SEGESTA (Αἴγεστα; Segesta)
Antica città della Sicilia occidentale e precisamente della regione abitata dagli Elimi ai quali essa dovette la sua origine. I Greci, a eccezione di Tolomeo, la chiamarono Egesta; i Romani, invece, Segesta, con un nome più corrispondente a quello elimo che troviamo sulle monete della città e che avrebbe il suo riscontro in un toponimo della Liguria, fatto che dimostrerebbe l'affinità etnica tra i due popoli. La posizione di Segesta era interna, ma non molto lontana dal mare, e infatti nei pressi dell'odierna Castellammare essa ebbe il suo emporium sul Tirreno. La storia della città è una serie di lotte coi popoli finitimi, specialmente coi Selinuntini, lotte dalle quali derivarono avvenimenti di grande importanza per la Sicilia. Le prime notizie tramandateci si riferiscono a una guerra con una popolazione vicina, che però non sembra siano stati i Lilibetani, di cui parla Diodoro, ma piuttosto, forse, quelli di Alicia, come appare da un trattato del 454-53 (Inscr. Gr., 2ª ed., I, 19 e 20) concluso con Atene intromessasi nelle faccende dell'Isola (ma del testo di Diodoro e di queste iscrizioni è stata proposta anche un'interpretazione molto diversa). Per i Sicelioti Segesta parteggiò probabilmente ai tempi della ribellione di Ducezio, ma nel 433 essa è di nuovo alleata con Atene e con Leontini contro Siracusa. E infatti nella campagna del 416 parteggiò per gli invasori nonostante li avesse delusi con l'esiguità dei suoi aiuti militari e finanziarî. La sconfitta ateniese e le lotte con Selinunte le fecero perdere parte del suo territorio e la spinsero verso quella politica favorevole ai Cartaginesi nella quale essa perseverò sino al 397, cioè sino all'epoca della vittoriosa avanzata di Dionisio nella Sicilia occidentale (Diod., XIV, 48 segg.), e poi sino alle guerre di Agatocle. Fu per breve tempo alleata di quest'ultimo, ma il rifiuto opposto dai suoi cittadini abbienti alle pretese di Agatocle condusse alla distruzione della città che fu chiamata Diceopoli, a ricordare la giustizia fatta dal tiranno e la sua vendetta. L'aver favorito Pirro le procurò una rovinosa guerra con Cartagine che, vincitrice, allora forse la privò di un celebre simulacro di Artemide. Quando i Romani invasero la Sicilia i Segestani furono dei primi a schierarsi per essi sotto il pretesto della loro antica parentela, alludendo cioè al mito che, derivato probabilmente dall'esistenza del vicino santuario di Venere Ericina, diceva la città fondata da Enea fuggitivo da Troia. Segesta divenne così il sostegno di Roma nella Sicilia occidentale e il centro delle lotte che vi si svolsero nel 260, quando la sconfitta di C. Cecilio cagionò l'invio della flotta del console Duilio. La pronta dedizione di Segesta, la sua fedeltà ai vincitori, le leggende intorno alla sua fondazione le procurarono dai Romani importanti favori, come la libertà, la immunitas e la concessione di vasti territorî alla cui estensione fu forse dovuta la guerra degli schiavi: di qui, infatti, Atenione iniziò le sue campagne. Da Verre Segesta ebbe a subire angherie e soprattutto il ratto del celebre simulacro di Diana. Durante l'epoca imperiale Tiberio dimostrò la sua simpatia ai Segestani accogliendo le loro preghiere e facendo ricostruire il tempio di Venere Ericina vetustate conlapsum.
Topografia. - Le rovine della città affiorano sul pendio del monte Vàrvaro (a NO. di Calatafimi) e nella vallata tra le due vette di esso, alte rispettivamente m. 415 e 400. Sulla collina a ovest dello stesso monte, alta m. 304, è ancora in piedi un tempio dorico. Un altro edifizio monumentale, che per la sua solida struttura sfida anch'esso i secoli, benché spogliato di molti materiali, è il teatro esistente sul declivio NE. del monte Varvaro. Il torrente Pìspisa scorre per lungo circuito nei valloni che stanno a ovest e a sud della collina e del monte, e va a scaricarsi nel fiume Gaggera: non si può precisare se esso sia lo Scamandro o il Simoeis o un altro dei sei fiumi menzionati dagli antichi in questa parte della Sicilia. L'Αἰγεσταίων ἐμπόριον, a cui si riferiscono Strabone, Frontino e Tolomeo, si apriva sulla costa dov'è oggi Castellammare.
