'immagine in un clipeo, è da ritenere sempre più probabile si tratti di Artemide che di Selene. Ugualmente la supposizione che nelle tre immagini tradizionali dell'Hekataion siano da vedere accostate le personalità di Ecate, Artemide e S., viene ora decisamente rifiutata dal più recente studioso di questo tipo iconografico,Th. Kraus.
La più grandiosa immagine plastica che ci sia pervenuta di S. è da considerare quella che appare nel fregio del grande altare di Pergamo cavalcante presso il carro di Helios. Per contrario le poche immagini statuarie che siamo autorizzati ad assegnare a S. ci propongono un tipo di gusto ellenistico, dalle vesti lievi e fruscianti, un velo allargato ad arco sul capo e in definitiva un aspetto di tenera, fragile femminilità quale avvicineremmo piuttosto ad Afrodite che non all'appassionata impetuosità amazzonica di Artemide. Questo carattere è d'altra parte da porre in relazione con il fatto che l'ellenismo considera S. unicamente sotto l'aspetto delle misteriose visitazioni notturne al pastore dormente Endimione. Con queste vesti leggere e gonfie di vento la dea scende dal carro nelle numerosissime figurazioni su dipinti pompeiani e su sarcofagi. E indubbiamente la scarsa individualità di questa immagine plastica, le variazioni nei drappeggi che a volte lasciano scoperti i seni, a volte l'intero torso della figura, confermano l'induzione che si tratti di una creazione pittorica non agevole a tradurre a tutto tondo. Il motivo delle visite notturne della dea doveva trovare facili trasposizioni simboliche nell'iconografia dei sarcofagi romani. Come ha indicato F. Cumont, qualsiasi allusione alla luna è anche da riferire all'abitazione dei morti, alla vera patria delle anime. E di qui la frequenza di simboli lunari, in generale crescenti, su stele funerarie, isolati e come ornamento o inquadramento delle immagini dei defunti.
Estremamente rare le immagini riferibili alle qualità magiche della luna. Un vaso italiota di Napoli che affianca Medea sul carro tratto dai draghi e S. a cavallo può non indicare altro che il momento della fuga notturna dell'incantatrice. Mentre solo in un disegno del Tischbein (Vases d'Hamilton, iii, 31) è noto un vaso attico apparentemente di età tardo-classica in cui due maghe tessale ignude operano incanti con una spada e una verga sul disco lunare che appare nel cielo con entro un piccolo volto femminile.
La più suggestiva evocazione di S. resta tuttavia il grande rilievo paesistico con Endimione nel Museo Capitolino, in cui il greve e turbato sonno del giovinetto e l'allarme agitato del cane che abbaia fanno intendere con una così intensa poesia la mistica discesa della dea invisibile.
Bibl.: W. H. Roscher, in Roscher, II, 1894-97, c. 3119, s. v. Mondgöttin; id., ibid., IV, 1909-15, c. 642, s. v.; Schwenn, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, c. 1136, s. v., n. i; F. Cumont, Symbolisme funéraire des Romains, Parigi 1942, p. 177 ss.; T. Kraus, Hekate, Heidelberg 1960, p. 102 ss.; F. Brommer, in Arch. Anz., LXXVIII, 1963, p. 680 ss.