GUERRA MONDIALE, SECONDA.
Sommario. - Storia diplomatica (p. 1103); Le operazioni militari (p. 1130); Danni di guerra (p. 1169); Legislazione italiana di guerra (p. 1172).
Storia diplomatica.
1. Dopo gli accordi di Monaco (ottobre 1938-marzo 1939).- Gli accordi di Monaco (29 settembre1938) avevano provocato quasi ovunque reazioni contraddittorie. In Gran Bretagna, alla soddisfazione per l'allontanamento del pericolo di una guerra immediata, si accompagnavano la speranza (alimentata dall'accordo Chamberlain-Hitler del 30 settembre) di un'evoluzione della situazione internazionale verso una collaborazione costruttiva, il timore che non si trattasse che di una breve tregua pagata a troppo caro prezzo. In Francia si assisteva alla riproduzione presso a poco di tale stato d'animo, ma con un'accentuata soddisfazione per lo scampato pericolo ed una più marcata sensazione di debolezza e di avvilimento per l'abbandono al suo destino di una nazione amica ed alleata. A Berlino, lo strepitoso successo - pur lusingando i suoi artefici ed umiliando quei capi militari, che, guidati dal generale L. Beck, si proponevano di eliminare Hitler qualora si dovesse giungere ad una guerra generale - non aveva soffocato alcune importanti correnti del partito che consideravano un errore l'avere accettata una soluzione pacifica e parziale del problema boemo, ed accordata una tregua agli avversarî. A Roma, la soddisfazione per l'accresciuto prestigio a seguito della fortunata azione mediatrice di B. Mussolini era prevalente e si sperava di poter valorizzare quanto prima la nuova situazione risultante. A Mosca, vi era soprattutto dispetto per la significativa esclusione da Monaco, inquietudine per la prova di debolezza delle democrazie occidentali - i cui ulteriori sviluppi avrebbero potuto riuscire estremamente pericolosi all'URSS -, per il rafforzamento della Germania e per la perdita della pedina cecoslovacca. Anche negli Stati Uniti le reazioni erano state fortemente negative e critiche, ma insufficienti ad orientare l'opinione pubblica verso forme di assistenza effettiva con Londra e Parigi.
La Francia e la Gran Bretagna intesero la necessità del loro riarmo e di essa si fece portavoce soprattutto W. Churchill nel suo discorso ai Comuni del 5 ottobre, cui Hitler replicava da Saarbrücken 4 giorni dopo. Quale fosse il piano d'azione immediata del cancelliere tedesco in quelle prime settimane successive a Monaco non è chiaramente ricostruibile oggi. Sta di fatto che l'11 ottobre il principe Filippo d'Assia trasmetteva a Roma un progetto di ritorno al Patto a Quattro di cui Göring aveva presa l'iniziativa con l'approvazione di Hitler, ma all'insaputa di Ribbentrop. Il 18, il Führer, ricevendo a Berchtesgaden l'ambasciatore A. François-Poncet in visita di congedo, approvava l'idea di un patto franco-tedesco che doveva poi essere firmato a Parigi il 6 dicembre. Il 24, Ribbentrop convocava a Berchtesgaden l'ambasciatore polacco J. Lipski e gli proponeva il regolamento della questione di Danzica e del corridoio in cambio di una proroga venticinquennale del patto tedesco-polacco del 1934 e del nulla-osta alla creazione di una frontiera comune ungaro-polacca nella Rutenia. Il 28 ottobre il ministro degli Esteri del Reich si recava a Roma per proporre l'immediata stipulazione di un'alleanza tripartita italo-tedesco-giapponese in considerazione della inevitabilità della "guerra con le democrazie occidentali nel giro di pochi anni, forse tre o quattro". L'offerta venne allora respinta da Mussolini, come lo era stata già nel maggio del 1938.
Anche gli ultimi due mesi del 1938 videro una successione di eventi diplomatici contrastanti. Il 2 novembre, l'arbitrato di Vienna, affidato esclusivamente all'Asse, se dava ai Magiari larghe soddisfazioni in Slovacchia, le negava in Rutenia, il che affrettava la caduta del ministro De Kanya (28 novembre). L'8 novembre, Hitler polemizzava vivacemente a Monaco, con Churchill. Il giorno 16 entravano in vigore gli accordi italo-britannici del 16 aprile. Il 19, l'ambasciatore Lipski portava a conoscenza di Ribbentrop la risposta negativa del ministro degli Esteri polacco J. Beck alle proposte tedesche del 24 ottobre, il che induceva Ribbentrop a porre il veto, il giorno successivo, ad ogni azione ungherese in Rutenia. Il 24, Chamberlain ed Halifax si recavano a Parigi per consolidare con i colleghi francesi la politica del riarmo. Il 28, una dichiarazione russo-polacca riaffermava la politica di buon vicinato tra Mosca e Varsavia e confermava la validità dei precedenti trattati. Due giorni dopo, G. Ciano, in un discorso pronunciato alla Camera, poneva sul tappeto il problema delle rivendicazioni italiane verso la Francia ed il 17 dicembre comunicava al Quai d'Orsay di non ritenere più validi gli accordi Mussolini-Laval del 1935
Quali fossero le vere origini e gli scopi di questa presa di posizione da parte del governo fascista non è ancora oggi ben chiaro, ma essa doveva tuttavia avere conseguenze negative a più lunga scadenza, in quanto, per le reazioni provocate in Francia, esercitò una notevole influenza sulla successiva decisione di Mussolini di accogliere l'offerta di alleanza di Hitler e pregiudicò forse in modo definitivo ogni tentativo d'intesa italo-francese.
Il viaggio di Ribbentrop a Parigi (6 dicembre) e le conversazioni cui diede luogo non intaccarono la validità giuridica degli impegni francesi con la Polonia e con l'URSS, ma non furono probabilmente estranei al convincimento personale del ministro degli Esteri del Reich sulla possibilità di tener lontana la Francia da un intervento nell'Europa orientale. Comunque, l'accordo suscitò molte speranze sulle rive della Senna e di esse si fece eco G. Bonnet nelle sue dichiarazioni alla Camera ed al Senato del 14 e 16 dicembre, nelle quali respingeva peraltro risolutamente ogni idea di concessioni territoriali all'Italia. Intanto, anche il problema delle rivendicazioni coloniali della Gemiania era oggetto di vivaci dibattiti alla Camera dei comuni (14 e 16 novembre, 7 dicembre) e di un comunicato ufficiale francese (16 novembre), tendenti a resistere alla prevista imminente mossa di Hitler.
Il 1939 s'iniziava sotto auspici non incoraggianti. Il 2 gennaio mentre Daladier iniziava un giro in Corsica, Tunisia e Algeria, ove pronunciava discorsi intransigenti, Ciano comunicava a Ribbentrop la decisione di Mussolini di accettare la precedente offerta di Berlino per la conclusione immediata di una alleanza tripartita. Il 5 ed il 6, J. Beck s'incontrava con Hitler e con Ribbentrop a Berchtesgaden ove gli veniva ancora una volta sottolineata la necessità di risolvere la questione di Danzica. In cambio di essa la Germania si dichiarava disposta a garantire il corridoio e gl'interessi economici polacchi. L'8, il cancelliere del Reich sollevava con il suo discorso di Monaco la questione delle colonie tedesche. L'11 e il 12 avevano luogo i colloqui di Chamberlain e di Halifax a Roma ch'ebbero un carattere piuttosto scialbo ed inconclusivo. Una settimana dopo, Ciano si recava in Iugoslavia, dove concordava con M. Stojadinović il progetto di spartizione dell'Albania, il che doveva portare subito dopo alla caduta del capo del governo serbo. Il 21 gennaio il ministro degli Esteri cecoslovacco F. K. Chvalkovský era ricevuto a Berchtesgaden da Hitler che insisteva sulla necessità di estirpare definitivamente ogni residuo della politica di Beneš. Il 27, Ribbentrop compiva una visita ufficiale a Varsavia durante la quale la questione di Danzica veniva ancora una volta infruttuosamente discussa, il che non impedì tuttavia a Hitler di pronunciare tre giorni dopo un discorso nel quale si faceva l'elogio dell'accordo del 1934 con la Polonia. Mentre Beck si asteneva dal fare parola con la Francia e la Gran Bretagna delle richieste di Berlino, le trattative per l'alleanza tripartita italo-tedesco-giapponese trovavano impreviste resistenze a Tōkyō ove l'ammiragliato era risolutamente contrario ad assumere impegni contro gli anglo-americani. Intanto, Parigi decideva di utilizzare un viaggio di P. Baudoin a Roma per sondare le vere intenzioni del governo fascista circa le proprie rivendicazioni.
Nei primi due mesi del 1939 le preoccupazioni della Francia sono quelle che sembrano le più attuali. Oltre che le aspirazioni italiane, la preoccupano anche la possibilità di un'intesa tedesco-polacca e certe voci su progetti offensivi di Hitler a occidente. Il viaggio di Ciano a Varsavia (25 febbraio) sembra dare corpo a tali ombre. Pertanto il Quai d'Orsay accoglierà con grande sollievo le informazioni relative alla sua inconclusività e le assicurazioni di Beck sulla fedeltà del proprio paese a Parigi. In realtà si nota una certa confusione di idee. C'è nell'aria una sensazione diffsa di pericolo e di insicurezza, ma ancora vi è molto disorientamento.
2. La fine dello spirito di Monaco e la garanzia anglo-francese alla Polonia (15 marzo-7 aprile 1939). - La questione della garanzia alla Cecoslovacchia, prevista dagli accordi di Monaco, era stata ripetutamente sollevata dai franco-britannici a Berlino e a Roma dopo l'arbitrato di Vienna, ma non aveva fatto progressi sensibili per le continue eccezioni sollevate dalla Wilhelmstrasse. La crisi ebbe inizio il 10 marzo con la deposizione, decretata dal governo di Praga, del gabinetto slovacco presieduto da mons. Tiso. Segue la decisione di intervento. Presa personalmente da Hitler sotto la spinta degli insofferenti e dei delusi di Monaco - specialmente Ribbentrop e Himmler -, risale al giorno 11, ma venne taciuta a tutti, compreso l'ambasciatore d'Italia, B. Attolico. Il 12 sera, Ribbentrop chiamava il ministro d'Ungheria, D. Stojay, per dirgli che la Germania lasciava libera l'Ungheria di occupare la Rutenia. Il 13, il principe d'Assia era inviato a Roma, per comunicare le decisioni del cancelliere. Il 14, la Dieta slovacca votava la legge sull'indipendenza. Contemporaneamente, il presidente E. Hacha e Chvalkovský erano convocati a Berlino e sottoposti a drammatiche pressioni. Alle 3,55 della mattina del 15 il capo dello Stato cecoslovacco si rassegnava a sottoscrivere una dichiarazione ai termini della quale affidava nelle mani del Führer il destino del popolo cèco. Le truppe tedesche, che avevano già varcata la frontiera boema fin dal 14, entravano nel pomeriggio del 15 a Praga. Poco dopo anche le forze armate ungheresi raggiungevano il confine della Polonia.
Ciò ebbe ripercussioni decisive. Da allora ogni credito alle più solenni dichiarazioni e promesse del Führer era scomparso per fare posto alla convinzione dell'inevitabilità e dell'imminenza del conflitto. A Londra e a Parigi si riteneva che il prossimo turno sarebbe toccato alla Romania. A Roma e a Belgrado si temeva per la Croazia e la Slovenia. A Kaunas per Memel. A Varsavia, Beck sapeva che era su Danzica e il corridoio che si rivolgeva l'attenzione di Berlino. Quelle prime settimane, d'altra parte, videro maturare l'irremovibile e definitiva risoluzione della Gran Bretagna di scendere comunque in campo per combattere ogni tentativo di egemonia prussiana. La profondità e l'intensità delle reazioni londinesi sfuggirono probabilmente a Berlino; certo la politica di Monaco aveva cessato di esistere e la Germania hitleriana doveva attendersi di combattere per marciare oltre.
