Vedi SEGOBRIGA dell'anno: 1966 - 1997
SEGOBRIGA (v. vol. VII, p. 154)
(v. vol. VII, p. 154). La città è situata a 875 m di altezza presso il fiume Giguela, e nelle sue vicinanze si trovava un nemus o bosco sacro, individuabile come tale grazie al ritrovamento di iscrizioni rupestri con dediche a Diana.
Il nome celtico di S. presenta due elementi frequenti nella toponimia della Penisola Iberica, la radice Seg- il suffisso -briga, indicativo di un abitato fortificato. Un frammento di anfora attica della metà del V sec. a.C., molto raro nella Meseta, e una necropoli messa in luce nel XIX sec. confermano che l'insediamento era in origine un castro celtibero costruito su terre carpetane. La sua posizione topografica e strategica le consentiva di controllare le comunicazioni della Meseta sud-orientale, poiché si trovava sulla via da Carthago Nova a Complutum (Geogr. Rav., 313, 11) che collegava il mare alla Meseta stessa, nel punto in cui si biforcava verso Ercavica, Segontia e Caesaraugusta, mentre altre strade secondarie la collegavano con la via che andava da Castulo a Toletum e con quelle che passavano per Valeria.
Le notizie su S. sono scarse: non è citata nelle campagne di Annibale, né in quelle di Sempronio Gracco del 179 a.C., anche se all'epoca di quest'ultimo era probabilmente una civitas stipendiaria. Frontino (Strat., III, 10, 6 e 11, 4) pone il suo scontro con Viriato intorno all'anno 140 a.C. L'onomastica indica legami con C. Valerio Fiacco e con Q. Cecilio Metello; svolse un ruolo importante nelle lotte fra quest'ultimo e Sertorio nel 74 a.C. circa (Strab., III, 4, 13) . È citata da Tolemeo (Geog., II, 6, 57) e anche da Plinio (Nat. hist., III, 25) come caput Celtiberiae conventus Carthaginiensis. La produzione agricola, l'estrazione di lapis specularis (Plin., Nat. hist., XXXVI, 160; Isid., Orig., XVI, 4) e la floridezza del commercio la fanno spiccare fra le città della Meseta, e contribuiscono a farle raggiungere verso la fine del I sec. a.C. lo status di municipium, assegnato alla tribù Galería e governato da quattuorviri ed edili. Il piano urbanistico fu predisposto, presumibilmente, da Cesare e realizzato da Augusto. Raggiunse il suo apogeo in epoca flavia; molto più tardi, fra il 589 e il 639, fu un'importante sede vescovile visigota, mentre la sua decadenza coincise con la dominazione degli Arabi.
La città ha una superficie di 10,5 ha ed è circondata da una cinta muraria di 1375 m di lunghezza, rinforzata con opus caementicium in corrispondenza delle porte, situate a S, a O, a NE e a N: quest'ultima era la principale, a doppio fornice, posta fra il teatro e l'anfiteatro costruiti fuori le mura. La porta, sotto la quale scorreva il sistema delle fogne che drenava tutto il lato Ν della città, immetteva nel foro, nel quale si innalzavano una basilica rettangolare con una fila centrale di colonne e la Curia; non lontano erano le terme, costruite in epoca augustea fra le mura e il decumano. Si trattava di terme doppie, di cui si è conservata, però, soltanto la parte riservata agli uomini. L’apodyterium aveva un lungo sedile e alcune nicchie e presenta un'iscrizione in opus signinum in cui si legge (B)esso Abiloq(um) Velcile(sis a}rtifex a fundame(ntis). Dall'apodyterium si passa a un laconicum circolare con labrum, e al caldarium con piscina rettangolare. Si arriva al praefurnium passando presso le latrine situate accanto alla postierla delle mura; più a E sono la natatio con peristilio, a un livello superiore, e una grande aula rettangolare con dieci pilastri ionici, la quale doveva servire come criptoportico di un complesso monumentale terme-piscina-teatro legato al culto imperiale. Questo complesso architettonico presenta una soluzione originale: mette in comunicazione il peristilio della natatio, attraverso un'aula situata sul criptoportico, con il summum maenianum del teatro.
