LANCELLOTTI, Secondo
Nacque a Perugia il 19 marzo 1583 da Ortensio e Camilla Sebastiani, secondo di quattro fratelli, e fu battezzato con il nome di Vincenzo. La precoce vocazione religiosa lo condusse, anche seguendo gli stimoli dello zio letterato Filippo Alberti, a vestire fanciullo l'abito degli olivetani, il 18 maggio 1594, con il nome di Secondo. Lo seguì poco dopo il fratello maggiore Alessandro, che prese il nome di Agostino. Il L. svolse gli studi letterari nel monastero di Monte Morcino a Perugia sotto la guida di Marcantonio Bonciari; dopo la professione religiosa (aprile 1599) proseguì la formazione teologica grazie all'aiuto economico di don Lorenzo Salvi, abate di Monte Morcino dal 1596.
La pratica, dal L. avviata in quegli anni, di ricavare da opere di teologia e filosofia elenchi di materie predicabili, e anche il compendio di quaestiones dalla Summa di s. Tommaso, rappresentano i primi segni di uno studio caparbio e ininterrotto, del tempo speso "sempre leggendo, scrivendo, notando e studiando qualche cosa" (Vita, ed. 1971, p. 58) quale risposta e antidoto alle fatiche e alle amarezze dell'esistenza monastica.
Nel 1605 il L. passò all'abbazia di Monte Oliveto Maggiore, dove ebbe occasione di incontrare il cardinale Federico Borromeo, ottenendone l'apprezzamento. L'anno successivo fu mandato presso il monastero benedettino di Siena a studiare teologia con padre V. Venturi; quindi, nel capitolo del 1608 (nel quale il Salvi fu eletto vicario generale dell'Ordine), fu destinato a S. Benedetto Novello a Padova, dove trascorse i tre anni successivi alternando gli studi alla predicazione (nel Bresciano e nel Ferrarese). Nel 1611, con l'elezione del Salvi ad abate generale il L. fu scelto come suo cancelliere. Il rapporto con il Salvi però, fino ad allora fonte di appoggi e di benefici, si deteriorò rapidamente per le rivalità che all'interno dell'Ordine opponevano il Salvi stesso e il precedente generale, A.M. Alchigio.
Nella Vita (pp. 66-69) si narra distesamente anche di un futile episodio (una controversia tra il L. e un servitore su chi dovesse portare alcune bisacce), né va dimenticato il passaggio (ibid., pp. 79-81; cfr. anche Istoria olivetana dei suoi tempi, pp. 60 s.) in cui, descrivendo il Salvi come "per natura severissimo e crudelissimo", il L. riferisce la voce insistente che lo voleva figlio naturale del Salvi stesso; al riguardo, merita menzione anche un appunto autografo del L. conservato a Roma, Biblioteca nazionale, S. Francesca Romana, 6, c. 290r: "Materia per fabricar la vita del p. d. Lorenzo [Salvi] abb. Perugia, la quale sono più di 30 anni, che penso di scrivere, ma parte per non giustificare l'ingiustitia di lui meco usata, parte per altre occupazioni, e travagli senza fine ho differito".
Effetto del contrasto fu che nel settembre 1612 il L. fu deposto dalla carica di cancelliere e trasferito nel monastero di S. Bernardo ad Arezzo: in quei giorni dominati dal sentimento, che non avrebbe più abbandonato il L., di un'ingiustizia patita, egli non solo scrisse una serie di missive in sua discolpa (autodifesa poi approdata allo scritto Tanta caussa mali mantica sola fuit, Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, Mss., C.28, cc. 82r-115v), ma progettò la stesura della vita di padre Girolamo da Corsica e prese a studiare e schedare Tacito e Curzio Rufo, a testimonianza di una valenza eminentemente risarcitoria della sua erudizione (Vita, p. 92).