Mentre il 17 marzo l'URSS e gli Stati Uniti prendevano netta posizione contro l'annientamento della Cecoslovacchia e Ciano diffidava l'ambasciatore del Reich, G. von Mackensen, contro ogni eventuale azione nazista in Croazia, il 18 la Francia e la Gran Bretagna protestavano energicamente a Berlino per la violazione degli accordi di Monaco e dichiaravano di non volere riconoscere il fatto compiuto, procedendo subito dopo al richiamo dei rispettivi ambasciatori. Il giorno 20, Ribbentrop riceveva il ministro degli Esteri lituano cui richiedeva in termini categorici l'immediata cessione di Memel, che quarantotto ore dopo il governo di Kaunas si rassegnava a retrocedere alla Germania. Contemporaneamente, il capo dell'Auswärtiges Amt scriveva una lunga lettera a Ciano per dissipare le sue preoccupazioni sulla Croazia ed assicurarlo del rispetto degli interessi mediterranei dell'Italia. Il 21, mentre A. Lebrun e Bonnet si recavano in visita ufficiale a Londra, l'ambasciatore polacco a Berlino era convocato da Ribbentrop che gli propose la cessione di Danzica e la costruzione di un'autostrada extra-territoriale attraverso il corridoio. Appena arrivato nella capitale britannica il ministro degli Esteri francese si vide sottoporre da Halifax il testo di un progetto di dichiarazione anglo-franco-polacco-russa che avrebbe dovuto parare un'eventuale mossa di Berlino contro la Romania, mossa che in quei giorni era ritenuta imminente, nonostante che le precedenti voci di un ultimatum tedesco si fossero dimostrate infondate e che le pressioni effettivamente esercitate sul governo di Bucarest fossero sboccate nel trattato di commercio del 23 marzo. Tale progetto di dichiarazione, che avrebbe dovuto essere seguito da una conferenza delle quattro potenze, finì per avere delle conseguenze impreviste. Avendo infatti l'URSS condizionata la propria accettazione a quella polacca, ed essendo d'altra parte (23 marzo) Beck restìo ad accogliere le sollecitazioni del Foreign Office, sia per non legarsi alla Russia, sia per non prendere una posizione nettamente anti-tedesca, il gabinetto londinese, andando incontro ai suggerimenti di Varsavia, doveva il 26 marzo orientarsi verso una garanzia bilaterale alla Polonia. Di modo che la decisione che doveva rivoluzionare la politica estera britannica ed esercitare tanto peso sulla crisi finale dell'agosto 1939 venne presa avendo di mira, non Danzica, ma la Romania e all'insaputa di qualsiasi informazione circa le richieste già formulate a Beck da Hitler e Ribbentrop. Il viaggio a Londra del presidente della Repubblica francese influì, inoltre, sulla determinazione di Chamberlain di introdurre la coscrizione obbligatoria in Inghilterra e sulla rielezione di Lebrun alla suprema magistratura.
Mentre le grandi democrazie, sotto la direzione britannica, andavano organizzando così un fronte comune di resistenza, nel campo delle potenze totalitarie le cose non procedevano all'unisono come poteva sembrare dal di fuori. A Roma, l'impressione per il colpo di Praga era stata grave. Lo stesso Mussolini attraversò una difficile crisi, dalla quale si riebbe parzialmente solo dopo le assicurazioni di Ribbentrop ed una lunga lettera di Hitler del 25 marzo. D'altra parte, i tentativi di Ciano per riallacciare il negoziato con Parigi non trovarono immediata rispondenza presso il gabinetto francese. Solo P. Laval, il 20 marzo, aveva suggerito l'idea di un suo viaggio a Roma ed in tale senso si era confidato con R. Guariglia, dopo averne parlato con Daladier. Ma, nonostante le apparenze, l'uomo non era allora il più indicato per discutere con Mussolini. Quanto a Chamberlain, egli si decise il 20 marzo a rivolgere un appello personale al capo del governo fascista nell'interesse della pace, ma Mussolini si limitò a replicargli il 31, richiamandosi al proprio discorso del 26 nel quale le rivendicazioni italiane verso la Francia, pur essendo circoscritte al campo coloniale, erano state ribadite in via pregiudiziale. (Più tardi lo stesso Mussolini preciserà trattarsi della revisione delle convenzioni per Tunisi, della concessione di un porto franco a Gibuti, della cessione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba e dell'attribuzione di un congruo numero di seggi nel Consiglio di amministrazione del canale di Suez).
Intanto che a Tōkyō l'opposizione alla progettata alleanza tripartita si andava sempre più affermando, a Berlino si attendeva con incertezza ed impazienza la risposta di Varsavia alle richieste del 21 marzo. Hitler era allora d'avviso di non risolvere il problema di Danzica mediante l'uso della forza, per non gettare la Polonia nelle braccia della Gran Bretagna. I colloqui tra l'ambasciatore polacco ed il ministro degli Esteri nazista, avvenuti il 26 ed il 27, misero in luce l'inconciliabilità delle tesi opposte ed accrebbero la tensione tra i due paesi. Beck fece infatti dichiarare di essere disposto a regolare il problema di Danzica mediante un'intesa diretta tedesco-polacca che garantisse, al di fuori della Società delle nazioni, il libero sviluppo delle istituzioni tedesche e degl'interessi polacchi, ma respinse ogni idea di annessione al Reich. Il governo di Varsavia era inoltre contrario alla costruzione di linee di comunicazione extra-territoriali attraverso il corridoio. Il capo dell'Auswärtiges Amt dichiarò subito insufficienti le proposte polacche ed ammonì il suo interlocutore sulle conseguenze che esse avrebbero avuto sull'inevitabile peggioramento dei rapporti tra i due paesi. Lipski e Beck (a mezzo dell'ambasciatore H. A. von Moltke) erano messi in guardia, rispettivamente il 27 ed il 28, circa le reazioni di qualsiasi mossa polacca a Danzica, che Berlino avrebbe considerata alla stessa stregua di una violazione del territorio del Reich.
Mentre Londra e Parigi erano ancora tenute da Varsavia completamente all'oscuro delle richieste naziste, il 27 marzo il governo britannico decideva di accogliere la richiesta di Beck del 23, tendente a far cadere la progettata dichiarazione a quattro per sostituirla con un accordo bilaterale. Tale linea di condotta era subito approvata da Bonnet. Il 29 marzo il governo britannico si riuniva d'urgenza per approvare la proposta di garanzia alla Polonia. Il giorno successivo chiedeva al governo polacco se avrebbe accettata la garanzia inglese. Beck, dopo una rapida telefonata al presidente della Repubblica ed al capo di stato maggiore, senza avere convocato il gabinetto, diede la sua immediata approvazione. Il 31 marzo Chamberlain annunciava ai Comuni la decisione, cui anche la Francia si era simultaneamente associata.
L'affrettata decisione del governo britannico è stata oggetto di vivaci discussioni. Senza entrare nei particolari di essa, tre punti vanno tuttavia considerati. Il primo concerne le condizioni d'ignoranza sulla vera situazione dei rapporti tedesco-polacchi in cui essa venne presa. Il secondo si riferisce alla sostanziale estromissione, per desiderio di Beck, della URSS dalla fase iniziale di un negoziato al quale Mosca era stata dapprima chiamata a partecipare. Il terzo si ricollega all'opinione, allora prevalente a Londra, secondo la quale l'efficienza e l'importanza dell'apporto militare franco-polacco erano supervalutati al punto che, tra l'esercito rosso e quello di Varsavia, si sarebbe data la preferenza al secondo. In questo triplice ordine di fattori dovranno essere ricercate le premesse di una serie di eventi successivi di non lieve momento. Il ministro degli Esteri polacco si recava quindi nella capitale britannica il 3 aprile, ove veniva deciso di dare un carattere bilaterale alla garanzia, che sarebbe stata quanto prima sostituita da un regolare trattato. Nel corso dei colloqui londinesi, Beck riconfermò la sua ripugnanza a concludere più stretti accordi con Mosca. Comunque, le decisioni franco-britanniche suscitarono profonda irritazione in Germania dove fu subito affacciata la tesi della loro incompatibilità con l'accordo tedesco-polacco del 1934.
Il discorso di Daladier del 29 marzo, che riconfermò l'atteggiamento negativo della Francia verso le aspirazioni italiane, fece cadere le ultime esitazioni di Mussolini circa l'alleanza con la Germania. Un incontro Ciano-Ribbentrop sarebbe presto avvenuto per definire i rapporti tra Roma e Berlino. Intanto W. Keitel e A. Pariani s'incontravano ad Innsbruck il 5-6 aprile, ed il loro incontro segnò un passo innanzi sull'intesa militare. Intanto, nelle more dell'incontro dei due ministri degli Esteri dell'Asse, il capo del governo fascista, anche sotto la spinta del genero, decideva l'occupazione dell'Albania, da tempo in maturazione; ed essa avveniva effettivamente il 7 aprile, proprio mentre Beck lasciava Londra. L'occupazione dell'Albania, pur avvenendo all'insaputa della Germania e non essendo neanche priva di una punta anti-tedesca, diede, soprattutto alle opinioni pubbliche delle democrazie, l'impressione di fare parte di un piano preordinato di aggressioni dell'Asse ed ebbe pertanto ripercussioni sfavorevoli sui rapporti di Roma con Londra (che il 13 aprile estendeva la sua garanzia alla Grecia) e Parigi, oltre che con Atene, Ankara e Belgrado. Essa offrì, inoltre, lo spunto a Bonnet per insistere (9 aprile) sulla necessità di un'alleanza immediata con Mosca. Aveva così inizio il lungo ed infruttuoso negoziato anglo-franco-sovietico nel quale solo la Francia, a partire dalle sue proposte semplici e precise del 14 aprile, apportò costantemente un contributo costruttivo, mentre il Commissariato sovietico degli esteri ed il Foreign Office apparvero rimorchiati piuttosto che convinti.
3. Le trattative anglo-francesi con Mosca. - Il Patto d'acciaio (15 aprile-23 maggio 1939). - La prima fase del negoziato anglo-francorusso, che si concluderà con la partenza di M. Litvinov (3 maggio), aveva visto, simultanea a quella di Bonnet, un'offerta di lord Halifax tendente ad associare l'URSS alle garanzie franco-britanniche alla Polonia ed alla Romania. Il 19, Mosca replicò con una contro-proposta nella quale chiedeva che: a) la Gran Bretagna, la Francia e la Russia s'impegnassero ad assistersi reciprocamente in caso di aggressione diretta contro di esse; b) gli stati baltici fossero inclusi nel nuovo patto; c) le misure militari venissero studiate in comune; d) le tre potenze stabilissero di non concludere pace separata; e) l'assistenza britannica alla Polonia fosse limitata alla sola aggressione tedesca; f) la Polonia e la Romania modificassero la loro alleanza estendendone gl'impegni erga omnes, in modo che non agissero solo contro la Russia. La maggiore difficoltà di tali richieste risiedeva, nell'opinione di Londra, nell'estensione della garanzia britannica all'URSS. Era questo un nuovo impegno al quale l'Inghilterra non sembrava allora preparata. Le pressioni del Quai d'Orsay non riuscirono peraltro a indurre l'alleato ad approvare (29 aprile) una formula intermedia che prevedeva assistenza reciproca nel caso che una delle parti si trovasse in guerra contro la Germania per impedire modificazioni violente allo status quo dell'Europa orientale o centrale. Il Foreigh Office si ostinava (25 aprile) a caldeggiare un testo meno impegnativo ritenuto inaccettabile a Mosca.
Contemporaneamente, le trattative per un'alleanza tripartita tra gli stati totalitarî, iniziate ufficialmente il 2 gennaio, non facevano progressi sensibili per l'insuperabile riluttanza del Giappone ad impegnarsi, oltre che contro l'URSS, anche contro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Ciò doveva favorire il desiderio di Mussolini di giungere ad una alleanza bilaterale con la Gemiania, mentre questa cominciò a considerare con maggiore insistenza la possibilità d'intendersi anche con l'URSS.
Intanto, il 15 aprile, F. D. Roosevelt rivolgeva ad Hitler ed a Mussolini un appello affinché i due paesi dell'Asse assicurassero per un periodo dai 10 ai 25 anni di non avere mire aggressive contro 30 stati o possedimenti espressamente elencati. Qualora fossero state date da Roma e da Berlino le richieste garanzie, esse avrebbero potuto trasformarsi in bilaterali, dopo di che gli Stati Uniti s'impegnavano a partecipare a trattative sul commercio internazionale al fine di assicurare a tutti uguali condizioni di scambî nei mercati internazionali. Tale iniziativa venne accolta con visibile malumore dai due dittatori che reagirono vivacemente e separatamente respingendo l'accusa di attentare alla pace mondiale e manifestando, sulla scorta delle esperienze precedenti, il loro scetticismo sulla consistenza del promesso contributo americano alla soluzione dei problemi europei. La mossa di Roosevelt coglieva i due paesi dell'Asse in piena attività diplomatica. Il 12 aprile venivano resi noti i messaggi scambiati tra Mussolini e G. Metaxàs per assicurare il governo greco dell'intenzione del governo fascista di rispettare l'integrità territoriale della Grecia. Il 15-16 Göring s'incontrava a Roma con Mussolini e Ciano, ai quali, pur sottolineando la serietà del contrasto con Varsavia, dava assicurazione circa il desiderio del Führer di attendere tre o quattro anni, da dedicarsi al completamento della preparazione militare, prima di affrontare l'urto con le democrazie. Il 15 veniva presentato alla Camera un disegno di legge per l'assunzione della corona d'Albania da parte del re d'Italia; nello stesso giorno la Spagna aderiva al Patto anticomintern; il 18 i ministri ungheresi P. de Teleki e S. Csăkv visitavano i colleghi italiani prima di recarsi a Berlino (2 maggio) per discutere i problemi del bacino danubiano. Il 21, il nuovo ministro degli Esteri iugoslavo C. Marković, confermava a Ciano, in un incontro a Venezia, la continuità della politica di Belgrado verso l'Italia ripetendo poi analogo discorso a Berlino quattro giorni dopo.
