Vedi SEGESTA dell'anno: 1966 - 1997
SEGESTA (v. vol. VII, p. 151)
p. 151). Al margine occidentale del Parco Archeologico di S. si trova, con accentuata pendenza sul vallone della Fusa (lo Scamandro delle fonti antiche), la collina sulla cui sommità, un largo pianoro alla quota di m 310 s.l.m., sorge il peristilio dorico. A E della collina del tempio si leva il massiccio del Monte Barbaro sede della città antica o, per meglio dire, delle città antiche. Il breve fondovalle che separa queste due emergenze morfologiche è oggi compromesso e stravolto dalla creazione di un ampio piazzale di parcheggio e dalla realizzazione del posto di ristoro. Questi interventi, così come la strada carrabile per il teatro con il relativo piazzale, sono dovuti all'incomprensione e al disinteresse per la topografia generale di S. che, fin dai tempi dei viaggiatori del XVIII sec., è sempre stata emblematicamente identificata solo nei due solitari monumenti emergenti, il tempio e il teatro, con le conseguenti, e quasi esclusive, problematiche di custodia e di conservazione degli stessi.
Solo negli ultimi anni, a partire dal 1987, S. è stata oggetto di studi e di indagini archeologiche sistematiche coordinate dalla Sezione per i Beni Archeologici della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani. Gli scavi, iniziati nel 1989, sono stati preceduti da due anni di studi preparatori quali la restituzione aerofotogrammetrica a scala 1:500 sulla base di un volo effettuato nel 1988, le ricognizioni a terra e la lettura stereoscopica delle foto aeree. La fotointerpretazione ha restituito una visione inedita di S., già in parte verificata sul terreno sia attraverso le prospezioni sia attraverso gli scavi archeologici.
La ricchezza e l'abbondanza dei segni di questa nuova lettura, anche se in prima approssimazione limitata solo al massiccio del Monte Barbaro, ha guidato la ricerca archeologica e ha rivelato, in particolare: 1) l'articolazione dell'antico nucleo abitativo su due acropoli ben distinte separate da una sella a E e caratterizzate da un nucleo sommitale fortificato e da una notevole quantità di segni non collegabili in un unico sistema, il che è indice della pluristratificazione del sito; 2) l'intensa antropizzazione a uso abitativo della roccia del Monte Barbaro leggibile mediante tagli regolari, cisterne, terrazzamenti, particolarmente evidenti nella sella che separa le due acropoli a E (che scende fino a una quota di m 230); 3) l'articolazione del complesso sistema delle fortificazioni, in parte costruite e in parte realizzate mediante adattamenti della morfologia naturale a rinforzo e integrazione della difesa, e l'identificazione delle porte urbiche che, per lo più, sembrano essere del tipo a corte interna; 4) l'identificazione della viabilità interna che, in alcuni casi, costituisce il naturale processo evolutivo all'interno del centro abitato di arterie di collegamento extraurbane.
Tale è il caso dell'asse E-O, situato a E, al fondo della sella fra le due acropoli che attraversa, poi, la parte centrale del Monte Barbaro, proseguendo nell'antico sentiero pedonale per il teatro (sostituito in anni recenti da una strada carrabile) e che doveva continuare, all'esterno della città, quale linea di collegamento con l'area sudorientale, in generale, e con Selinunte in particolare; 5) il grande sistema dei terrazzamenti costruiti in età ellenistico-romana che in parte sfruttavano e integravano quelli di età arcaica ricavati nella roccia. Nel maggiore di essi, adibito nel passato ad area di parcheggio per la visita del teatro, si è identificata l'agorà della città ellenistico-romana.
Le ricerche condotte in questi ultimi anni hanno interessato la sommità dell'acropoli Ν e il suo versante NO; l'acropoli S, la cinta muraria inferiore e quella superiore. Sono stati effettuati saggi nella zona antistante e in quella retrostante alle Case Barbaro; si è intrapreso lo studio del teatro effettuando il suo rilievo scientifico e saggi archeologici di controllo.