L'anno successivo, per interessamento di don Cipriano Pavoni, fu trasferito a Rimini, nel monastero di S. Maria Nuova Annunziata di Scola, dove accanto alle letture dei Padri della Chiesa diede avvio al progetto di una storia dell'Ordine olivetano; un primo saggio dell'opera fu presentato dal Pavoni al capitolo dell'Ordine e ottenne l'approvazione, con la conseguente possibilità per il L. di visitare i diversi monasteri per reperire le notizie necessarie (un singolare registro di questi viaggi nel triennio 1615-17 in Roma, Biblioteca nazionale, Mss., S. Onofrio, 64). La nutrita schiera degli avversari, legati al Salvi, procurò di ostacolare il lavoro con una campagna che il L., nella Vita, presenta come intensamente diffamatoria: egli rispose con un'Apologia a favore della sua Istoria, oggi perduta, che circolò manoscritta e fu inviata, tra gli altri, al nuovo generale dell'Ordine C. Cattanei (Vita, p. 99). Interrotto per qualche mese su indicazione dello stesso Cattanei, il lavoro fu ripreso nell'autunno 1615 e condusse il L. in monasteri lungo tutta la penisola, da Fabriano a Palermo (ibid., pp. 102 ss.). La nomina di Ippolito Borghesi a generale sembrò garantire supporto e sicurezza: il L. lo raggiunse a Roma per ottenere ragguagli per la sua Istoria (nel frattempo progettava anche una biografia di s. Francesca Romana); quindi ottenne, nel 1618, la carica di teologo del duomo di Arezzo.
Nel periodo aretino intraprese la stesura di uno zibaldone di citazioni (si legge in una sezione del ms. conservato a Roma, Biblioteca nazionale, S. Francesca Romana, 6); all'ordine rapsodico della raccolta, che rispecchia la sequenza delle letture del L. (da Plinio a Velleio Patercolo, dagli Adagia di Erasmo a P. Bembo e J. Bodin), si contrappone un indice tematico conclusivo che rinvia ai singoli paragrafi, appositamente numerati. La raccolta rappresenta una sorta di antefatto alla più ampia (e diversamente organizzata) Acus nautica.
Improvviso giunse un nuovo rovescio: la Vita tace di circostanze specifiche, ma certo è che il L. fu retrocesso all'umiliante condizione di maestro dei novizi a Rimini, proprio quando generale degli olivetani diveniva Vittorio Testa Piccolomini, tra gli oppositori più agguerriti della sua Istoria. Costretto allo sgradito soggiorno a Rimini, il L. si impegnò in alcuni progetti e nella composizione di due opere: i Commentarii ad litteram, commento "sopra tutta la parte istoriale della Scrittura" (Vita, p. 116) e soprattutto il trattato Della politica, ovvero Ragione di stato de' religiosi (poi variato in Prospettiva de' religiosi).
Rimasto inedito (Perugia, Biblioteca Augusta, Mss., C.58, cc. 290r-337r, con data 1618), il Della politica presenta una struttura in due libri, rispettivamente di 47 e 48 capitoli, il cui contenuto consiste in poco più che gli appunti per la futura stesura, appunti che rimandano con segni alfanumerici agli zibaldoni di cui intanto si andava affollando lo scrittoio del Lancellotti.
Nel 1620 riuscì a ottenere la sede del monastero di S. Bartolomeo in Strada a Pavia, dove prese contatti con la locale Accademia degli Affidati. Affiliato nel febbraio 1621, vi recitò il discorso inaugurale dell'Hoggidì, ricevendo positivi riscontri. In quel periodo, sfruttando l'appoggio di don Cipriano Pinto ("vicario generale suo amico", Vita, p. 124), decise di proporre l'Istoria per le stampe: a tale fine copiò in proprio il lavoro (il manoscritto è conservato nell'Archivio di Monte Oliveto Maggiore; una registrazione delle somme ricevute per la stampa in Roma, Biblioteca nazionale, Mss., S. Onofrio, 64, c. 14; alla c. 22r l'approvazione di don Protasio Natali, generale dell'Ordine). Nel 1621 il L. conseguì la nomina ad abate; fece quindi ritorno nel monastero di Monte Morcino e prese a lavorare con l'aiuto del fratello Ottavio alla traduzione in latino dell'Istoria, secondo quanto suggeritogli dai superiori, e al contempo al completamento dell'Hoggidì, mentre prendeva corpo il grande disegno dell'Acus nautica.
