SEGNA di Bonaventura
SEGNA di Bonaventura. – Non si conoscono i luoghi e le date di nascita e di morte di questo pittore senese attivo tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento.
La prima notizia riguardante l’artista risale al dicembre del 1298, quando ricevette quindici soldi per aver decorato delle coperte dei libri del podestà di Siena (Bacci, 1944, p. 34, doc. I). Nel 1306 ottenne dei compensi per lavori eseguiti per la magistratura senese della Biccherna: una tavola e la coperta dipinta di alcuni registri (ibid., pp. 34-36, docc. II-III). Nel 1307 e nel 1309 eseguì degli «ischudicciuoli» sui libri del capitano e del podestà (ibid., p. 36, doc. IV; Cateni, in Duccio, 2003, p. 314). Ancora nel 1309, e così nel 1311, sono registrati nuovi pagamenti per la pittura di tavolette della Biccherna (Bacci, 1944, pp. 36 s., docc. V-VI). Nel 1316 realizzò una tavola per il Comune senese e, nello stesso anno, versò dei contributi (ibid., pp. 11, 37, doc. VII). Al 1317 risalgono le notizie riguardanti un dipinto eseguito per il convento agostiniano di Lecceto (Siena; Milanesi, 1873, p. 46; Bacci, 1944, pp. 11, 37-39, doc. VIII), per lo più riconosciuto nella Madonna del Museo diocesano di Siena (Bacci, 1944, pp. 37-39, doc. VIII; per un parere diverso: Fargnoli, 1990, p. 188). In quegli anni, come risulta dall’estimo catastale senese, il pittore era dimorante nel popolo di S. Pietro a Ovile (Bacci, 1944, p. 39, doc. IX; Maginnis, 1996, p. 365; Cateni, in Duccio, 2003, p. 314).
Nel luglio del 1319 Segna è ricordato ad Arezzo, dove comparve in qualità di testimone a un atto rogato nella badia delle Ss. Flora e Lucilla che lo dice residente in quella città (Salmi, 1912; Bacci, 1944, pp. 9 s., 40, doc. X). Fu durante questo soggiorno ch’egli dovette dipingere il grande Crocifisso ancora visibile nella badia (correttamente attribuitogli già da Cavalcaselle - Crowe, 1864, p. 57).
Nel novembre del 1319 «Segna Buonaventure» era di nuovo a Siena, impegnato in palazzo pubblico nel restauro di una Madonna posta «dinanzi al Concestoro de’ Nove», da taluni identificata con una perduta Maestà eseguita da Duccio di Buoninsegna nel 1302, e per tale lavoro ricevette ulteriori pagamenti nel 1321 (Milanesi, 1873, p. 46; Bacci, 1944, pp. 4, 11 s., 40 s., docc. XI-XIII). Impegnato ancora con la Biccherna nel maggio del 1322 (Bacci, 1944, p. 41, doc. XIV), nel 1326 «Segna di Tura Buonisegne, dipegnitore» risulta tra i membri dell’arte senese della Mercanzia (ibid., pp. 41 s., doc. XV). La morte lo colse negli anni subito seguenti: stando alle carte di archivio, era già deceduto nel 1331, quando il figlio, anch’egli pittore, Niccolò «olim Segne pictoris de Senis», affittò una bottega (Borghesi - Banchi, 1898, pp. 16 s., doc. 11; Bacci, 1944, pp. 42, 44-46).