L'insediamento preistorico e protostorico. - Attualmente sembra che i più antichi insediamenti abitativi del Monte Barbaro abbiano avuto sede sull'acropoli N. Per quanto riguarda la fase preistorica essa è attualmente documentata solo da tre frammenti neolitici provenienti dal c.d. scarico di Grotta Vanella.
Sono riferibili a età protostorica i numerosi reperti rinvenuti sia nel corso di ricognizioni sia nei recenti scavi condotti sull'acropoli N; tuttavia questi rinvenimenti non permettono ancora di ipotizzare un'occupazione strutturata dell'area in questo periodo. Sul primo insediamento, che dovette precedere la città arcaica, occorre molta prudenza, in quanto il materiale restituito dagli scavi recenti proviene o da strati di scarico e di livellamento delle successive fasi abitative o da piccole lenti di strati residuali non inseribili in contesti omogenei e coerenti, date le successive e continue occupazioni del sito.
L'abitato arcaico. - L'abitato indigeno arcaico, la cui frequentazione risale, in base ai dati finora conosciuti, almeno agli ultimi decenni del VI sec. a.C., è costituito da un consistente sistema di abitazioni i cui vani, per lo più di grandi dimensioni e di forma rettangolare, hanno in genere tre pareti costituite dalla roccia, l'altra costruita con la pietra cavata sul posto. Le case sono disposte su terrazzamenti artificiali raccordati fra loro mediante tortuosi sentieri scavati nella roccia, dalla sommità del Monte Barbaro fino alle sue pendici.
La viabilità della città arcaica è in parte riconoscibile in alcuni sentieri parzialmente scavati nella roccia che superano i forti dislivelli che caratterizzano il Monte Barbaro. Si sono riconosciute almeno quattro vie d'accesso alla città: 1) una sul versante NO; 2) una sul lato E, nella sella fra le due acropoli, conduceva alla Porta Orientale; 3) la terza via d'accesso alla città si snoda sul versante S del Monte Barbaro; dipartendosi dalla terrazza trapezoidale di Contrada Mango situata alle pendici SE del massiccio, giungeva sino alla Porta Mango; 4) infine, una quarta via è stata riconosciuta lungo le pendici S della collina del tempio; essa doveva collegare l'abitato con il vallone della Fusa, passando per il breve fondovalle.
L'abitato arcaico è oggi maggiormente visibile sull'acropoli S e nella sella fra le due acropoli, laddove fenomeni di dilavamento e di erosione hanno asportato la terra di accumulo, facendo in tal modo emergere numerosi tratti di roccia fortemente antropizzata. Nel corso di tutti gli scavi condotti, si sono rinvenuti, al livello della roccia, i tagli riferibili al più antico insediamento. Di quest'ultimo fanno parte anche le numerosissime cisterne che si trovano sul Monte Barbaro, molte delle quali furono riutilizzate nelle successive fasi insediative. Fra il 1989 e il 1990 sono stati esplorati alcuni ambienti pertinenti a due abitazioni situate in diverse aree del Monte Barbaro: una sul versante NO e un'altra su quello SO. I due complessi rupestri, pur se con diversi caratteri di monumentalità, presentano caratteristiche analoghe quali, p.es., la presenza di un pozzetto scavato nel pavimento di roccia, forse una sorta di silo per la conservazione delle derrate. Le strutture dell'abitato arcaico hanno parzialmente condizionato gli insediamenti successivi che le riutilizzarono in parte; ciò è stato documentato, in particolare, per la fase ellenistica e per quella medievale.
La città classica. - Sono ancora pochi i dati conosciuti sulla città di età classica; sembra certo che essa fu letteralmente rasa al suolo prima della grande ristrutturazione ellenistico-romana (dal 225 a.C. in poi).