Avviata nel 1622, l'"Acvs navtica sive expeditissima ad quamcunque de re qualibet orationem datis e tanta copia scriptoribus via" (come recita un abbozzo di frontespizio, ibid., 3, c. 3r) è una sterminata raccolta enciclopedica (ibid., 3-24). Pensata come un sussidio per esposizioni e composizioni su qualunque argomento, l'opera fu stesa in latino e consisteva in un elenco di voci organizzato alfabeticamente (con ciascuna voce suddivisa in paragrafi numerati), seguendo ancora l'ordine delle letture del L., dove dominavano gli autori antichi, ma risultava anche una considerevole apertura ai moderni. In alcuni casi (come per Evangelia) i paragrafi equivalevano a bibliografie assai ampie di edizioni e commenti. Rimandi incrociati (acicula, nella pratica del L.) collegavano tra loro le voci e al termine di ciascuno dei ventidue volumi il L. approntò lunghi lemmari. Numerosi sono i segnali, a partire dalle avvertenze riservate ai lettori eventuali (nelle prime carte del ms. S. Onofrio, 4), di una elaborazione giunta assai prossima al termine.
Conclusa la composizione delle Historiae Olivetanae e dell'Hoggidì overo Il mondo non peggiore ne più calamitoso del passato, il L. ottenne di passare al monastero di S. Elena a Venezia per seguire da presso le stampe, che apparvero nel 1623 per la stamperia Guerigli (l'Hoggidì ebbe ristampe nel 1627, 1630, 1637). I lavori di edizione sono narrati (Vita, pp. 136-139) come faticosi, quasi in una lotta contro il tempo, in vista dell'ennesimo capovolgimento di equilibri entro l'Ordine; al termine, tuttavia, il L. riuscì a presentare l'Hoggidì a Urbano VIII, cui l'aveva indirizzato (con lettera dedicatoria da Venezia del 24 ott. 1623), in occasione di un soggiorno romano che gli consentì di entrare in contatto anche con l'Accademia degli Umoristi (vi sarebbe stato ammesso nel 1629).
Originata nel periodo riminese e poi maturata a Pavia, nel contatto con il consesso degli Affidati, l'Hoggidì fu l'opera che diede fama al L., capace di intravedere nell'orgogliosa opposizione ai fustigatori del "secolo corrotto" una posizione fertile di successo. La stratificata erudizione del L., vivificata talora da una lucida visione pessimistica, sempre raccordata, tuttavia, alla fede nel disegno provvidenziale, alimenta la sequenza di cinquanta "disinganni" intesi a svelare convenzionalità e falsità delle apologie dei tempi andati, e nel contempo intesi a illuminare il presente non più corrotto, vacuo, malvagio dei secoli precedenti, fino alle peregrine discussioni IV, "Che le donne hoggidì non superano di vanità le passate", e XXVIII "Che gli huomini hoggidì non son di statura più piccola di quello che mai fossero". Nell'Autore a chi legge, poi, il L. annuncia già il paragone degli ingegni antichi e moderni, che era nel decimo libro dei Pensieri tassoniani e di cui il L. avrebbe dato la sua versione nella seconda parte dell'Hoggidì, del 1636.
Le Historiae Olivetanae, bipartite tra una prima sezione di impostazione annalistica e una seconda dedicata alle vicende dei singoli monasteri, malgrado il prudente arresto della ricostruzione al 1590, provocarono la reazione degli avversari, le cui aspre critiche determinarono nel gennaio 1624 la sospensione della diffusione dell'opera e l'ordine al L. di spedirne tutte le copie a Monte Oliveto. Colpito da questi attacchi, e trascurato dal fratello Agostino allora abate di Monte Morcino, il L. continuò nella sua predicazione, a Trevi e Todi tra 1623 e 1624, e soprattutto si dedicò all'Acus nautica, centro nevralgico dell'intero suo ultimo ventennio di vita. Si intendono in questa ottica la visita alla celebre libreria di Francesco Maria II della Rovere nel 1626 (Vita, p. 161) e la raccolta tenace di consensi e sostegni finanziari per giungere alla stampa dell'opera (come da registrazioni in Roma, Biblioteca nazionale, Mss., S. Onofrio, 64, cc. 26v-27r; alla c. 30r si ricava che i ventidue volumi furono rilegati già nel febbraio 1628). Un primo saggio dell'Acus nautica, nella misura di pochi fogli, risulta sia apparso nel 1625, con il titolo Praelibatio operis maximi et ad adornandam litterariam quamcumque disputationem utilissimi (Vita, p. 162).