Del maestro – ben noto agli eruditi senesi a partire dal XVI secolo, quando Sigismondo Tizio lo menzionò ritenendolo, invero sbagliando, maestro del grande Duccio di Buoninsegna (Bacci, 1944, pp. 3-7) – sono giunte ai nostri giorni quattro opere firmate. Si tratta degli scomparti, un tempo nella chiesa di S. Salvatore alla Badia Berardenga e oggi in Pinacoteca nazionale a Siena, con S. Paolo, la Vergine, S. Giovanni Evangelista e S. Romualdo (De Angelis, 1816, p. 16, n. 10), parti di un complesso che, al centro, doveva forse recare la rara immagine di un Cristo in pietà (Stubblebine, 1969); di una Madonna in trono tra i ss. Gregorio e Battista e i quattro donatori nella collegiata di S. Giuliano a Castiglion Fiorentino (Arezzo; Cavalcaselle - Crowe, 1864, pp. 56 s.); di un Crocifisso nel Museo Puškin di Mosca (Venturi, 1912, p. 124) e di un polittico diviso tra il Metropolitan Museum di New York (i quattro pannelli con la Madonna col Bambino e i Ss. Benedetto, Silvestro Gozzolini e Giovanni Evangelista: Wehle, 1924; Zeri, 1958) e il Museo del Tesoro della basilica di S. Francesco di Assisi (un S. Giovanni Battista: Zeri, 1988). Tra Sei e Ottocento diverse fonti ricordano, nella collegiata di Casole d’Elsa, un quinto dipinto con un’inconsueta iscrizione indicante la sua realizzazione nell’atelier del pittore («Haec in apotheja Segnae pictoris senen.»), ma più che ragionevoli sono i dubbi sia sull’identificazione di questa tavola con la frammentaria Madonna col Bambino oggi nel Museo civico della cittadina toscana, sia sull’autenticità dell’epigrafe (per un aggiornato resoconto: La Porta, 2010, pp. 276 s., n. 39).
È sulla base di questi ‘punti fermi’ che la critica ha potuto, nel tempo e non senza qualche clamorosa svista – su tutte l’attribuzione al nostro della Maestà della cattedrale di Massa Marittima, opera tra le più importanti dall’ormai anziano Duccio (Mason Perkins, 1904, p. 83 nota 7; De Nicola, 1912; sull’opera, ora: Bartalini, in Duccio, 2003, pp. 244-254 nota 36) –, incrementare il nucleo di dipinti riferibili a Segna, accantonando saggiamente i ripetuti tentativi di scomporne il catalogo e di assegnare a personalità artistiche autonome pitture per lo più prodotte nell’alveo della sua prolifica bottega: è il caso del ‘Maestro del polittico di S. Antonio a Montalcino’ di Cesare Brandi (1951, pp. 150-152), del ‘Maestro di S. Polo in Rosso’ di Enzo Carli (1955, pp. 51-58) o dei diversi artisti isolati da James Stubblebine (1979; Torriti, 1977, p. 72; Padovani, 1979, p. 34, n. 8; Boskovits, 1982, p. 497; Guiducci, 1983, pp. 34-37, n. 7). In assenza di opere datate, inoltre, non sempre concordi sono stati i pareri a proposito della precisa scansione cronologica del corpus del pittore, che ha ricevuto una rilettura critica in occasione della mostra duccesca di Siena del 2003 (Cateni, in Duccio, 2003, pp. 314-325, nn. 46-49).