Il 28, Hitler pronunciava al Reichstag un importante discorso, durante il quale annunciava la sua decisione di denunciare l'accordo navale del 1935 con la Gran Bretagna e quello del 1934 con la Polonia. Dopo di aver rievocato le proposte fatte alla Polonia per Danzica ed il corridoio - Londra e Parigi ne appresero genericamente i termini solo in tale occasione - il cancelliere del Reich dichiarò che non intendeva rinnovarle in avvenire. Fu allora che Hitler rispose, polemizzando lungamente, al messaggio di Roosevelt e, cosa particolarmente significativa, tacque interamente a proposito della Russia. Il discorso del Führer, per quanto giudicato ovunque assai grave, non chiudeva tuttavia definitivamente le porte a qualsiasi negoziato di cui Varsavia avesse preso l'iniziativa. Esso induceva peraltro il governo fascista ad insistere affinché fosse affrettato l'atteso incontro Ciano-Ribbentrop dal quale esso da tempo contava di trarre maggiori elementi di orientamento. Le trattative per l'alleanza tripartita erano sempre ostacolate dalle riserve dell'ammiragliato giapponese e, mentre Mussolini continuava ad orientarsi sempre più verso un'alleanza bilaterale, anche Ribbentrop fece ulteriori progressi verso tale direzione contemplando alternativamente un'ulteriore adesione di Tōkyō od un'integrazione mediante un'intesa con la Russia. Il convegno tra i due ministri degli Esteri dell'Asse avrebbe dovuto avere luogo a Villa d'Este il 6 maggio ma poi Mussolini scelse Milano per reagire ad una notizia della stampa francese secondo la quale sarebbero scoppiati moti antitedeschi a Milano. Prima dell'incontro, Mussolini preparò alcune istruzioni scritte per il genero, mentre Ribbentrop concordava a Berchtesgaden con Hitler la linea d'azione.
Alla vigilia di esso erano intanto avvenuti: il viaggio dei ministri ungheresi a Berlino (2 maggio), le dimissioni di Litvinov (3 maggio), il fermo discorso di Beck al Sejm in risposta a quello del Führer (5 maggio) e la proposta del Pontefice per la convocazione di una conferenza internazionale che risolvesse le principali questioni che minacciavano la pace (5 maggio). Inoltre erano pervenute a Berlino ed a Roma circostanziate notizie sull'imminente conclusione di un accordo politico militare anglo-turco. Durante la prima parte dei colloqui di Milano, Ciano e Ribbentrop discussero le varie questioni secondo l'ordine in cui erano state poste nell'appunto di Mussolini del 4 maggio. In particolare, Ribbentrop dichiarò di condividere l'opinione di Mussolini che fosse necessario un periodo di pace non inferiore ai tre anni per ultimare gli apprestamenti militari, e a proposito della Polonia tenne un contegno misurato. Queste due circostanze, portate a conoscenza di Mussolini nel corso dell'incontro, lo indussero a proporre che l'alleanza fosse conclusa subito tra Italia e Germania, lasciandola aperta all'adesione del Giappone. Mussolini pensava innanzi tutto di rafforzare la propria posizione nei confrontì della Francia. La proposta di Mussolini colse di sorpresa Ribbentrop e Ciano. Il capo dell'Auswärtiges Amt avrebbe evidentemente preferito un accordo tripartito, ma, interpellato Hitler, avendo questi accolto favorevolmente l'iniziativa fascista, abbandonò ogni riserva; e l'alleanza fu decisa. A Milano si convenne pure di affidare ai Tedeschi la preparazione del progetto del trattato che venne comunicato poi a Ciano il 13 maggio. Esso doveva essere accolto da Mussolini con due sole varianti: l'una concernente l'introduzione nel preambolo della garanzia riguardo alla perennità delle frontiere (Brennero), e l'altra l'introduzione di un limite di 10 anni per la durata iniziale dell'alleanza. E poiché nel frattempo un nuovo tentativo dell'Asse a Tōkyō aveva sortito esito negativo, il 21 maggio Ciano si recava a Berlino ove, ricevuta da Hitler e Ribbentrop nuova conferma delle intese verbali di Milano sul periodo di pace di tre anni, sottoscriveva il giorno successivo il "patto d'acciaio".
La diplomazia dell'Asse entrò allora in una breve fase di raccoglimento. Berlino guardava alternativamente con trepidazione e speranza al negoziato anglo-franco-sovietico, intensificando in rapporto ad esso le pressioni su Tōkyō ed i contatti in corso da qualche tempo con Mosca. Conclusi il 12 maggio gli accordi anglo-turchi, avviate tre giorni dopo le conversazioni tra Parigi ed Ankara verso la cessione di Alessandretta - preludio all'intesa del 29 giugno - effettuato il viaggio del principe Paolo di Iugoslavia a Roma (10 maggio) ed a Berlino (1° giugno), era evidente che la partita principale si stava ormai giocando a Mosca.
Il 25 maggio la Gran Bretagna aveva comunicato a Molotov di essere disposta ad aiutare l'URSS in caso di aggressione tedesca e di includere nell'accordo gli stati baltici purché questi vi consentissero. Sei giorni dopo Molotov replicava insistendo affinché la garanzia agli stati baltici fosse indipendente dal loro consenso e l'assistenza britannica fosse automatica, indipendente cioè da ogni collegamento alla Società delle nazioni. Il Foreign Office, pur essendo disposto, dietro le pressioni di Bonnet, ad attenuare la propria formula, non ritenne di poter accettare immediatamente l'intero punto di vista sovietico. Fu allora (11 giugno) che Londra decise di inviare a Mosca sir W. Strang, per accelerare le trattative. I Russi avrebbero preferito una personalità di primo piano e videro nella decisione del gabinetto britannico una conferma dell'insufficiente interesse alla conclusione del negoziato. Comunque, attraverso una successione di proposte e di contro-proposte, il 29 giugno il Foreign Office finiva per consentire ad una formula che accoglieva tutte le principali precedenti richieste sovietiche. Senonché il 4 luglio Molotov formulò altre condizioni che portavano all'esclusione dell'Olanda, della Svizzera e del Lussemburgo dagli stati garantiti, alla subordinazione del patto politico alla conclusione della convenzione militare ed alla definizione del concetto di aggressione indiretta fino a comprendervi anche il caso di un colpo di stato all'interno o di un mutamento politico favorevole all'aggressore. La discussione intorno a questi tre punti durò, per le resistenze di Londra, fino al 23 luglio, quando il governo britannico consentì ad inviare nuove istruzioni elastiche a Strang tali da soddisfare Molotov, il quale, constatata l'indomani la realizzazione dell'accordo politico, chiese l'immediato inizio delle conversazioni militari.
Il negoziato di Mosca aveva indotto il Foreign Office a ritenere preferibile attendere la sua conclusione prima di stipulare il trattato anglo-polacco preannunciato in occasione del viaggio di Beck a Londra. Il ministro degli Esteri polacco aveva allora premuto su Parigi per modificare l'alleanza del 1921 in modo da adeguarla agli impegni britannici. Bonnet aderì di buon grado, tanto più che la proposta coincideva con un suo antico proposito che non gli era riuscito di realizzare per molteplici precedenti difficoltà. Senonché, avendo il ministro degli Esteri francese trasmesso il 12 maggio all'ambasciatore J. Lukasievicz il testo di un protocollo aggiuntivo approvato dal Consiglio dei ministri e corrispondente allo scopo, cinque giorni dopo si sentiva proporre un articolo addizionale, da tenersi segreto, nel quale si dichiarava che Danzica rappresentava un interesse vitale per la Polonia. Bonnet chiese spiegazioni e gli venne affermato che Londra era già d'accordo per tale questione con Varsavia; un'inchiesta presso il Foreign Office indicò invece l'inesistenza di simile intesa e puranche di trattative analoghe. Il 18 maggio tuttavia, simultaneamente a questa notizia, il ministro degli Esteri francese Bonnet apprendeva che, a sua insaputa, M. Gamelin aveva sottoscritto col generale Kaspczycki un accordo militare nel quale si affermava che "in caso di aggressione tedesca contro la Polonia o in caso di minaccia dei suoi interessi vitali a Danzica che provocasse un'azione armata da parte della Polonia, l'esercito francese avrebbe automaticamente sferrato un'azione delle sue varie forze armate". Bonnet restrinse i termini dell'accordo, condizionando l'entrata in vigore degli accordi militari a quelli diplomatici. Esso indicava comunque le preoccupazioni di Varsavia e la riluttanza franco-britannica ad assumere nuovi impegni.
4. Trattative russo-tedesche. Incontro di Salisburgo (24 maggio-13 agosto 1939). - Nel frattempo i cauti scambî di idee tra Mosca e Berlino non erano andati oltre alle reciproche manifestazioni di buona volontà.
Il 17 aprile, l'ambasciatore sovietico a Berlino aveva suggerita la possibilità di un miglioramento dei rapporti russo-tedeschi; il 5 maggio l'incaricato d'affari dell'URSS ritornava sulla questione della ripresa delle trattative economiche e sottolineava il significato della nomina di Molotov. Il 9 maggio G. Astakhov esprimeva la sua soddisfazione per il mutato tono della stampa tedesca ed il 17 si dichiarava scettico sulla possibilità di un accordo anglo-russo ed ottimista circa il miglioramento dei rapporti tedesco-sovietici. Il 20, lo stesso Molotov affermava a F. W. von der Schulenburg l'opportunità di fare precedere le nuove trattative economiche dalla costruzione di basi politiche. Dieci giorni dopo, a seguito di una conversazione Weizsäcker-Astachov, la Germania decideva di dare inizio al negoziato con la Russia. A tale eventualità Ribbentrop e Göring avevano ripetutamente accennato nei loro colloqui con Mussolini (15 aprile), Attolico (25 aprile) e Ciano (6 maggio). Data la reciproca diffidenza, le caute prese di contatto al riguardo avvenute durante il mese successivo non portarono ad una esauriente ed aperta discussione, cosicché il 29 giugno Hitler decideva di sospendere la trattativa.
Durante la prima metà del mese di giugno la situazione internazionale era apparsa stazionaria: la Gennnania stava studiando e soppesando le varie possibilità prima di prendere una determinazione definitiva. È vero che il 23 maggio, all'indomani cioè della firma del patto d'acciaio, Hitler aveva convocati alla cancelleria del Reich i capi militari per annunciare loro la sua decisione di attaccare la Polonia alla prima occasione per risolvere l'intero problema dei rapporti con la vicina orientale e non solo quelli di Danzica e del corridoio; nello stesso tempo, aveva però precisato di riservarsi la scelta del momento intendendo realizzare preventivamente l'isolamento del governo di Varsavia (di questa riunione il governo fascista non seppe mai niente). Sul finire del mese i preparativi militari germanici andarono gradualmente intensificandosi al punto da togliere qualsiasi dubbio ad osservatori attenti quali gli ambasciatori di Francia e d'Italia a Berlino. Entrambi i diplomatici riferirono pressoché simultaneamente ai loro rispettivi governi richiamando la loro attenzione sulla gravità della situazione che si andava creando e sulla necessità di prendere tempestivamente posizione al fine di dissipare ogni eventuale illusione dei capi nazisti.
Il rapporto di R. Coulondre induceva Bonnet a convocare il 1° luglio il conte J. von Wilczek al Quai d'Orsay per domandargli nuovi chiarimenti sui propositi della Wilhelmstrasse e ribadirgli la decisione della Francia d'intervenire nell'eventualità di un conflitto tedesco-polacco. Il gabinetto Daladier, per non essere colto di sorpresa, aveva inoltre presa la determinazione di prorogare la Camera rinviando la data delle prossime elezioni. Il passo del ministro degli Esteri francese doveva provocare una lunga lettera di risposta di Ribbentrop, in data 13 luglio, nella quale il capo dell'Auswärtiges Amt sosteneva che l'art. 3 della dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre 1938 si riferiva soltanto agli speciali rapporti di amicizia esistenti tra Parigi e Londra e tra Berlino e Roma. Al che Bonnet replicò il 21 luglio negando di avere in alcun momento lasciato credere ai Tedeschi di volersi disinteressare dell'Europa orientale.