Nell'area dell'abitato i frammenti ceramici riferibili alla fase classica non sono correlati a strutture, in quanto si ritrovano quasi ovunque in strati di scarico, livellamento, riempimento o dilavamento. Alla città classica sono riferibili i due grandi edifici templari del V sec. a.C.: il peristilio dorico - probabilmente opera di maestranze attiche le quali non portarono a compimento la costruzione, come ha dimostrato l'analitica opera del Mertens (1975) - e il c.d. santuario di Contrada Mango. Relativamente a questo, andrebbe ripresa l'interpretazione del monumentale muro di témenos determinata da un eccessivo approfondimento dello scavo effettuato negli anni '50. In tale ottica, il c.d. muro di témenos del santuario di Contrada Mango, altro non sarebbe che un grande muro di terrazzamento per un terrapieno sul quale doveva sorgere l'edificio sacro. Andrebbe, anche, sottoposta a verifica l'ipotesi che il peristilio dorico sia da considerarsi extra moenia, in quanto la presenza di una cinta muraria sul versante NE della collina del tempio sarebbe denunciata oltre che da consistenti indizi presenti nelle foto aeree, anche dal tratto di muro rinvenuto nell'area pianeggiante antistante alla porta di Case Barbaro che è orientato proprio verso la collina del tempio.
La città classica, di dimensioni più piccole di quella arcaica, era chiusa entro il perimetro della vasta cinta muraria esterna inferiore il cui impianto originario, stando ai dati sino a ora in nostro possesso, limitati allo scavo della Porta di Valle, dovrebbe risalire alla prima metà del V sec. a.C. Il sistema difensivo è costituito da una cortina muraria che, attestandosi sullo sperone roccioso situato al di sotto del teatro, difendeva sia i naturali accessi di fondovalle, sulle pendici nord-occidentali, sia il piccolo pianoro al vertice SO del massiccio.
Si sono identificate undici torri di forma quadrata e tre porte urbiche. Situata a SE del pianoro, si trova la Porta di Case Barbaro che, stando alla lettura della foto aerea, sembrerebbe del tipo a corte interna. Essa fu ulteriormente munita, in un momento successivo, di una linea difensiva esterna ancora non ben chiarita, ma della quale fanno certamente parte uno spigolo di muro rinvenuto nel 1987 durante la ristrutturazione dell'estremità occidentale delle Case Barbaro e un'altra struttura messa in luce nel corso di alcuni saggi effettuati nel 1993. Quest'ultima, databile alla seconda metà del IV sec. a.C. in base ai frammenti ceramici rinvenuti nell'èmplekton, è orientata verso la collina del tempio. La Porta di Valle, scavata fra il 1990 e il 1993, è situata al fondo di un canalone e doveva costituire uno dei punti più tormentati della difesa segestana. Infatti, la particolarità del luogo, pianeggiante e aperto, unica lungo tutto l'arco della cinta muraria, rendeva questa zona difendibile solo con particolari accorgimenti. Lo scavo della Porta di Valle ha documentato che in questo tratto le mura di prima fase vennero impiantate sui resti di un insediamento povero caratterizzato da costruzioni lignee; un contesto che ha reso materiali databili alla fine del VI sec. a.C. Nel corso di circa due secoli (in particolare fra la fine del IV e la seconda metà del III sec. a.C.), il complesso subì radicali e continue trasformazioni che determinarono, fra l'altro, l'aggiunta di due torri ai lati dell'accesso (che era già protetto da altre due torri situate sulle alture fiancheggiami il fondovalle), la chiusura della porta e l'avanzamento della linea di difesa, mediante la realizzazione di alcuni vani sul fronte esterno delle mura. Nella seconda metà del III sec. a.C., quando la Porta di Valle era ormai parzialmente interrata, venne arretrato il sistema difensivo, mediante la costruzione della c.d. cinta di mezzo, rinvenuta nel 1993.