Il teatro era quasi addossato alla cinta muraria, dalla quale era separato da una via coperta a volta che univa le porte NE e N della città: su tale volta doveva essere impostato il summum maenianum. La cavea, di 60 m, è iposemicircolare con 5 scale e vomitoria, la media e la ima cavea, dotate di 5 file di sedili ciascuna, sono intagliate nella roccia e separate da baltei. Tre gradini di roccia, riservati all'ordine dei decurioni, separano la cavea dall'orchestra, che dà sulle pàrodoi e su un ricco pulpito mistilineo. Il proscenio, di legno, poggiava sulla roccia e su blocchi parallelepipedi e la scenae frons era scandita da colonne corinzie e da decorazioni vegetali. Tre aperture davano sul proscenio, quella centrale all'interno di una nicchia semicircolare, fiancheggiata da due colonne tortili. Una statua della Dea Roma doveva occupare la parte superiore. La scena era decorata da quattro statue di Muse e da altre raffiguranti personaggi togati della famiglia imperiale. Dietro la scena si estende un corridoio di forma allungata, con robusti contrafforti, al centro del quale si apre un'aula o tempio leggermente trapezoidale, con un altare situato all'esterno: questo complesso era forse dedicato al culto imperiale.
Il teatro doveva già far parte del progetto augusteo, ma la cavea e parte delle sculture della scena - una delle quali è del prefetto dei fabbri M. Octavius Novatus, probabilmente segobrigense - sono dell'età di Tiberio o di Claudio. La dedica dell'iscrizione monumentale è a Vespasiano e Tito e allude, all'apparenza, a un discendente di Ottavio Novato, che fu ufficiale della Legio XXI Rapax e prefetto di Aquitania nel 76-79 d.C. La decorazione del pulpito e della scena monumentale, che acquisirono così un aspetto assai vicino a quello dei teatri della Cirenaica, fu eseguita alla fine del II sec. d.C.
Più a O, davanti alla porta N, si trovava l'anfiteatro, di epoca Claudia, però costruito in rapporto col teatro. È di pianta ellissoidale, con l'asse maggiore di 75 m; il lato S è ricavato nella roccia. Un podio alto m 2,20 protegge l'arena e forma un corridoio coperto che unisce le carceri, disposte lungo l'asse minore e contigue agli accessi. Di questi ultimi, situati alle estremità dell'ellissi, quello orientale è a livello dell'arena, mentre quello occidentale presenta una ripida scala. La cavea, divisa in due parti da un alto balteo, si appoggiava a una serie di muri circolari e radiali; le gradinate erano costituite da sedili in muratura nella parte più bassa e forse in legno nella parte più alta, con 12 cunei delimitati da 10 scale che davano su altrettanti vomitoria.
È anche da segnalare il sistema idrico. Grandi cisterne in opus concretum caementicium impermeabilizzato con opus signinum appaiono in tutta la città; ma l'elemento più interessante è un acquedotto di età claudia che captava l'acqua da una fonte situata nei pressi dell'odierno villaggio di Saelices con una galleria di m 1,75 di altezza, alla cui origine è una grotta di 225 m di profondità cui si accede attraverso vari pozzi ben costruiti. Un canale di opus caementicium coperto da tegole, lungo c.a 7 km, e vari sifoni con fistule di piombo portavano l'acqua alla città.
Sono meno conosciuti altri dettagli della topografia di S., come l'organizzazione delle vie e delle abitazioni. L'acropoli dovette occupare la cima situata a SE, molto rovinata da una fortificazione altomedievale. Intorno all'eremo si trova un grande complesso termale a pianta assiale, con frigidarium, natatio, tepidarium, caldarium e due laconica. A NE del teatro era situato un altro complesso termale che documenta una scarsa espansione urbanistica fuori dalle mura. Sono interessanti i mausolei, le stele e i recinti funerari delle necropoli situate all'inizio delle vie. La necropoli meglio conosciuta, di epoca visigota, si è sviluppata intorno a una basilica del V sec., forse legata al culto dei martiri, con tre navate e cripta, contenente le sepolture di tre vescovi del VI secolo.
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