La concentrazione sull'immenso repertorio non impedì al L. la stesura degli Sfoghi di mente (discorsi di varia erudizione, in parte editi nella seconda parte dell'Hoggidì), né la pubblicazione de Il Bartimeo cieco di Gerico (Perugia 1626), un discorso di taglio allegorico sul significato di un simbolo di cui il L. costellava tutti i suoi manoscritti. Nel 1628 apparvero Il Mercurio olivetano ovvero La Guida per le strade dell'Italia per le quali sogliono passare i monaci olivetani (sorta di itinerario per i monasteri olivetani ispirato dai pluriennali spostamenti del L.) e il discorso accademico Il vestir di bianco di alcuni religiosi, e particolarmente olivetani. Intanto il L. profondeva un rinnovato impegno per l'arricchimento dell'Acus nautica, tentando di interessare alla sua pubblicazione la famiglia Colonna e il cardinale Francesco Barberini durante un soggiorno romano. L'elezione a generale di Domenico Pueroni (o Peveroni), nel 1627, duramente avverso alle Historiae, rinnovò le ostilità nei confronti del L. e del fratello Agostino, allora a Monte Morcino.
Dispostosi al solito a replicare alle accuse, il L. fu richiamato a Monte Oliveto nella primavera del 1629; interrogato e accusato per mancato rispetto degli ordini dei superiori, fu privato del titolo di abate, condannato al carcere monastico, quindi destinato al monastero di S. Andrea di Volterra, "monasterio di tre monaci" (Vita, p. 216; il racconto anche in Istoria olivetana dei suoi tempi, pp. 165 ss.). Una volta ancora le conseguenze della persecuzione furono affrontate dal L. con il doppio strumento dell'apologia difensiva e di nuovi progetti: a Volterra avviò la composizione di un bilancio autobiografico in ottave (una copia in Perugia, Biblioteca Augusta, Mss., C.28, cc. 248r-258r; si legge ora in Vita, pp. 315-343) e dei Farfalloni degli antichi historici, editi nel 1636 a Venezia dal fratello del L., Ottavio.
Impegnandosi strenuamente nella rivendicazione della propria innocenza entro un ambiente indubbiamente ostile, il L. fece appello a diverse autorità e scrisse tra l'altro anche a Giovanni Ciampoli e G.B. Strozzi (Vita, p. 218); tornato a Monte Oliveto, tentò inoltre di fuggire a Roma con la speranza di valersi dell'appoggio di cardinali a lui favorevoli. Un temporaneo miglioramento delle sue condizioni fu interrotto da un'iniziativa rischiosa, quella di rivolgersi al tribunale dell'Inquisizione di Siena, ai cardinali romani e al tribunale del S. Uffizio. Nuovamente incarcerato, rimase recluso dall'ottobre 1630 al settembre 1632 (nel luglio compose l'ennesima difesa: Appellatio ad Dei iudicium: Perugia, Biblioteca comunale Augusta, Mss., C.58, cc. 28r-30v). Convocato prima dal tribunale del S. Uffizio di Siena, quindi a Roma, nell'aprile 1633, fu allontanato dopo lunghe pratiche senza vedere riconosciuta la sua innocenza; l'anno successivo passò a Perugia, sempre dominato dalla speranza di stampare l'Acus nautica.
Nel ms. C.58, cc. 111r-114v, 120r-122r, si leggono rispettivamente impegni ad acquistare l'opera e lusinghiere approvazioni da parte di lettori cui aveva mostrato i manoscritti, testimonianze cumulate a partire dal 1634 al fine di incoraggiare tipografi spaventati dalla mole della raccolta. Il L. fece anche pubblicare un bando, indirizzato Ad typographos totius Europae et mecenates (ibid., c. 3r).