Le conclusioni dello scavo di Porta di Valle hanno evidenziato che le continue trasformazioni del sistema difensivo messo in luce sembrano essere in sintonia con gli eventi storici che caratterizzarono la vita di Segesta. Nel corso della prima metà del V sec. a.C. la cortina muraria venne costruita con una tecnica e con un materiale che non si ritrovano in nessun altro tratto della cinta muraria. L'accesso, difeso da una torre interna, è costituito da una semplice apertura di ampie dimensioni (m 6,60), forse suddivisa in due da un elemento centrale. Alla fine del V sec. a.C., in coincidenza con il conflitto con Selinunte e con la seconda spedizione ateniese in Sicilia (416-415 a.C.) vengono effettuate ulteriori modifiche, quali la chiusura parziale della luce della porta e l'aggiunta di torri sulla fronte, di cui, quella occidentale, venne in parte realizzata con elementi di riuso asportati da un grande edificio monumentale che si doveva trovare nelle vicinanze e databile, in base all'esame del materiale e della tecnica, alla prima metà del V sec. a.C.
Lo scavo di Porta di Valle conferma quello iato più volte notato da un punto di vista archeologico per quanto concerne i primi settantacinque anni del IV sec. a.C. Sono certamente rapportabili alle lotte che culminarono con l'assedio di Agatocle le grandi trasformazioni della Porta di Valle che venne completamente chiusa e trasformata quasi in un castello di difesa. Nello stesso periodo si può inquadrare anche la linea di difesa esterna che rafforzò la Porta di Case Barbaro.
Si può riferire, forse, agli anni successivi alla venuta di Pirro e alle lotte con Amilcare (270-260) la nuova sistemazione di tutto il complesso difensivo, con l'arretramento della linea di difesa e la costruzione della «Cinta di mezzo».
Al vertice SE delle pendici di Monte Barbaro si trova, alla quota di m 320, un piccolo pianoro (c.a m 100 X 50) nel quale sono stati trovati alcuni elementi della cinta muraria inferiore articolata, in questo punto, in modo da costituire una sorta di bastione difeso da tre torri. Da segnalare una torre d'angolo di notevoli dimensioni (m 10,00 X 10,00 c.a). L'accesso di Porta Stazzo, fiancheggiato a destra da una torre quadrata (di m 6,00 X 6,00 c.a), doveva costituire l'unico accesso carrabile alla città.
La cronologia della cinta muraria superiore, di cui sono state identificate 13 torri quadrate o lievemente trapezoidali e due porte urbiche, Porta Teatro e Porta Bastione, si presenta a tutt'oggi problematica. Allo stato delle ricerche si può solo affermare che, almeno nel suo tratto occidentale, la cinta muraria superiore venne costruita dopo il I sec. a.C., in quanto si sovrappose a un livello abitativo databile fra il II e il I sec. a.C. Ciò è stato documentato prima da un saggio effettuato nel 1990, e successivamente confermato nel 1993, nel corso dei lavori di sistemazione della torre 8 il cui èmplekton è costituito da una casa tardo-ellenistica distrutta. Va evidenziato, inoltre, che la cinta muraria superiore venne realizzata con moltissimi elementi architettonici di riuso che, a un primo esame, sembrano provenire da edifici (per lo più case residenziali) tardo-ellenistici. A differenza della cinta esterna, quella interna si sviluppa senza soluzione di continuità lungo tutto il suo percorso. Gli unici accessi si trovano, infatti, alle due estremità della stessa nei punti di innesto con la preesistente muraglia. Nella parte settentrionale l'opera fu realizzata in modo da formare un ampio sistema a tenaglia, a difesa di quella che convenzionalmente è stata chiamata Porta Teatro, situata al margine orientale della stessa cinta. Per quanto riguarda questo accesso settentrionale, la fotointerpretazione ha messo in luce un complesso sistema protettivo a corte interna con itinerario controllato entro ambiti successivi, in corrispondenza dell'allaccio della cinta superiore a quella esterna preesistente e più antica, con opere costruite e integrate dalla cinta muraria esterna successiva.
Nella parte meridionale la connessione delle due cinte avviene al riparo del bastione superiore il quale a sua volta è sovrastato da due terrazze probabilmente fortificate a difesa dell'acropoli S. Anche la porta meridionale superiore, denominata Porta Bastione (quota 360 m) era protetta da due torri, delle quali quella verso O è la meglio conservata. Tra le due torri passa la strada carrabile per il teatro. La porta si trova sulla stessa direttrice di Porta Stazzo e lungo quell'asse E-O che si ritiene essere sempre stato in uso durante le diverse fasi della storia urbana di Segesta.