Lungi dall’esser un pittore «povero e decadente», come invece lo definì Adolfo Venturi (1907, p. 589), Segna fu uno dei più fedeli seguaci di Duccio, al quale era legato anche da un rapporto familiare, essendo egli nipote del patriarca della pittura senese (Bacci, 1944, pp. 12-16). I suoi esordi sono ragionevolmente da individuare nella Madonna della Yale University Art Gallery di New Haven (inv. 1959.15.17) e nella Maestà di Castiglion Fiorentino, che recupera lo schema della perduta tavola di analogo soggetto eseguita da Duccio per palazzo pubblico nel 1302 e che conobbe grande fortuna presso i coevi pittori senesi (Bellosi, in Duccio, 2003, pp. 131, 136-138). Ancora nel corso del primo decennio del Trecento si collocano il Giudizio finale del Musée des beaux-arts di Angers (Laclotte, 1956, pp. 20 s., n. 29) e le eleganti Madonne del Museo d’arte di Asciano – anch’essa in relazione a un modello del grande artista, ossia il polittico n. 28 della Pinacoteca senese – e del Museum of fine arts di Minneapolis (Cateni, in Duccio, 2003, pp. 314-319, nn. 46-47). La sequenza procede, all’incirca tra il 1310 e il 1315, con la Madonna un tempo ad Ancaiano (Sovicille) e ora nel Museo civico di Colle di Val d’Elsa, e con le due croci – assai prossime tra loro e intrise di umori ducceschi – in Pinacoteca a Siena (provenienti rispettivamente dalla chiesa senese di S. Giusto e da S. Polo in Rosso; Cateni, in Duccio, 2003, pp. 314 s., 320-323, n. 48). Tra le più antiche prove del maestro è stata di recente presa in considerazione anche una bella Madonna in collezione Salini a Gallico (Asciano; Christiansen, 2015, pp. 28-31, n. 3).
Un più marcato accento gotico nella resa dei panneggi, un crescente allungamento delle figure e l’adozione di una tavolozza più brillante caratterizzano le testimonianze scalabili a partire dalla metà del secondo decennio, documentando l’interesse del pittore nei confronti delle nuove e raffinatissime soluzioni elaborate da Simone Martini. In questa congiuntura si possono leggere il polittico frammentario della Pinacoteca di Siena (inv. 40), le croci dipinte della National Gallery di Londra, del Museo della Collegiata di Chianciano, di Mosca e del Museo diocesano di Pienza, così come la Maddalena dell’Alte Pinakothek di Monaco e il Santo vescovo già a San Francisco e oggi Salini (Cateni, in Duccio, 2003, pp. 314 s.; Id., 2009, pp. 76-79, n. 6). Tale evoluzione stilistica conosce una fondamentale tappa nella croce aretina, riferibile al 1319, così come nelle Madonne rispettivamente nella chiesa senese dei Servi, anch’essa forse del 1319, e nel Museo diocesano della stessa città (Padovani, 1979b, p. 87 nota 8; Cateni, in Duccio, 2003, pp. 324 s., n. 49), indicative di una fase in cui sembrano aver visto la luce anche gli Apostoli affrescati nella cappella Agazzari in S. Martino a Siena (Bagnoli, in Duccio, 2003, p. 269) e la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Bartolomeo e Ansano e una donatrice da poco acquisita dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena (van Marle, 1924, p. 153; Guiducci, 2009, pp. 10-15). Ormai nel terzo decennio possono invece trovare posto opere come il polittico diviso tra New York e Assisi, la Madonna del North Carolina Museum of art di Raleigh (inv. GL.60.17.1) o il Battista del Sinebrychoff Art Museum di Helsinki (Cateni, in Duccio, 2003, p. 315), che sono documenti degli esiti estremi della carriera del maestro, la cui eredità artistica fu raccolta dai figli Niccolò e Francesco.
Fonti e Bibl.: L. De Angelis, Ragguaglio del nuovo Istituto delle belle arti..., Siena 1816, p. 16, nota 10; G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, A new history of painting in Italy, II, London 1864, pp. 56-59; G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana, Siena 1873, pp. 46, 100; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell’arte senese, Siena 1898, pp. 16 s., doc. 11; F. Mason Perkins, The forgotten masterpieces of Ambrogio Lorenzetti, in The Burlington magazine, 1904, vol. 5, pp. 81-84; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, V, La pittura del Trecento e le sue origini, Milano 1907, p. 589; C.H. Weigelt, Duccio di Buoninsegna, Leipzig 1911, pp. 262 s.; G. De Nicola, Una copia di Segna di Tura della Maestà di Duccio, in L’Arte, XV (1912), pp. 21-32; M. Salmi, Il Crocefisso di S. di B. ad Arezzo, ibid., pp. 33-35; A. 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