Le comunicazioni di Attolico inducevano Ciano ad inviare il 2 luglio una lettera all'ambasciatore a Berlino per autorizzarlo a chiedere direttamente a Ribbentrop esaurienti informazioni sui suoi propositi per adottare tempestivamente i provvedimenti del caso, anche più gravi. Attolico ebbe un lungo e drammatico colloquio con Ribbentrop nella villa di questo presso Salisburgo.
Ribbentrop, pur negando una parte dei suoi propositi aggressivi, affermò tuttavia in tale occasione di ritenere improbabile un conflitto generale in quanto né la Francia, né la Gran Bretagna sarebbero intervenute in una guerra tedesco-polacca. L'URSS non si sarebbe associata agli stati capitalistici, mentre la propaganda, personalmente curata da lui stesso negli Stati Uniti, avrebbe indotte le masse popolari a reagire ostilmente contro qualsiasi idea d'intervento. Attolico controbatté tali affermazioni punto per punto e concluse il suo rapporto insistendo sulla necessità di un incontro diretto tra i due ministri degli Esteri. Ciano si dichiarò d'accordo, ma, evidentemente ancora lontano dal rendersi conto dell'urgenza della situazione, propose quale data i primi di settembre.
Il 22 luglio 1939 il consigliere economico del Reich, H. Wohltat, trovandosi a Londra quale delegato per una conferenza per la pesca della balena, aveva dei colloqui privi di contenuto politico con il segretario di stato per il commercio R. S. Hudson. Questa notizia, subito diffusa dalla stampa internazionale, doveva avere qualche ripercussione soprattutto a Mosca. Il giorno stesso i giornali sovietici pubblicavano infatti un comunicato relativo all'inizio di conversazioni economiche russo-tedesche. Otto giorni dopo le missioni franco-britanniche intraprendevano a Mosca il previsto negoziato per la convenzione militare.
A Berlino era intanto avvenuto che alcuni elementi tedeschi, i quali cercavano di lottare contro i piani di guerra di Ribbentrop e di Hitler, si erano aperti con Attolico rivelandogli le vere intenzioni dei due capi nazisti. Unica speranza era in un incontro tra Mussolini ed Hitler da tenersi al Brennero il 4 agosto. Forse Mussolini, che il 3 giugno aveva inviato a Berlino il gen. Cavallero con un memoriale per il cancelliere nel quale ribadiva l'intesa di non fare guerre per almeno tre anni e continuava a ritenere possibile una soluzione pacifica della questione di Danzica e del corridoio, sarebbe riuscito con il suo ascendente a persuadere Hitler a non precipitarsi in un conflitto. Attolico riferì dunque a Roma in termini di eccezionale gravità appoggiando l'idea dell'incontro al Brennero. Il suo rapporto giunse nella capitale italiana mentre Ciano si trovava in Spagna in visita ufficiale presso Franco (10-18 luglio) e si dovette attendere il suo ritorno prima di prendere una decisione. Il 22 luglio Mussolini consegnò personalmente al consigliere dell'ambasciata italiana, Magistrati, le sue istruzioni favorevoli all'incontro purché Hitler approvasse preventivamente l'idea di una soluzione pacifica da sanzionarsi mediante una conferenza internazionale. Qualora il cancelliere fosse stato consenziente, il convegno avrebbe avuto luogo; in caso contrario sarebbe stato preferibile rinunciarvi. Le istruzioni vennero eseguite da Attolico e Magistrati il 26 luglio, ma ebbero esito negativo. Tramontata l'idea della conferenza, cadde anche il progettato incontro. Ribbentrop, tuttavia, confermò in tale occasione il proposito di evitare il conflitto per un ancor lungo periodo di tempo. L'ambasciatore d'Italia a Berlino non si lasciò peraltro trarre in inganno da tali assicurazioni e continuò ad insistere vivacemente nei suoi rapporti circa il pericolo immediato di un conflitto. Questa insistenza non concordava con la situazione quale era apparsa fino a poco prima e fu inizialmente giudicata esagerata. Poi si fece strada il timore che Attolico fosse in possesso di elementi che Roma ignorava.
In realtà quei primi giorni di agosto del 1939 avevano visto peggiorare rapidamente la situazione. Il giorno 3 la Wilhelmstrasse aveva inviate a Mosca nuove istruzioni per iniziare con l'URSS discussioni più concrete. Il 4, Molotov, abbandonato il precedente atteggiamento di riserva, esprimeva a Schulenburg le sue speranze in un miglioramento dei rapporti russo-tedeschi pur affermando che le prove del mutato atteggiamento germanico erano insufficienti.
Nello stesso tempo, a Danzica, 4 posti di frontiera polacchi venivano informati che, a partire dal giorno 6, sarebbe stato loro impedito con la forza di continuare nell'esercizio delle loro funzioni. La notizia giunse a Varsavia nel pomeriggio del 4 e subito Beck predispose una fermissima nota di risposta, presentata al presidente del senato di Danzica, A. Greiser, all'una antimeridiana del 5, in cui si chiedeva per le ore 18 la revoca della disposizione che violava i diritti fondamentali della Polonia. In caso contrario sarebbero state adottate delle rappresaglie, mentre gl'ispettori polacchi di dogana avrebbero rivestite le uniformi militari e sarebbero stati armati: ogni interferenza nel loro servizio sarebbe stata considerata come un atto di violenza contro funzionarî dello stato polacco nell'esercizio delle loro funzioni. La risposta di Greiser attribuì il fatto ad un equivoco e negò che l'ordine incriminato fosse stato dato. Questo episodio venne posto in evidenza dalla stampa polacca quale prova della debolezza di Hitler, il che accrebbe l'irritazione del cancelliere. Il giorno 7, infatti, il Gauleiter di Danzica, A. Forster, venne convocato a Berchtesgaden per sentirsi dire che il Führer aveva raggiunti i limiti della propria pazienza. Per il 10 era prevista a Danzica una grande dimostrazione di protesta contro le minacce polacche. Il giorno 9, E. von Weizsäcker leggeva all'incaricato d'affari polacco, principe S. Lubomirski, una dichiarazione ai termini della quale si affermava che un altro ultimatum polacco a Danzica o qualsiasi minaccia di rappresaglie avrebbero portato ad un aggravamento delle relazioni tedesco-polacche.
Il 10 pomeriggio, l'alto commissario C. Burckhardt era convocato per il giorno dopo a Berchtesgaden. Qui il cancelliere, dopo aver criticato aspramente la nota polacca, manifestò la decisione irrevocabile di non tollerare ulteriori provocazioni da parte del governo di Varsavia. Al primo incidente egli avrebbe liquidata la Polonia in tre settimane. Pur sapendo che ciò avrebbe potuto portare ad un conflitto generale, preferiva dirigerlo a 50 piuttosto che a 60 anni. L' Italia ed il Giappone sarebbero stati al suo fianco. Tuttavia egli non voleva la guerra. Alla Francia ed alla Gran Bretagna chiedeva soltanto grano e legna. Più precisamente, per il grano, voleva mano libera verso Est; per la legna, la restituzione di una colonia ex-tedesca. Egli era, a questo proposito, disposto a conversare con calma con Londra e Parigi, ma non ammetteva minacce d'alcun genere.
Il giorno stesso giungeva a Salisburgo il conte Ciano per effettuare quegli scambî diretti d'idee sulla situazione, sulla necessità ed urgenza dei quali Attolico insisteva ormai sempre di più. Il ministro degli Esteri fascista era partito da Roma munito di precise istruzioni del capo del governo in senso assolutamente contrario alla guerra. Mussolini aveva addirittura preparato il testo di un comunicato da diramare al termine dell'incontro, in cui concludeva con l'accenno a negoziati internazionali per risolvere le questioni che turbavano tanto pericolosamente la vita europea. I colloquî di Salisburgo e di Berchtesgaden dell'11, 12 e 13 agosto dovevano peraltro togliere ogni illusione circa i propositi di Hitler e di Ribbentrop. Entrambi intendevano attaccare a distanza di pochi giorni la Polonia avendo in mente non soltanto le rivendicazioni su Danzica e il corridoio. Essi erano convinti di poter riuscire a localizzare il conflitto, ma non temevano le peggiori eventualità. Ciano cercò di controbattere i loro argomenti, ma invano. Tanto Hitler quanto Ribbentrop erano convinti che la Francia e l'Inghilterra non sarebbero scese in guerra: Ciano sostenne l'opinione opposta. Il ministro degli Esteri fascista riservò la decisione del suo governo, che poche settimane prima aveva concluso l'alleanza in base agli affidamenti datigli sulla tregua di non meno di tre anni e che fino a quel momento era stato tenuto all'oscuro delle reali intenzioni dei Tedeschi. Nel corso del secondo colloquio di Berchtesgaden era giunto improvvisamente a Ribbentrop un dispaccio che si disse a Ciano contenere la richiesta di Mosca dell'invio di un plenipotenziario tedesco per la stipulazione di un accordo russo-germanico. In realtà era una manovra per impressionare Ciano, il quale tuttavia partì senza neppure essersi accordato sul testo del comunicato da diramare.
Col ritorno di Ciano a Roma, aveva inizio a Palazzo Venezia una serrata battaglia per precisare la linea di condotta da tenersi nei confronti della Germania. Questa battaglia vide Mussolini dibattersi tra il risentimento contro i Tedeschi, la coscienza dell'impossibilità materiale di intervenire in guerra, il timore di esser considerato, seppure a torto, traditore, l'avvilimento di restare inerte dopo aver predicato per tanto tempo una politica bellicista ed il dubbio che Hitler avesse ragione nelle sue previsioni ed egli non potesse partecipare ai frutti della vittoria.
Il 14 agosto, cioè il giorno dopo la partenza di Ciano da Berchtesgaden, Ribbentrop faceva unilateralmente pubblicare dalla stampa del Reich un comunicato che affermava l'identità di vedute dei due ministri dell'Asse, e telegrafava a Schulenburg essere possibile arrivare ad un'intesa immediata con l'URSS su tutte le questioni dal Mar Baltico ai Balcani. A tale fine egli si dichiarava pronto a recarsi a Mosca. Il 15, von Weizsäcker aveva con Coulondre ed Henderson due lunghi colloquî che lasciavano in entrambi gli ambasciatori l'impressione che le cose stessero per precipitare.
Nello stesso tempo giungeva notizia a Parigi della richiesta avanzata dal maresc. Vorošilov alla delegazione militare franco-britannica circa la necessità di ottenere in via preliminare il consenso dei governi di Varsavia e di Bucarest al transito delle truppe sovietiche sul loro territorio. Fino a che tale consenso non fosse stato accordato la delegazione sovietica non avrebbe potuto raccomandare al proprio governo d'impegnarsi in una impresa così chiaramente condannata all'insuccesso. Questa richiesta doveva dare vita ad un drammatico negoziato con la Polonia nel corso del quale, fino al 21 agosto, Beck ed i suoi collaboratori rifiutarono d'impegnarsi nel senso desiderato da Mosca. Bonnet escogitò allora (22 agosto) una formula in base alla quale la Francia dava, in luogo e per conto della Polonia, l'assicurazione che le truppe sovietiche avrebbero potuto passare per Vilna, ma il gen. Doumenc si sentì replicare da Vorošilov che la Polonia era uno stato sovrano e che la Francia non poteva assumere impegni in suo nome.