La topografia di Segesta è conosciuta solo nei punti essenziali e in maniera molto sommaria. Si ignora dove fosse la necropoli; un gruppo di tombe dei secoli III-II a. C. venne scoperto alle falde della collina dove sta il tempio. Tracce di giacimenti preistorici, riferibili a un abitato, si scoprirono in diversi punti. Solo nel 1927 si iniziarono scavi regolari fra le rovine di Segesta: si esplorarono le costruzioni della scena del teatro e fu ribadito quanto già si sapeva circa l'età ellenistica del monumento e le modificazioni da esso subite nell'età romana. Si rinvennero le fondazioni del muro anteriore del proskenion, che si estende dall'uno all'altro estremo dei due paraskenia preesistenti, e si poterono calcolare con una certa approssimazione le misure di esso. Quasi tutto il κοῖλον di questo teatro è costruito in pietra locale; solo una parte è addossata alla roccia. Il suo orientamento è a nord-est, cioè dalla parte dove le vallate aprivano alla vista degli spettatori il mare in lontananza. Il tempio ha l'asse disposto da oriente a occidente; è di ordine dorico con sei colonne su ciascuna fronte e quattordici sui lati lunghi; le misure del piano dello stilobate sono: m. 61,15 × 26,25. Esso non fu condotto a termine, perché manca della cella e degli alveoli della travatura del tetto, senza dei quali la copertura non poteva essere costruita. Manca inoltre delle scanalature alle colonne e conserva ancora sui lastroni dei gradini della krepis, nelle facce esterne, le bugne che servirono per il maneggio e la messa in opera di essi, e che al termine della costruzione avrebbero dovuto essere scalpellate. Nel suo insieme il tempio ha i caratteri del dorico recente (seconda metà del sec. V); la costruzione non fu compiuta a causa delle difficili condizioni finanziarie e politiche della città, che la indussero a provocare l'intervento di Atene negli affari della Sicilia.
Circa 3½ km. a NE. del monte Varvaro sgorgano ancor oggi quelle acque termali già menzionate dagli antichi scrittori.
Bibl.: Per la storia: A. Holm, St. d. Sicilia, trad. it., Torino 1896-1906, passim, E. Fremann, History of Sicily, Oxford 1891 segg., passim; E: Pais, St. della Sicilia e d. Magna Grecia, I, Torino 1894, p. 123; G. De Sanctis, St. dei Romani, I, Torino 1907, pp. 198, 202; II, ivi, pp. 183, 409, 183.
Per la topografia della città: D. Serradifalco, Antichità della Sicilia, I, Palermo 1835, p. 109 segg., tav. II-XVI; J. J. Hittorff e L. Zanth, Architecture antique de la Sicile. Recueil des monuments de Segeste et Sélinonte, Parigi 1870, tavola X; Fr. Di Giovanni, Sui lavori intrapresi e sulle scoperte fatte negli antichi monumenti di Sicilia, Palermo 1865, p. 29. Per il tempio: oltre al Serradifalco, vedi R. Koldewey-O. Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien, Berlino 1899, p. 132, tav. 19; G. Perrot-Ch. Chipiez, Histoire de l'art, VII, Parigi 1899, pagina 601 passim.
Per il teatro: oltre al Serradifalco, v. O. Puchstein, Die griechische Bühne, Berlino 1901, p. 110 seg.; M. Bieber, Denkmäler zum Theaterwesen, Berlino 1920, pp. 50 seg., 181, tavola XXII; H. Bulle, Untersuchungen an griech. Theatern, Monaco 1928, p. 110 segg., tav. 19-32. Per gli scavi recenti: P. Marconi, in Not. scavi, 1929, p. 295 segg. Per le tombe: in Not. scavi, 1931, p. 39 segg.