Nel 1636 apparvero, ben distante dalla stampa del 1623, la Seconda parte dell'Hoggidì, overo Gl'ingegni non inferiori a' passati (Venezia) e i Farfalloni de gli antichi historici (ibid.).
Dedicato al cardinale Pier Maria Borghese, l'Hoggidì consiste in venti disinganni atti a provare l'eccellenza dei moderni in ogni branca del sapere, accompagnati da cinque Sfoghi di mente, solo alcuni dei tanti che costellavano i manoscritti del L., in prosa e in versi. I Farfalloni sono un'altra opera simbolo dell'"hoggidianismo" del L.: cento capitoli (in realtà novantanove, per la caduta del LXXIII), in cui si consumava una denuncia di passi inverosimili ricavati dagli storici greci e latini, discussi con l'acribia e il gusto dell'erudito esperto, al fine di smontare una volta ancora l'aurea perfezione della classicità. Nel capitolo conclusivo (Farfalloni, p. 500), prima di un'ultima tornata di farfalloni brevemente esposta, la dichiarazione che l'opera sarebbe potuta essere ben più ampia: "havendo posto insieme quest'operetta in mezzo a calamità gravissime, e timore, che non mi sia soppressa, e mandata in nulla […] quanto haverei potuto allargarmi ne' proposti di sopra, s'havessi goduto punto di quiete in questi tre anni, e mezzo in particolare".
Nei mesi successivi, rinnovando i suoi ricorsi alle autorità ecclesiastiche, il L. ottenne infine, anche attraverso gli appoggi di Giovan Battista Marinoni, una piena riabilitazione dalle accuse, ma non il reintegro nella sua carica di abate. Quasi un bilancio può essere considerata una lettera del 6 marzo 1637 di Ippolito Campioni allora generale degli olivetani (pure ben disposto verso il L.) al cardinale protettore P. M. Borghese, che forniva un ritratto lucido del L., spiegando alla luce di un carattere collerico un trentennio di controversie entro l'Ordine: "odiato irremissibilmente […] per natura di genio veemente e alquanto sensitivo" (Vita, pp. 267 s.). Tornato a Monte Morcino sin dalla metà degli anni Trenta, il L. compose la Istoria olivetana dei suoi tempi, dal 1593 al 1636, dalle evidenti finalità apologetiche, con la ricostruzione storica dominata dalle sue disavventure, e soprattutto riprese a occuparsi della stampa dell'Acus nautica. Con questa speranza lasciò Perugia e l'Umbria nel 1637, dirigendosi prima verso Genova, dove rimase fino alla seconda metà del 1639. Dall'ultimo periodo italiano nacquero altre due opere, espressione della visione sempre più amara maturata dal L.: l'una, Chi l'indovina è savio overo La prudenza humana fallacissima. Libri otto, andò in stampa nel 1640 a Venezia, con lettera dedicatoria indirizzata da Genova ad Agostino Franzone in data 22 luglio 1639; l'altra, Le pittime de' tribolati, avviata nel dicembre 1638 e proseguita nei mesi successivi, rimase incompiuta e inedita (Roma, Biblioteca nazionale, Mss., S. Onofrio, 25-26).
I manoscritti romani attestano un disegno ampio, ma ancora provvisorio, tanto per la sua struttura, tripartita in pittime, cioè conforti, per i mali del corpo, dell'animo e della fortuna (ciascuna prevista in cento capitoli, cfr. un'annotazione del giugno 1642 in Perugia, Biblioteca Augusta, Mss., C.58, c. 225), quanto nell'effettiva composizione. La pittima prima risulta tuttavia programmatica: "Per ogni male dire, parlare, sfogare, dolersi senz'offesa di Dio o del prossimo o con la bocca o con la penna", a esprimere la protesta contro l'apatia e l'impassibilità stoica di fronte al dolore, e l'idea della comunicazione della sofferenza come legittima fonte di sollievo. È da segnalare (in un altro ms. del fondo romano, S. Francesca Romana, 6, c. 262v), il confronto delle Pittime con uno degli archetipi della tradizione, il De remediis petrarchesco, con la significativa affermazione: "ma noi la sminuzziamo [la materia] più assai senza comparazione". Nel ms. C.28, c. 269r, è rilegato un annuncio, stampato a Genova nel 1639, della prossima uscita dell'opera.