5. L'accordo russo-tedesco. L'inizio della seconda Guerra mondiale (23 agosto-3 settembre 1939). - Mentre il negoziato franco-britannico con Varsavia urtava contro la tenace resistenza polacca, le trattative russo-tedesche progredivano rapidamente. Il 15 agosto Molotov si dichiarava ormai convinto della sincerità tedesca, ma affermava la necessità di far precedere la visita di Ribbentrop a Mosca da un'adeguata preparazione e cercava di conoscere le idee di Berlino sulle questioni territoriali ed il patto di non aggressione. Il giorn0 successivo il ministro degli Esteri del Reich replicava dichiarando che il suo governo era pronto a concludere un patto di non aggressione, a garantire congiuntamente gli Stati baltici e ad adoperarsi per migliorare i rapporti con l'URSS. Nello stesso tempo egli sottolineava la necessità di procedere ad una stipulazione immediata. Ribbentrop era pertanto disposto a recarsi a Mosca con pieni poteri di Hitler in qualsiasi momento, a partire dal 18 agosto. Questo passo venne effettuato il 17 agosto, ma Molotov non modificò il proprio punto di vista e confermò in tale occasione il desiderio di adeguata preparazione per il viaggio del capo dell'Auswärtiges Amt e di fare precedere l'accordo politico da quello economico. Ciò induceva Ribbentrop a insistere sull'urgenza dell'incontro; Schulenburg era intanto invitato a leggere a Molotov il testo del progetto tedesco del patto di non aggressione e ad affermare che Ribbentrop avrebbe ricevuto i pieni poteri per sottoscrivere anche un protocollo che delimitasse le rispettive sfere d'influenza.
Pure il 18 agosto aveva luogo un drammatico colloquio tra Ribbentrop e Attolico. Questi proveniva da Roma latore di precise istruzioni di Mussolini per richiamare l'attenzione del governo tedesco sulle incalcolabili conseguenze di ciò che era sul punto di fare, adoperandosi nel modo migliore per evitare la guerra, senza però definire irrevocabilmente le intenzioni dell'Italia. Il contrasto fu violento, ma non spostò le posizioni reciproche. Ribbentrop ripeté che il conflitto sarebbe stato localizzato. Attolico si dichiarò di opinione contraria ed offrì la mediazione italiana per risolvere pacificamente la questione polacca. Ribbentrop rifiutò e l'ambasciatore ripartì per Roma riservando ogni decisione del suo governo. Evidentemente il ministro tedesco fondava la sua azione sul colpo che stava maturando a Mosca e di cui sopravalutava la portata. Egli non aveva più informato Roma e non teneva conto adeguato dell'irremovibile determinazione britannica. Pertanto era deciso ad andare fino in fondo nella partita di poker a base di rilanci nella quale si era ingaggiato senza curarsi degli obblighi impostigli dal trattato d'alleanza con l'Italia. Il 19 agosto Molotov, sembra dietro intervento personale di Stalin, dava improvvisamente il suo consenso alla visita di Ribbentrop per il giorno 26 o 27 e consegnava a Schulenburg il testo del progetto russo del patto di non aggressione. Il 20, in una lettera diretta a Stalin, Hitler accettava tale redazione ed esprimeva il convincimento che l'accordo sul protocollo suppletivo avrebbe potuto avvenire rapidamente solo se un ministro responsabile tedesco si fosse recato a Mosca. Data l'imminenza della guerra, Stalin avrebbe dovuto ricevere Ribbentrop non dopo il 23 agosto.
Quel pomeriggio Mussolini aveva avuto una nuova crisi di dubbio ed intendeva pronunciarsi a favore di un intervento al fianco della Germania. Ciano e Attolico, a fatica, erano riusciti a rinviare all'indomani mattina la decisione, richiamandosi ad un passo britannico in favore di un intervento pacificatore a Berlino. La mattina successiva Ciano poté persuadere il suocero ad approvare l'idea di un suo viaggio immediato a Salisburgo per prospettare con fermezza al collega tedesco il punto di vista del governo fascista, che intendeva rivendicare i proprî diritti fissati nel patto di alleanza. A tale scopo Mussolini aveva predisposto un nuovo appunto nel quale erano contemplate quattro eventualità di cui una sola era veramente fondamentale: quella, cioè, secondo cui l'Italia non sarebbe intervenuta in un conflitto provocato da un attacco alla Polonia. Per tutta la giornata del 21 agosto Ciano cercò di mettersi in contatto telefonico con il ministro degli Esteri del Reich, ma, per l'evidente malvolere di Ribbentrop, non poté parlargli che nel tardo pomeriggio. Ribbentrop dichiarò che non poteva dare alcuna risposta poiché attendeva un importante messaggio da Mosca e si riservò di ritelefonare in serata. Alle 22.30 egli infatti annunciò al collega la sua partenza per Mosca per sottoscrivere un patto politico. In queste condizioni l'incontro avrebbe potuto avere luogo ad Innsbruck e non più al Brennero. Fu deciso di rinviare il convegno al ritorno di Ribbentrop.
La notizia dell'imminente conclusione di un accordo russo-germanico, fu causa dovunque di notevole emozione, ma, sebbene inizialmente a Roma ed a Parigi l'impressione fosse veramente notevole, al punto da provocare un certo smarrimento, tutto sommato l'evento finì con lo spostare di poco le posizioni rispettive. Il 22 agosto tutte le cancellerie ebbero un gran da fare. Hitler firmò i pieni poteri, diede le istruzioni verbali a Ribbentrop, autorizzandolo a cedere persino sulla questione degli Stretti e convocò tutti i capi militati, cui, dopo avere illustrata la situazione politica ribadendo l'opinione del non intervento franco-inglese e sottolineando l'importanza della scontata collaborazione italiana, preannunciò l'attacco alla Polonia per il 26 agosto. Il governo britannico, riunito in seduta straordinaria, decise di mantenere immutato il primitivo atteggiamento ed approvò l'invio di una lettera di Chamberlain a Hitler nella quale si confermava la decisione d'intervenire in caso di aggressione tedesca e si insisteva sulla opportunità di conversazioni dirette tra la Germania e la Polonia. La Francia si rivolse invece con drammatici accenti a Varsavia per ottenere da Beck l'attesa concessione al transito delle truppe sovietiche, mentre Ciano, dopo qualche ora di esaltazione in cui sognò di partecipare ad un eventuale bottino, ritornò all'idea di una pacifica mediazione italiana basata sulla restituzione preventiva di Danzica al Reich. Il governo polacco non diede invece segni di speciale nervosismo: il suo ambasciatore a Mosca giunse al punto di qualificare la mossa di Berlino come la prova di una sua debolezza. Pur tuttavia, sia pure con molte riserve mentali, il 23 pomeriggio Beck autorizzava il governo francese a fare dichiarare dal suo delegato militare a Mosca "di avere acquistata la certezza che in caso di azione comune contro un'aggressione tedesca, una collaborazione tra la Polonia e l'URSS, in condizioni tecniche da deteminare, non era esclusa".
Il 23 agosto, alle 11 antimeridiane, l'alto comando della Wehrmacht fissava per le 4,40 del 26 l'inizio dell'attacco alla Polonia. Alle 13 Henderson consegnò a Hitler la lettera di Chamberlain. Il cancelliere ripeté allora le consuete accuse contro il governo di Varsavia che aveva respinte le sue magnanime offerte e praticava una politica di terrorismo. La Gran Bretagna aveva frustrate le sue intenzioni di collaborazione ed incoraggiata la cieca politica della Polonia. Hitler era fermamente deciso ad attaccare la Polonia qualora altri Tedeschi fossero stati maltrattati. Egli non intendeva attaccare la Francia e l'Inghilterra, ma avrebbe risposto con la mobilitazione delle forze tedesche qualora Londra e Parigi l'avessero preceduto. Al termine di un secondo colloquio con l'ambasciatore, il cancelliere gli consegnava una lettera di risposta a Chamberlain ispirata a tali concetti. Contemporaneamente, a Parigi, Bonnet faceva convocare d'urgenza il consiglio di guerra nell'intento di prospettare l'eventualità di rivedere la linea di condotta seguita fino a quel momento, spingendo cioè Varsavia ad un compromesso in considerazione del patto russo-tedesco che modificava totalmente l'equilibrio delle forze. Ai quesiti posti dal ministro degli Esteri francese col segreto intento di fare macchina indietro, Gamelin rispose in termini del tutto ottimistici cosicché il consiglio di guerra decideva di restare fermo sulle precedenti posizioni.
Pure il 23 agosto, Ribbentrop conduceva a Mosca a ritmo accelerato le trattative con Molotov e con Stalin. Nel corso di esse non vi furono particolari difficoltà ed il ministro degli Esteri del Reich dovette richiedere l'autorizzazione speciale di Hitler per cedere su un punto solo: l'inclusione dei porti di Liepāja e di Ventspils nella sfera d'influenza sovietica. Nella notte tra il 23 ed il 24 Molotov e Ribbentrop sottoscrivevano pertanto un patto pubblico di non aggressione - datato non si sa perché col giorno 23 - che impegnava inoltre i due governi a non aderire a nessuna combinazione ostile all'altra parte ed a consultarsi su tutte le questioni d'interesse comune. A tale patto era allegato un protocollo segreto in base al quale il confine settentrionale della Lituania avrebbe costituito la linea di divisione delle sfere d'influenza tedesca e sovietica. Tale divisione, sul territorio polacco, sarebbe stata determinata dai fiumi Narew, Vistola e San. Un ulteriore accordo amichevole avrebbe stabilito se vi doveva essere una Polonia indipendente. La Germania dichiarava inoltre il suo disinteressamento politico sui territorî dell'Europa sud-orientale, mentre l'URSS affermava i suoi interessi sulla Bessarabia.
Intanto a Danzica, dietro ordine di Berlino, il senato approvava un decreto ai termini del quale il Gauleiter Forster era nominato capo dello stato. La reazione di Varsavia, dietro gl'insistenti consigli di Bonnet, restò sul terreno puramente diplomatico e tale sarebbe rimasta, per comune intesa, anche nell'eventualità della decisione di un Anschluss di Danzica al Reich da parte del senato della città libera, che non fosse stata seguita da un'occupazione militare tedesca. Comunque, il 24 pomeriggio, Lipski ricevette istruzioni dal suo governo di incontrarsi con Weizsäcker per ricordargli, qualora il segretario di stato della Wilhelmstrasse non avesse assunto un atteggiamento provocatorio, che la Polonia era sempre pronta ad intraprendere negoziati in condizioni normali. Disgraziatamente, Weizsäcker era in quel momento a Berchtesgaden e l'ambasciatore polacco non doveva più avere incontri alla Wilhelmstrasse fino alla notte del 31 agosto. Quel giorno, tuttavia, Lipski vide Göring che aveva proprio allora inviato a Londra il suo amico svedese Birger Dahlerus per cercare di staccare la Gran Bretagna dalla Polonia, e, pur confermandogli la sua disposizione a collaborare con Hitler per trovare una soluzione, non pose innanzi nessuna idea concreta e costruttiva. Pure il 24 il parlamento britannico ascoltava ferme dichiarazioni di Chamberlain e di Halifax dirette a confermare l'irremovibile decisione del governo inglese. Alla loro volta Roosevelt e il Sommo Pontefice rivolgevano ai contendenti nuovi appelli per una soluzione amichevole della crisi.
La giornata del 25 agosto, che avrebbe dovuto essere l'ultima di pace, vide una successione d'importantissimi eventi. Nelle prime ore del pomeriggio, a Londra veniva sottoscritto il trattato di alleanza anglo-polacco. Un protocollo segreto aggiuntivo precisava che la garanzia britannica era data solo contro la Germania, mentre i territorî e gli stati su cui un'eventuale azione tedesca avrebbe originato il casus foederis includevano la città libera di Danzica, il Belgio, l'Olanda e la Lituania. Questa mossa, conosciuta a Berlino solo nel tardo pomeriggio, doveva dissipare gran parte delle ultime illusioni di Ribbentrop e di Hitler, i quali si preoccuparono per la prima volta dell'eventualità di dover combattere anche ad occidente. Ciò non era nei loro piani, e non erano ancora stati compiuti adeguati preparativi militari. Va notato che poco dopo mezzogiorno Henderson era stato improvvisamente convocato per le 13,30 da Hitler, il quale, riguardo agli avvenimenti londinesi, ribadì la sua volontà di risolvere immediatamente il problema di Danzica e del corridoio, assicurò di essere irrevocabilmente deciso a non combattere l'URSS, offrì di garantire l'esistenza dell'Impero britannico, di accettare una ragionevole tregua degli armamenti e di riconoscere le speciali obbligazioni di Londra verso Parigi, purché altrettanto fosse fatto nei confronti degl'impegni tedeschi verso l'Italia, qualora le sue richieste coloniali, limitate e non urgenti, fossero state accolte. Che cosa avesse esattamente in mente allora Hitler con questa sua "ultima" e "storica" offerta, di cui al governo fascista non venne data comunicazione alcuna, non è ancora oggi ben chiaro. Probabilmente la necessità di guadagnare tempo per compiere gli ormai indispensabili preparativi militari a occidente e la speranza di arrestare all'ultimo momento l'azione britannica debbono avere avuto una parte preminente.