La cinta muraria superiore venne riutilizzata, non sappiamo bene con quali funzioni, in periodo medievale. Un saggio stratigrafico condotto nel 1990 all'interno di un grande ambiente rettangolare ha consentito di verificare che per la realizzazione di uno dei due lati lunghi perimetrali di quest'ultimo, databile in età medievale, era stato utilizzato un tratto della cinta muraria superiore.
La città ellenistico-romana (225 a.C.-50 d.C.). - La ricerca archeologica di questi ultimi anni ha confermato quanto testimoniato dalle fonti storiche. Dopo la conquista romana S. visse sul Monte Barbaro un periodo di nuovo splendore e non c'è alcuna testimonianza archeologica che possa finora suffragare l'ipotesi di un suo trasferimento, anche parziale, in un altro sito.
Lo scavo, le prospezioni e gli studi non hanno confermato l'ipotesi avanzata dallo Schmiedt di una città dall'impianto ippodameo. Al contrario, emerge sempre di più l'immagine di una città dall'aspetto fortemente scenografico, articolata su grandi terrazze che dalla lettura della foto aerea sembrano avere un andamento lievemente concentrico, in quanto seguono le curve di livello del Monte Barbaro. Tale immagine è stata peraltro confermata e documentata nel corso di una campagna di prospezioni, che ha rivelato anche la presenza di una grande terrazza nell'area a Ν del teatro.
Certamente la matrice della città ellenistica fu parzialmente costituita dai terrazzamenti artificiali già realizzati per l'insediamento arcaico. Le strade della città ellenistica dovevano in parte seguire le linee che venivano naturalmente segnate dalla base delle terrazze. In tal modo venne realizzata una viabilità dall'andamento tortuoso che si attestava su alcuni assi principali, uno dei quali dovette essere, fin dall'età arcaica il più volte citato asse principale E-O.
Mentre l'acropoli S sembra essere stata occupata quasi esclusivamente dall'edilizia privata a carattere residenziale, sull'acropoli n trovarono sede i grandi edifici pubblici quali, in particolare, il teatro e l'agorà, il bouleutèrion e forse anche il ginnasio, tutti gravemente compromessi dal successivo insediamento di età medievale.
In questo contesto trova collocazione anche il teatro di cui è stato tra l'altro scoperto un altro settore di summa cavea documentato dal rinvenimento delle fondazioni del muro di anàlemma.
Tra la sella fra le due acropoli e l'acropoli N, si trova un sistema di vasti terrazzi regolari, di forma rettangolare degradanti tra l'acropoli e la sella stessa, all'interno dei quali i dislivelli verso E e verso O sono graduati attraverso ulteriori terrazzamenti regolari minori.
Nell'area che negli ultimi decenni è stata occupata come piazzale di parcheggio per la visita al teatro è stata ipotizzata, tramite la lettura della foto aerea, la sede dell'agorà di Segesta. I ritrovamenti effettuati nel corso dei recenti scavi hanno confermato l'ipotesi, evidenziando l'esistenza di porticati su tre lati dell'area e di una pavimentazione costituita da lastre di pietra. Il lato E dell'agorà era sostenuto da alti muri di terrazzamento i cui resti sono tutt'oggi visibili dalla sella che divide le due acropoli. Nel suo insieme la sistemazione dell'agorà, con tre lati in piano e il quarto sostenuto da un poderoso terrazzamento sopra uno strapiombo, è simile a quella di molte agorài microasiatiche.
Su una terrazza che domina l'area dell'agorà avevano sede i grandi edifici pubblici, dei quali si è identificato il bouleutèrion. La terrazza a E dell'agorà, situata a una quota inferiore rispetto a quest'ultima, è delimitata da quattro strutture in parte ben leggibili allo stereoscopio, in parte ipotizzabili in base alla morfologia del sito.