In Chi l'indovina è savio, l'analogo movente di una protesta contro lo stoicismo approdava a una radicale discussione della figura del savio (avendo a mente le prove coeve di Matteo Peregrini) e dell'utilità stessa di un contegno prudente. In questa luce, di un pessimismo profondo, cementatosi per via personale ma rapportato con voluta insistenza a un'ottica di rassegnazione cristiana, il L. completava la tetrade dei suoi scritti maggiori (Hoggidì, Farfalloni, Pittime, Chi l'indovina è savio), senza contraddire, ma approfondendo piuttosto e dando vivo spessore al combattivo "hoggidianismo" della maturità.
Nella seconda metà del 1639 il L. si trasferì in Francia. Da un soggiorno a Lione nacque il resoconto intitolato Maraviglie di Francia (datato 19 giugno 1640 nel ms. C.58 di Perugia, cc. 88r-92r). Quindi passò a Parigi, dove riscosse la stima di G. Naudé e nel 1641 diede alle stampe L'Orvietano per gli Hoggidiani, cioè Per quelli, che patiscono del male dell'Hoggidianismo… (riduzione del Mercurio olivetano), mentre non gli riuscì di far imprimere l'opera a cui più teneva, la monumentale Acus nautica.
A Parigi il L. morì il 16 genn. 1643.
Numerosissime le carte manoscritte del L. a noi pervenute. Oltre alle opere menzionate, edite e inedite, già nella Vita (pp. 285-287), il L. elenca diverse selve di concetti predicabili tratte da opere di teologi e Padri della Chiesa e compiute in diversi momenti, a cui vanno aggiunti un trattato De sagramentis ricavato dall'opera del gesuita F. Suarez composto nel 1609, i compendi dalle Summae di s. Tommaso (ora nell'Archivio di Monte Oliveto Maggiore) e una Selva delle cose olivetane rimaste fuori dalle Historiae. Sempre nell'Archivio di Monte Oliveto (reg. XIII, cc. 33r e ss.) si conservano alcune lettere del L. (1635-37) e il manoscritto italiano delle Historiae Olivetanae.
Nella Biblioteca comunale Augusta di Perugia, il ms. C.58, quasi integralmente autografo, riporta, oltre agli scritti menzionati e a una serie di indici, lemmari e schede collegate ai diversi zibaldoni, anche la notizia di prediche del L. a Parigi nella chiesa di St Opportune (c. 4r); Che Traiano imperadore non fosse spagnuolo ma fosse da Todi… farfallone (cc. 30r-65v; si ricordi al riguardo G.F. Argenti, Apologia o vero Risposte alli discorsi del sig. Domenico Tempesta e del sig. Academico Insensato fatti intorno alla patria di Traiano imperatore, Todi 1627); il capitolo in versi La crudeltà fraterna, diretto al fratello Agostino e composto a Parigi il 3 giugno 1642 (cc. 75r-76r); Del Griffone, arme od ingiuria dell'augusta città di Perugia, dissertazione scritta a Parigi nel 1640 (cc. 82r-84v); l'Asilo de' predicatori fabricato con materia tolta ai Santi Padri (cc. 98r-108v, con una nota del 15 sett. 1624 sull'incompletezza in cui il progetto era rimasto); diversi Sfoghi di mente in versi (tra essi un Capitolo o Sfogo di mente lagrimosa sopra i suoi olivetani, cc. 281r-289v). In copie secentesche il ms. C.28, oltre alla Vita dell'abate d. Secondo Lancellotti scritta da lui, cc. 1r-79r, e a varie memorie difensive, conserva molti degli scritti sopra citati, cui aggiunge cronache di monasteri, un catalogo delle opere edite e inedite del L. (cc. 157r-160v), l'importante vita del L. scritta dal fratello Ottavio (cc. 163r-168r), versi del L. per alcuni dei suoi superiori (cc. 223r e ss.).