Nello stesso tempo Mussolini, il quale in mattinata, dopo essere stato con grande fatica persuaso da Ciano ad approvare una comunicazione dilatoria a Hitler, aveva poco dopo mutato idea e pensava d'intervenire subito, riceveva alle 14 una lunga lettera del cancelliere tedesco, in cui, rievocati i termini della situazione, si annunciava imminente l'azione alla frontiera polacca e si concludeva chiedendo la piena comprensione italiana. Questa espressione finale offrì lo spunto per persuadere Mussolini a replicare che il governo fascista non era pronto per marciare, ma che lo avrebbe fatto se fosse stato rifornito di tutti i mezzi bellici e delle materie prime di cui abbisognava. La risposta venne telefonata immediatamente ad Attolico che la portò personalmente a Hitler. Tale comunicazione scosse il cancelliere che, pochi istanti prima, aveva confermato l'ordine di attacco alla Polonia. Alle 17,30 il Führer riceveva Coulondre e lo incaricava di comunicare a Daladier la sua decisione di non attaccare la Francia. Tuttavia, per quanto penoso, sarebbe andato fino in fondo se il governo di Parigi fosse intervenuto in guerra a causa della Polonia. Alle 17,35 perveniva a Berlino la notizia della firma del trattato anglo-polacco. Hitler ne venne a conoscenza poco dopo le 18, ed avendo ricevuto quasi contemporaneamente il messaggio di Mussolini, subito ordinò di revocare la decisione di attaccare la Polonia. In serata perveniva a Roma una nuova comunicazione del Führer in cui si domandava al capo del governo fascista di presentare immediatamente un elenco dei fabbisogni italiani per poter giudicare se ed in quale misura la Germania sarebbe stata in grado di soddisfarli. Nello stesso tempo veniva telegrafata a Varsavia un'idea di Coulondre tendente a risolvere il contrasto tedesco-polacco mediante uno scambio di popolazioni.
Il 26 mattina Henderson partiva in aereo alla volta di Londra latore delle proposte di Hitler il quale nella notte conferiva pure con Dahlerus allo stesso riguardo. Il governo britannico, che doveva ricevere nel frattempo dal suddetto emissario svedese ulteriori comunicazioni conciliative a nome di Göring, dedicò all'esame della questione tutto il pomeriggio ed il giorno successivo. Sempre nella prima mattinata del 26, Daladier redigeva, alla presenza di Bonnet e di A. Léger, un patetico appello al Führer, che Coulondre rimetteva personalmente in serata al cancelliere. Il colloquio che ne seguì doveva peraltro confermare la determinazione del Führer di riavere immediatamente Danzica ed il corridoio. Poco dopo mezzogiorno Attolico era stato telefonicamente incaricato di trasmettere ad Hitler il messaggio di Mussolini contenente l'elenco dei materiali richiesti. L'ambasciatore eseguì immediatamente il passo, ma, in linea con l'esagerazione nelle cifre cui si era ricorsi a Roma, di sua iniziativa, affermò che la consegna avrebbe dovuto avere luogo prima dell'inizio delle ostilità. La risposta del cancelliere venne telefonata a Roma alle 15,08. In essa egli si dichiarava nell'impossibilità di soddisfare le richieste relative agli olî minerali, al rame, al nichel ed al carburante, e meno che mai era in grado di effettuare la consegna immediata. In tali condizioni il Führer affermava di rendersi conto della situazione in cui Mussolini si era venuto a trovare e lo pregava soltanto di impegnare le forze anglo-francesi con una propaganda attiva e con appropriate dimostrazioni militari. Detto passo della risposta del cancelliere doveva risultare decisivo per le determinazioni finali del capo del governo fascista. Questi replicava a Hitler poco prima delle 19 affermando che, nella prima fase del conflitto, avrebbe tenuto l'atteggiamento consigliatogli dal Führer ed insisteva ancora sulla opportunità di una soluzione politica che desse piena soddisfazione alla Germania. A tale comunicazione il cancelliere replicava nella notte tra il 26 ed il 27 agosto prendendo atto della definitiva decisione di Mussolini e raccomandandogli il più assoluto segreto su di essa almeno fino allo scoppio delle ostilità.
Il 27 agosto Ciano era messo al corrente dall'ambasciatore britannico, sir L. Percy Loraine, delle offerte tedesche, la cui esistenza era ancora tenuta celata dalla Wilhelmstrasse ad Attolico. Ciano consigliò di non respingerle e decise di prendere immediatamente contatto telefonico con lord Halifax. Contemporaneamente Mussolini rispondeva a Hitler dandogli piene assicurazioni circa talune richieste fattegli in mattinata per l'invio di lavoratori italiani in Germania. Nel pomeriggio Ribbentrop consegnava a Coulondre la risposta di Hitler a Daladier. Essa respingeva ogni proposta conciliativa. Durante tutta la giornata erano intanto proseguite a Londra le discussíoni intorno alla replica da fare alle offerte di Hitler del 25 agosto. Nel corso di esse i governi di Varsavia e di Parigi vennero interpellati, mentre Dalherus faceva la spola tra Londra e Berlino, dove Göring lo autorizzava a dilazionare ancora di un giorno la consegna della risposta britannica il cui contenuto sarebbe stato comunicato preventivamente in via confidenziale al Führer, il quale si sarebbe mostrato soddisfatto.
La risposta del governo britannico (il 28 von Weizsäcker negava ancora ad Attolico l'esistenza di una proposta scritta di Hitler) venne consegnata al cancelliere alle 22,30 del 28 agosto da Henderson, il quale aveva lasciata Londra circa 6 ore prima. Il documento affermava che l'Inghilterra era pronta ad una intesa con la Germania a condizione che questa avesse preventivamente regolato il suo contrasto con la Polonia. Il pericolo di una guerra imminente avrebbe potuto essere eliminato attraverso immediati negoziati diretti tra Berlino e Varsavia. L'esistenza economica e politica dello stato polacco avrebbe dovuto essere internazionalmente garantita. In caso di conflitto, tuttavia, Londra avrebbe fatto onore ai proprî impegni. Ne seguì una lunga discussione nel corso della quale Henderson illustrò diffusamente il punto di vista del suo governo, senza però risultati apprezzabili. Hitler promise tuttavia di esaminare con calma il documento e di dare la sua risposta l'indomani. Nel frattempo i sovrani del Belgio e dell'Olanda inviarono a Parigi, Londra, Varsavia e Berlino una nuova offerta di mediazione subito accettata dalle prime tre capitali, ma declinata dalla quarta.
Venuto a conoscenza, tramite Percy Loraine, della risposta britannica ed avendo avuta il 29 agosto diretta telefonica notizia da Halifax sull'andamento non del tutto negativo del primo colloquio Hitler-Henderson, Ciano otteneva che Mussolini desse immediate istruzioni ad Attolico perché portasse un suo messaggio al Führer affermante che, a suo avviso, le proposte inglesi contenevano le premesse e gli elementi per giungere ad una soluzione favorevole alla Germania in tutti i problemi che la interessavano. In mattinata, Henderson, per mezso di Dalherus, aveva tentato di ottenere che Göring esercitasse pressioni sul cancelliere e su Ribbentrop affinché l'attesa risposta tedesca fosse ispirata a criterî concilianti. Nel pomeriggio, a Varsavia, gli ambasciatori di Francia e di Gran Bretagna, nell'intento di non compromettere le ultime possibilità di pace, erano riusciti a persuadere Beck a rinviare di 24 ore l'annuncio della mobilitazione generale polacca. Henderson veniva ricevuto alle 19,15 dal cancelliere del Reich per avere la risposta alle controproposte britanniche. L'incontro fu aspro e drammatico. Comunque, dopo di avere rinnovata la consueta polemica sulle responsabilità polacche, sulle violenze subìte dai sudditi tedeschi e sull'influenza negativa esercitata dalla garanzia britannica sull'atteggiamento del governo di Varsavia, la nota di Hitler concludeva ammettendo una garanzia alla Polonia alla quale partecipasse pure l'URSS e dichiarando che il governo tedesco, il quale non aveva mai contemplato di attentare agli interessi vitali polacchi o di discutere l'esistenza di una Polonia indipendente, accettava i buoni uffici britannici nell'assicurare l'invio a Berlino di un emissario polacco munito di pieni poteri. La Germania contava sull'arrivo di detto emissario entro il 30 agosto. Ad esso si sarebbero dovute subito sottoporre proposte per una soluzione accettabile della quale sarebbe stato opportuno dar notizia preventiva al governo britannico. Subito dopo Attolico, latore del messaggio conciliante di Mussolini, era ricevuto da Hitler, ma lo trovava nettamente pessimista circa la possibilità dell'arrivo del plenipotenziario polacco.
Appena fu possesso della risposta del Führer il Foreign Office ed il Quai d'Orsay la trasmisero a Varsavia nelle prime ore del 30 agosto. In tale trasmissione le due potenze dovevano tuttavia assumere un atteggiamento diverso. Infatti, mentre Bonnet, pur nconoscendo che la forma impiegata dal cancelliere era alquanto sgradevole, sottolineava l'importanza dell'accettazione di una conversazione diretta alla quale la Germania si era fino a quel momento sottratta ed affermava essere difficile opporvi un brutale rifiuto, Halifax telegrafò di "non potere consigliare al governo polacco di piegarsi a tale procedura ch'era del tutto irragionevole". Nel corso della giornata ebbero luogo altri scambî di idee tra Londra e Varsavia sul tenore della risposta che il governo britannico si proponeva di dare alla nota di Hitler e sulle misure militari da adottare. A mezzogiorno il governo polacco proclamava la mobilitazione generale, mentre Beck, pur escludendo la possibilità di inviare entro il termine indicato un plenipotenziario a Berlino che avrebbe rievocato troppo i precedenti di Hacha e di Schuschnigg, prendeva in considerazione un incontro tedesco-polacco in Italia.
Alla mezzanotte del 30 agosto Henderson era ricevuto da Ribbentrop cui consegnava la risposta di Londra, che, pur essendo conciliante nella forma, affermava che le proposte che la Germania intendeva presentare al delegato polacco avrebbero dovuto essere esaminate in rapporto alle condizioni essenziali prospettate dal governo britannico e dichiarava che la necessaria ripresa dei contatti diretti tedesco-polacchi non avrebbe potuto avvenire nella giornata. Questa comunicazione provocò una violenta reazione da parte del ministro degli Affari Esteri del Reich, il quale, dopo di avere rinnovata la consueta accusa di provocazione alla Polonia e fatto un tragico quadro delle sofferenze tedesche e degl'incidenti continuamente rinnovantisi, lesse rapidamente le condizioni che avrebbe sottoposte al plenipotenziario di Varsavia ove questi si fosse tempestivamente presentato. Dette condizioni che, a quanto sembra, erano state dettate personalmente da Hitler, prevedevano: il ritorno della città libera di Danzica al Reich, un plebiscito nel corridoio sotto il controllo della Francia, Gran Bretagna, Italia ed URSS, la costruzione di una zona di traffico extra-territoriale attraverso il corridoio in favore della potenza soccombente, uno scambio di popolazioni nell'eventualità che il corridoio passasse alla Germania e il deferimento ad una commissione internazionale di inchiesta delle lamentele relative al trattamento delle minoranze, cui avrebbero dovuto, comunque, essere assicurate speciali garanzie. Terminata la lettura del documento, Ribbentrop si rifiutò di darne copia all'ambasciatore allegando come pretesto il mancato arrivo del plenipotenziario polacco. La polemica tra i due interlocutori toccò allora il vertice dell'asprezza. Il ministro degli Esteri del Reich respinse il suggerimento di Henderson diretto a comunicare a Lipski il testo delle proposte tedesche, ma lasciò comprendere che, se l'iniziativa fosse partita dall'ambasciatore polacco, la cosa avrebbe forse potuto mutare aspetto.