Il versante N e quello O dell'acropoli Ν vennero occupati da case private, così come all'edilizia privata venne destinata anche l'acropoli S. Oltre ai resti di case tardoellenistiche, rinvenute al di sotto della cinta muraria superiore, si sono parzialmente esplorate due abitazioni, riccamente decorate da intonaci parietali dipinti e da pavimenti a mosaico e in opus sectile. In entrambe le abitazioni, situate in punti opposti del Monte Barbaro, l'una sull'acropoli S (Casa del Navarca) e l'altra sul versante dell'acropoli N, vennero riutilizzati e ristrutturati gli ambienti in parte scavati nella roccia dell'insediamento arcaico. La fase monumentale della Casa del Navarca, databile tra la fine del II e gli inizî del I sec. a.C., è preceduta da una fase databile tra la seconda metà del III e la prima metà del II sec. a.C., il che documenta un'occupazione residenziale dell'acropoli S subito dopo la conquista romana. Proprio a seguito di tale evento storico, si ritiene che S. venne globalmente ripianificata e ricostruita sui modelli delle grandi città microasiatiche, dall'aspetto fortemente scenografico, articolate con grandi terrazzamenti su alture abbastanza impervie, del tutto analoghe al Monte Barbaro.
La città romano-imperiale. - Comincia a prendere una certa consistenza anche la fase romano-imperiale documentata, in primo luogo, da materiali epigrafici di notevole interesse rinvenuti nell'area dell'agorà; questi sembrerebbero prefigurare, con le loro dediche di carattere ufficiale, la continuità dell'uso forense del sito, almeno nella prima età imperiale. Pare, tuttavia, che dopo la prima metà del I sec. d.C. inizî per S. un lento ma irreversibile declino, testimoniato dalle fasi di distruzione e di abbandono delle ricche case ellenistiche e da una progressiva e graduale rarefazione dei materiali archeologici.
A cominciare dall'età adrianea sino a tutto il periodo tardoantico alcuni indizi testimonierebbero una frequentazione sporadica del Monte Barbaro esclusivamente per scopi agricoli. Ciò è documentato sia dal rinvenimento di un frantoio che si addossò, in parte sfruttandola, alla struttura della Porta di Valle (che sarebbe da collocare proprio in età adrianea), sia da alcune sepolture sparse, databili fra il IV e il V sec. d.C. Si tratta di sepolture a inumazione entro fosse rivestite e coperte da lastroni di pietra, per lo più di riuso. Se ne sono rinvenute tre alle spalle delle Case Barbaro; una all'interno della torre di Porta Stazzo e un piccolo gruppo sull'acropoli S, pochi centimetri al di sotto dell'attuale piano di campagna, che ha intaccato in alcuni punti le strutture relative alla Casa del Navarca. Va segnalata un'interessante iscrizione funeraria cristiana, reimpiegata in un muro medievale e datata al 524 d.C. (Nenci, 1991).
L'antica città di S. conobbe un progressivo declino durante tutta l'epoca imperiale fino a essere abbandonata definitivamente nel corso del VI sec. d.C., senza subire, sembra, eventi traumatici. Per tutto l'Alto Medioevo (VIII-XI sec.) il sito dovette rimanere abbandonato o comunque venne frequentato solo sporadicamente. Gli scavi intrapresi a partire dal 1989 hanno rivelato un'altra importante fase di occupazione di S., quella medievale. Le fonti scritte dell'epoca tacciono quasi del tutto sulla località e ci hanno restituito soltanto il suo probabile toponimo: Calatabarbaro (il Castello del Berbero).
Le cave del Monte Barbaro. - A seguito di una limitata indagine archeologica che ha interessato l'area a S delle Case Barbaro si sono identificate le cave di età classica ed ellenistica. Tutti i siti di cava sembrano addensarsi sul versante N-NO del Monte Barbaro; ma altre piccole zone di cava abbandonate sono visibili anche sulla sommità dell'acropoli N, come, p.es., in corrispondenza dell'accesso meridionale del castello medievale.
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Storia della ricerca, parco e museo archeologico, ricognizioni topografiche (19871988) e relazione preliminare della campagna di scavo 1989, in AnnPisa, XXI, 1991, pp. 765-994.