Nella stessa biblioteca, il ms. 942 riporta molte lettere da Perugia di Ottavio Lancellotti, alcune delle quali indirizzate al L. (tra il 1614 e 1637), altre ad Agostino; il ms. 1394 riporta cronache di monasteri per le Historiae e prediche del L., mentre nel ms. 1660 si legge un anonimo Discorso della verità dell'antichità ritrovate a Volterra contro il Discorso e l'Apologia del p. d. Secondo Lancillotti, che riporta stralci della perduta opera del L. intorno ai presunti reperti su cui aveva scritto C. Inghirami.
Nella Biblioteca nazionale di Roma, oltre ai citati mss. S. Onofrio dell'Acus nautica (3-24) e delle Pittime de' tribolati (25-26), conservano scritture del L. i mss. S. Onofrio, 27: Scripterientium Epithema hoc est Cacöete, pruritu, morbo (quidni?) libros componendi, emittendique in lucem…medicamentum, una sorta di compendio bibliografico degli ultimi tempi della vita del L. (alcune carte sono datate al gennaio 1642); S. Onofrio, 47: Scriptorum veteris recentisque memoriae… syllabus, nato a margine dell'Acus nautica (sorta di dizionario avviato nel 1636 e terminato nel 1638 in un monastero "prope Genuam", c. 296r); S. Onofrio, 49: appunti del soggiorno genovese dell'estate 1639, un epitaffio composto dal L. medesimo a Parigi nel 1640 (c. IV), ma anche repertori minori (redatti in volgare, ma con la medesima struttura dell'Acus nautica: il primo riporta come data d'avvio il luglio 1615), elenchi di libri letti (cc. 307r-308r) e soprattutto un elenco dei manoscritti copiati o composti dal L. nell'arco di un quarantennio (cc. 304r-305v); S. Onofrio, 66: trattati teologici di Agostino Lancellotti.
Un'edizione complessiva delle opere del L., in quattro volumi, apparve nel 1662 (Opere…divise in quattro parti, Venezia). In edizioni moderne sono disponibili: Vita in prosa e in versi, a cura di M. Savini, Roma 1971; Istoria olivetana: Emilia-Romagna olivetana, a cura di G.F. Fiori, Ferrara 1982; Liguria olivetana, a cura di G. Picasso, Badia di Rodengo 1983; a cura di G.F. Fiori i volumi seguenti: Puglia e Basilicata olivetane, ibid. 1989; Istoria olivetana. Libro primo (1300-1593), ibid. 1989; Libro secondo (1300-1593): i monasteri, ibid. 1991; Istoria olivetana dei suoi tempi libri XII (1593-1636), ibid. 1989.
Fonti e Bibl.: G. Naudé, Epigrammatum libri duo, Parisiis 1650, pp. 41 s.; G.B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini, II, Perugia 1829, pp. 51-60; G. Degli Azzi, Un frate di spirito nel Seicento (don S. L. da Perugia), in Boll. della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria, XXII (1916-17), pp. 217-228; S. Vismara, L'abate L. e il card. Federico Borromeo, in Riv. storica benedettina, XII (1921), pp. 136-142; M. Scarpini, I monaci benedettini di Monte Oliveto, San Salvatore Monferrato 1952, pp. 213 s., 233 s.; M. Savini, A proposito di alcuni inediti di S. L., in Lettere italiane, XXIII (1971), pp. 85-111; F. Ulivi, Scheda su S. L., in Storia e cultura in Umbria nell'età moderna… Atti del VII Convegno di Studi umbri, Gubbio… 1969, Perugia 1972, pp. 39-51; F. Arato, Un erudito barocco: S. L., in Giorn. stor. della letteratura italiana, CLXXII (1995), pp. 509-549; F. Arato, Un enciclopedista perugino del Seicento: S. L., in L'enciclopedismo in Italia nel secolo XVIII, a cura di G. Abbatista, Napoli 1996, pp. 25-41; M. Catucci, La vita di Alessandro III del Loredano e i "Farfalloni" del L., in Sincronie, II (1998), pp. 169-178.