Il 31 agosto, l'ultimo giorno di pace, vide un drammatico susseguirsi di eventi. Poco dopo di avere lasciata la Wilhelmstrasse, Henderson, tramite il consigliere della sua ambasciata sir G. A. OgilvieForbes, poté ricevere da Dahlerus precisi ragguagli sulle proposte tedesche. Allora telefonò immediatamente a Lipski facendogli un resoconto volutamente moderato del suo colloquio con Ribbentrop, indicandogli i due punti principali delle condizioni germaniche, definite non irragionevoli, raccomandando un incontro immediato tra i marescialli E. Smigly-Rydz e Göring e suggerendo a Lipski di visitare Ribbentrop per ritirare il documento. L'ambasciatore polacco richiese istruzioni al proprio governo e, data l'incertezza delle comunicazioni, inviò subito a Varsavia il consigliere S. Lubomirski. Qualche ora dopo Henderson cercava di esercitare nuove pressioni su Lipski tramite Coulondre, Attolico e Dahlerus che dettava al primo segretario dell'ambasciata polacca il testo delle proposte di Hitler subito dopo ritrasmesse a Varsavia. L'ambasciatore francese riferì immediatamente a Parigi, donde si agì telefonicamente a Varsavia e a Londra per indurre Beck ad iniziare le trattative dirette con Berlino. Attolico comunicò a Roma la gravità della situazione da lui considerata ormai come disperata. Ciano, d'intesa con Mussolini telefonò a sua volta ad Halifax per dirgli che avrebbe potuto intervenire su Hitler solo se latore di un grosso pegno: Danzica. Simile comunicazione fece, poco dopo mezzogiorno, François-Poncet a Bonnet. La risposta di Londra fu tuttavia negativa. Alle 12,40 perveniva a Lipski un telegramma di Beck contenente le attese istruzioni secondo le quali l'ambasciatore non era autorizzato ad iniziare discussioni concrete o a ricevere e discutere proposte, ma a trasmettere a Varsavia, in attesa di istruzioni, le condizioni che eventualmente gli fossero presentate. Il governo polacco stava prendendo in favorevole considerazione il suggerimento britannico per una ripresa delle trattative dirette tedesco-polacche ed avrebbe inviata la sua risposta formale a Londra nelle prossime ore. Esattamente alla stessa ora - 12,40 - l'alto comando della Wehrmacht, che poco prima doveva avere già preso visione, a mezzo dei servizî di decrittazione, delle suddette istruzioni di Beck, fissava per le 4,45 del 1° settembre il momento iniziale dell'attacco alla Polonia.
Alle 13 Lipski chiese un'udienza a Ribbentrop. Due ore dopo Weizsäcker gli telefonò per domandargli se intendeva presentarsi quale plenipotenziario polacco. Lipski rispose che agiva in veste di ambasciatore per fare una comunicazione del proprio governo. Weizsäcker disse allora che avrebbe riferito al proprio ministro. Alle 18,15 l'ambasciatore polacco era invitato a recarsi immediatamente alla Wilhelmstrasse. Nel frattempo - alle 13 - gli ambasciatori di Francia e di Gran Bretagna comunicavano telefonicamente a Bonnet ed Halifax l'offerta di Mussolini di convocare per il 5 settembre una conferenza allo scopo di rivedere quelle clausole del trattato di Versailles che turbavano la vita europea. L'invito a tale conferenza, che coincideva con un nuovo appello alla pace del Sommo Pontefice, sarebbe stato inoltrato alla Germania solo dopo che i governi di Londra e di Parigi avessero aderito all'iniziativa; pertanto si attendeva a palazzo Chigi una sollecita risposta. L'iniziativa in extremis del capo del governo fascista parve avere dapprima buone accoglienze non solo a Parigi, ma anche a Londra, dove durante l'intera giornata la questione venne discussa a fondo per preparare una risposta sostanzialmente positiva che sarebbe stata data l'indomani; tuttavia, l'improvvisa sospensione delle comunicazioni telefoniche tra Roma e le due capitali, diede a Roma l'impressione che, di colpo, la situazione precipitasse coinvolgendo anche l'Italia.
Il colloquio Ribbentrop-Lipski fu di breve durata. L'ambasciatore fece la comunicazione prescrittagli da Beck; quindi il ministro gli chiese se egli veniva in qualità di plenipotenziario e se era al corrente delle ultime conversazioni tedesco-britanniche. Lipski rispose negativamente alla prima domanda, e, circa il secondo punto, affermò di avere solo informazioni indirette. Ribbentrop pose allora termine all'udienza dichiarando di avere ritenuto che l'ambasciatore si fosse presentato in veste di plenipotenziario. Alle 21 la radio germanica divulgava il testo delle proposte tedesche alla Polonia con una cronaca inesatta degli ultimi avvenimenti che concludeva con l'affermazione che gli sforzi conciliativi di Hitler erano stati respinti e che la situazione poteva produrre in qualsiasi momento un'esplosione da parte degli eserciti contrapposti. Alle 21,15, 21,30 e 21,45 Henderson, Coulondre e l'incaricato d'affari degli S. U. ricevevano successivamente dalle mani di Weizsäcker una nota identica a quella trasmessa per radio. Quasi contemporaneamente a Roma, il conte Ciano, a ciò autorizzato da Mussolini, allo scopo di dissipare ogni pericolo di iniziative belliche franco-britanniche, confidava a Percy Loraine che l'Italia non sarebbe entrata in guerra. Nella notte aveva ancora luogo uno scambio di messaggi tra Londra e Varsavia circa la ripresa delle trattative dirette tedesco-polacche, ma si trattava di discussioni vane: nelle prime ore del mattino del 1° settembre 1939 la macchina bellica nazista si metteva in moto.
Subito dopo l'inizio delle ostilità tra Berlino e Varsavia, Mussolini richiese ed ottenne da Hitler un messaggio - non pubblicato in Germania - nel quale l'Italia veniva esentata dall'intervento in guerra. Intanto da Parigi, ove si era decretata la mobilitazione generale, veniva inviata a Roma la risposta favorevole alla progettata conferenza il cui invito avrebbe però dovuto essere esteso anche alla Polonia. Analogo passo compiva poco dopo Percy Loraine a nome del governo britannico. Nel pomeriggio del 1° settembre, in adempimento delle obbligazioni assunte verso la Polonia - sulla cui urgenza questa non aveva mancato di insistere vivacemente tanto a Londra come a Parigi - Henderson e Coulondre ricevevano istruzioni di recarsi separatamente da Ribbentrop per comunicargli una nota ai termini della quale Francia e Gran Bretagna invitavano la Germania a porre subito termine ad ogni azione aggressiva sul territorio polacco. In caso di mancate soddisfacenti assicurazioni immediate i due governi avrebbero senz'altro fatto onore ai proprî impegni verso la Polonia. Sebbene, in mancanza dell'autorizzazione del parlamento, questo passo non avesse ufficialmente carattere di ultimatum, era tuttavia evidente che tale ne era la sostanza. In queste condizioni il governo fascista era logicamente scettico circa l'opportunità di proseguire nei suoi tentativi per la proposta conferenza. Nel frattempo, determinando in tutta la nazione un'ondata di genuino sollievo, il consiglio dei ministri aveva deliberato che l'Italia non avrebbe preso l'iniziativa di operazioni militari. Spinto tuttavia da Bonnet, nella mattinata del 2, Ciano faceva mettere Hitler, tramite Attolico, al corrente del progetto mussoliniano. Contrariamente alle previsioni, la risposta tedesca, forse perché a Berlino cominciava a farsi strada la convinzione del fallimento della manovra di isolamento della Polonia, non fu aprioristicamente negativa. Ribbentrop pose quale condizione preliminare per l'esame della proposta che fossa chiarito che il passo franco-britannico della sera precedente non avesse carattere di ultimatum. Ciano telefonò allora a Halifax ed a Bonnet i quali gli diedero l'assicurazione desiderata, subito ritrasmessa a Berlino. Poche ore più tardi tuttavia Percy Loraine informava il ministro degli Esteri fascista che il suo governo subordinava la propria accettazione della conferenza al ritiro preventivo delle truppe tedesche dalla Polonia. Tale condizione apparve insostenibile a Mussolini, che pertanto decideva di lasciar cadere l'iniziativa sebbene, ancora nella notte, da parte francese si insistesse per chiedere se non sarebbe stato possibile ottenere dai Tedeschi almeno un ritiro simbolico delle truppe.
Avendo nel pomeriggio del 2 settembre ricevuta piena fiducia dal parlamento, il governo francese prese in esame la questione del momento della presentazione dell'ultimatum alla Germania e della data per l'inizio delle ostilità. Il governo britannico, dietro la pressione vigorosa dell'opinione pubblica e dell'ammiragliato, intendeva che tutto avesse luogo alla mezzanotte del giorno stesso. Lo stato maggiore francese chiedeva invece 48 ore di tempo per ultimare il proprio schieramento. Copo un intenso e talvolta amaro scambio di idee tra Londra e Parigi, Henderson compiva il passo finale alle ore 9 del 3 settembre facendo decorrere, in caso di mancata risposta positiva tedesca, l'inizio delle ostilità dalle 11 dello stesso giorno, mentre Coulondre seguiva analoga procedura alle 12,30 indicando - secondo le istruzioni ricevute telefonicamente mentre stava per lasciare l'ambasciata - che la Francia avrebbe iniziato l'adempimento delle proprie obbligazioni a partire dalle ore 17. Ribbentrop, scaduto l'ultimatum britannico, alle 11,20 consegnò ad Henderson una lunga nota giustificativa di cui dava copia anche all'ambasciatore francese. Entrambi i colloqui terminavano con un reciproco appello al giudizio della storia. Aveva così inizio la seconda Guerra mondiale.
La posizione dell'Italia rispetto ai paesi in lotta fu quella poi definita da Mussolini di "non belligeranza", con l'evidente intenzione dì mettere l'accento più sul concetto di attesa che su quello di astensione dal conflitto.
6. Spartizione della Polonia. Guerra russo-finlandese (17 settembre-31 dicembre 1939). - Il rapido procedere dell'avanzata della Wehrmacht in Polonia doveva indurre il governo di Mosca ad anticipare l'occupazione di quei territorî che l'accordo del 23 agosto aveva assegnato alla zona d'influenza sovietica. Nelle prime ore del 17 settembre 1939 il vice commissario V. P. Potemkin leggeva all'ambasciatore polacco W. Grzybowski una nota, precedentemente ritoccata da Stalin d'intesa con Schulenburg, per comunicare la decisione dell'URSS di far varcare la frontiera all'armata rossa al fine di proteggere gli ucraini ed i bielorussi, abbandonati alla loro sorte dal crollo del governo di Varsavia.
La Polonia protestava energicamente a Mosca, a Londra ed a Parigi, ma in breve tempo l'intero suo territorio veniva occupato dai russo-tedeschi. Il 27 settembre Ribbentrop si recava a Mosca per concordare definitivamente la nuova frontiera tra i due paesi. Nel corso del suo breve soggiorno nella capitale sovietica il ministro degli Esteri del Reich doveva consentire alla richiesta di Stalin di trasferire la Lituania nella zona d'influenza russa contro il passaggio della provincia di Lublino e di una parte di quella di Varsavia nella sfera tedesca. Il 28 settembre, Molotov e Ribbentrop sottoscrivevano un trattato di amicizia che dichiarava definitiva la nuova frontiera ed una dichiarazione ai termini della quale i due govemi avrebbero fatto ogni sforzo per porre termine allo stato di guerra esistente tra la Germania e la Francia e la Gran Bretagna, salvo a consultarsi sulle misure da adottare qualora il tentativo di ristabilire la pace fosse fallito. Tre protocolli segreti regolavano poi la questione dei reciproci scambî di popolazioni, la soppressione di ogni agitazione polacca ed i nuovi limiti delle rispettive zone d'influenza in base agli accennati desiderî di Stalin.
La dichiarazione di Mosca lasciava presagire un'ultima offensiva di pace della Germania. A tale fine il 30 settembre Ribbentrop decideva di proporre a Roma successivamente un incontro Hitler-Mussolini, un viaggio di Ciano a Berlino od un convegno tra i due ministri degli Esteri dell'Asse al Brennero. Per non impegnare prematuramente il capo del governo fascista, Ciano partì subito per la capitale tedesca ove si trattenne il 1° ed il 2 ottobre. In tale occasione Hitler gli dichiarò che avrebbe formulato nel suo prossimo discorso l'ultima offerta di pace ed in caso di rifiuto franco-britannico avrebbe marciato fino in fondo. Il Führer era assolutamente fiducioso nell'esito della lotta, riteneva definitivo l'accordo con Mosca e fece alcuni discreti, seppure precisi, accenni all'interesse dell'Italia ad intervenire in guerra. Il preannunciato discorso ebbe luogo al Reichstag il 6 ottobre - Mussolini ne prese visione poche ore prima dell'inizio - ma non conteneva in realtà che una generica invocazione alla pace ed una proposta molto vaga di una conferenza europea per uno statuto definitivo delle nazioni del continente, evitando completamente di impegnarsi sui problemi concreti, sulle riparazioni che Londra e Parigi esigevano non più soltanto a favore della Polonia, ma anche dell'Austria e della Cecoslovacchia. Daladier e Chamberlain replicarono pertanto in termini negativi e subito dopo da Berlino si dichiarò chiusa la parentesi.
Intanto, avendo la Germania ormai preso possesso dei territorî assegnati alla sua zona d'influenza, l'URSS si affrettava ad attuare la parte del proprio programma attinente al settore del Baltico.
Il 28 settembre 1939, veniva sottoscritto a Mosca un trattato di mutua assistenza russo-estone che prevedeva anche la concessione di basi navali, militari ed aeree nelle isole di Oesel e Dagö e nella città di Baltiski. Il 5 ottobre, la Lettonia concludeva un trattato analogo in cui le basi sovietiche erano stabilite a Ventspils, Liepāja e Pitrags. Il 10 ottobre, era la volta della Lituania cui veniva peraltro attribuita la città di Vilna in una forma che doveva provocare qualche frizione con Berlino. La determinazione dell'ubicazione delle basi militari sovietiche venne rinviata ad un momento successivo. Di fatto esse vennero stabilite ad Olita, Gudžiūnai, Prienai e Novo Vileski.
Meno fortunate furono le trattative condotte in pari tempo da Molotov con la Turchia e la Finlandia. Fin dal 2 settembre il presidente del consiglio dei commissarî del popolo confidava a Schulenburg di essere pronto ad agire per arrivare ad una neutralità permanente della Turchia. Il negoziato tra Mosca ed Ankara non tardò ad avere inizio ed il 17 settembre Molotov ne dava notizia all'ambasciatore tedesco. Il 25, giungeva a Mosca C. Saragioglu, ma le buone prospettive iniziali che avevano fatto ritenere opportuno il viaggio del ministro degli Esteri turco, dovevano presto rivelarsi infondate e cedere il posto ad una notevole divergenza di vedute che si portava tanto sul regime degli Stretti in tempo di guerra - che i russi intendevano fossero chiusi a tutte le potenze non rivierasche del Mar Nero - quanto sul contenuto da dare al patto progettato, che, per desiderio di Ribbentrop ripetuto in occasione del suo secondo viaggio a Mosca, l'URSS chiedeva non importasse impegni di azione contro la Germania, l'Italia e la Bulgaria. La permanenza di Saragioglu nella capitale sovietica durò, fatto veramente eccezionale, fino al 17 ottobre, quindi le trattative vennero definitivamente interrotte. La Turchia sottoscriveva invece il 19 un trattato di mutua assistenza con la Francia e la Gran Bretagna, ai termini del quale le tre potenze avrebbero dovuto prestarsi reciproco aiuto nell'eventualità di un'aggressione contro la Turchia da parte di una potenza europea o di un attacco, sempre da parte di una potenza europea, alla Francia ed alla Gran Bretagna che conducesse ad una guerra nella zona mediterranea.
Le trattative fra Mosca ed Helsinki furono ancora più negative e dovevano concludersi in modo drammatico. Iniziate il 5 ottobre con l'invito al ministro degli Esteri J. E. Erkko a recarsi nella capitale sovietica, il giorno 12 J. K. Paasikivi prendeva visione delle richieste russe ufficialmente ispirate a garantire la sicurezza di Leningrado e a stabili ed amichevoli rapporti della Finlandia con l'URSS. Dette richieste avevano per oggetto: l'affitto trentennale del porto di Hanko; la cessione delle isole Suursaari, Seiskari, Lavansaari, Tytarsaari e Koivisto, di una parte dell'istmo di Carelia da Lippola fino a Koivisto e della zona occidentale della penisola dei Pescatori; lo smantellamento delle fortificazioni lungo tutta la frontiera comune; ed il rafforzamento del trattato di non aggressione del 1932. In cambio, l'URSS offriva ampie rettifiche di frontiera nelle zone desertiche di Repola e Porajarvi. Le controproposte finlandesi (23 ottobre) accettavano la cessione di 3 isole e del saliente di Kuokkola ed il rafforzamento del patto di non aggressione, ma respingevano tutte le altre richieste. Ad esse i Russi replicarono lo stesso 23 ottobre insistendo nelle primitive domande con solo lievi varianti. Le nuove controproposte di Helsinki furono presentate a Molotov il 3 novembre in un'atmosfera di viva tensione tra i due paesi. In esse si ammetteva una maggior estensione della rettifica nell'istmo di Carelia e la cessione della parte occidentale della penisola dei Pescatori, ma si respingevano ancora una volta le altre richieste sovietiche e si chiedevano maggiori compensi. Una nuova nota dell'URSS del 4 novembre sostituiva alla primitiva richiesta dell'atto e del diritto di guarnigione ad Hanko, quella di basi nelle isolette di Hermansö, Koö e Hästöbusö e conteneva la rinuncia al disarmo delle frontiere. La Finlandia replicò il 9 novembre respingendo il compromesso delle isole. Ne seguì un vivace quanto infruttuoso scambio di idee finché le trattative vennero interrotte il giorno 13. Le polemiche della stampa acquistarono allora un tono di maggiore asprezza, finché, in seguito ad una serie di incidenti di frontiera, il 26 novembre l'URSS trasferiva la vertenza dal terreno diplomatico a quello militare. Insediato a Terijoki un "governo popolare della Repubblica democratica finlandese" presieduto dal comunista Otto Kuusinen, Mosca concludeva con esso fin dal 2 dicembre un trattato di amicizia, nel quale erano definite le precedenti rivendicazioni sovietiche. Il governo di Helsinki si appellava allora alla Società delle nazioni (3 dicembre), ma la Russia si rifiutava di intervenire alle riunioni di Ginevra asserendo non di essere in guerra con la Finlandia ma di collaborare unicamente al soffocamento di un focolaio di resistenza al legittimo governo popolare con il quale si trovava in eccellenti rapporti.
Dietro le pressioni dell'opinione pubblica specialmente americana, l'assemblea della Società delle nazioni approvava il 14 dicembre una risoluzione ai termini della quale si raccomandava di considerare l'URSS come postasi fuori dall'istituto ginevrino. Il giorno stesso il consiglio della Società delle nazioni faceva propria la raccomandazione dell'assemblea. (Questa decisione doveva contribuire notevolmente, sei anni dopo, a determinare i Quattro Grandi a creare le N. U. non intendendo più la Russia fare ritorno a Ginevra).
Fra i principali avvenimentì diplomatici dell'ultimo scorcio del 1939 ricordiamo ancora la proposta della Russia alla Bulgaria per la conclusione di un patto di mutua assistenza (ottobre), la revisione della legge di neutralità degli Stati Uniti d'America (4 novembre), l'offerta di mediazione per un eventuale negoziato di pace da parte di re Leopoldo del Belgio e della regina Guglielmina d'Olanda (7 novembre), i progetti per la costituzione di un blocco balcanico di stati neutri che l'Italia avrebbe dovuto capeggiare, le difficili discussioni italo-franco-britanniche per comporre amichevolmente i serî inconvenienti derivanti dal controllo anglo-francese dei traffici marittimi dell'Italia, la velata polemica italo-tedesca sulle responsabilità di Ciano, che, con le sue indiscrezioni sul comportamento del governo fascista, avrebbe facilitata la decisione britannica di intervenire in guerra, la visita del dott. R. Ley a Roma (6 dicembre) ed il discorso sottilmente anti-tedesco di Ciano del 16 dicembre. Si conchiudeva così, con queste minori battute d'attesa, l'anno che aveva visto l'inizio del conflitto in Europa. Le varie cancellerie delle potenze belligeranti cercavano di riordinare le file delle proprie trame per potenziare quell'azione bellica che verosimilmente sarebbe stata intensificata con il sopraggiungere della primavera. L'apparente equilibrio delle forze contrapposte sembrava facilitare tale attività che subirà un forte contraccolpo quando la bilancia militare si sposterà decisamente in favore di Berlino.
7. Offensiva tedesca in Danimarca, Norvegia, Belgio e Olanda. Crollo della Francia. Intervento dell'Italia (1° gennaio-24 giugno 1940). - Le prime settimane del nuovo anno videro il proseguimento dei precedenti sforzi delle diplomazie dei neutri e dei non belligeranti per studiare le possibilità di un regolamento generale dei problemi internazionali prima dell'effettivo scontro degli eserciti.
Il 3 gennaio 1940 Mussolini scriveva una lunga lettera a Hitler nella quale, passati in rassegna i principali avvenimenti, patrocinava la ricostituzione di un piccolo stato polacco che avrebbe potuto facilitare una soluzione pacifica del conflitto, poneva la domanda se i sacrifici necessarî per far capitolare i franco-britannici non sarebbero stati sproporzionati agli obiettivi, indicava nell'URSS la soluzione dello spazio vitale tedesco ed insisteva nel sottolineare l'utilità dell'atteggiamento dell'Italia, che, non potendo impegnarsi in una guerra lunga, avrebbe potuto intervenire solo al momento più redditizio e decisivo. Il 6 gennaio il conte Ciano s'incontrava a Venezia col conte Csáky da lui invitato nella vana speranza di riuscire a porre le basi per un accordo ungaro-romeno sulla Transilvania. L'esito del convegno fu sostanzialmente negativo, ma si trattò comunque di un tentativo non privo d'interesse. In pari tempo Roosevelt decideva di inviare in Europa il sottosegretario di stato Sumner Welles per una missione esplorativa sulle effettive possibilità di pace. Il progetto subì un breve rinvio per un'indisposizione di Welles che sbarcò in Italia solo sul finire del mese di febbraio. Nelle more, i rapporti italo-britannici sensibilmente peggiorati a seguito della presentazione delle proposte di Londra per un accordo commerciale che conteneva la condizione fondamentale della vendita all'Inghillerra di armi e munizioni (3 febbraio). Essa fu nettamente respinta da Mussolini (8 febbraio) e ciò indusse la Gran Bretagna a decidere (17 febbraio) la confisca, a partire dal 1° marzo, del carico delle navi che trasportassero carbone tedesco diretto in Italia.
Sumner Welles giunse a Roma il 25 febbraio e s'incontrò con Ciano e Mussolini il giorno successivo. Ciano tenne un contegno estremamente amichevole e rivelò allo statista americano alcuni retroscena dei rapporti italo-tedeschi precedenti lo scoppio della guerra. A Mussolini, Welles consegnò un messaggio di Roosevelt contenente, fra l'altro, l'invito ad un incontro che avrebbe potuto eventualmente avere luogo alle Azzorre. In tale occasione vennero discusse le condizioni politiche territoriali ed economiche che avrebbero potuto formare la base per una pace ragionevole. Il 1° marzo Welles era a Berlino ove conferiva con Ribbentrop ed il giorno successivo con Hitler. Entrambi i colloqui, al pari di quelli ch'egli doveva avere successivamente con R. Hess e con Göring, furono fortemente negativi e stavano ad indicare la risoluta volontà tedesca di iniziare a breve scadenza la grande offensiva militare. All'alba del 7 marzo lo statista americano giungeva a Parigi donde l'11 proseguiva per Londra. In entrambe le capitali egli doveva trovare la ferma convinzione della necessità di neutralizzare definitivamente in via preliminare il ricorrente pericolo tedesco per potere arrivare ad una durevole costruzione della pace. In questa condizione di cose era evidentemente prematuro tentare un componimento amichevole del conflitto.
Mentre Sumner Welles si trovava nella capitale britannica, il 10 marzo Ribbentrop giungeva improvvisamente a Roma latore della risposta di Hitler alla lettera di Mussolini del 3 gennaio. Nel suo messaggio il cancelliere cercava di giustificare ancora una volta le proprie decisioni dell'agosto 1939, riaffermava la solidità dell'intesa con la Russia e ribadiva la certezza nella vittoria, da lui ritenuta sicura per la superiorità delle armi germaniche. Il Führer auspicava un incontro a breve scadenza con Mussolini e non dubitava di avere presto al suo fianco l'esercito italiano. I colloqui Ribbentrop-Mussolini miravano evidentemente a rafforzare, alla vigilia dell'offensiva sul fronte occidentale, l'atteggiamento anti-franco-inglese del capo del governo fascista, cui veniva offerto l'aiuto tedesco per risolvere il grave problema delle importazioni di carbone. Mussolini riaffermò in tale occasione la sua decisione di intervenire nel conflitto al momento opportuno. Sebbene la scelta di tale momento fosse lasciata indeterminata, era evidente che la visita del ministro degli Esteri del Reich ebbe l'effetto di accentuare le tendenze interventiste del dittatore fascista.
Il 12 marzo 1940 veniva improvvisamente annunciata la firma del trattato di pace tra la Finlandia e l'URSS. La decisione, per quanto riguarda Mosca, era evidentemente da ricollegare al progetto franco-britannico dell'invio di un corpo di spedizione in Finlandia, per coinvolgere nel conflitto la Svezia e la Norvegia, basi di rifornimento del ferro per la Germania; per quanto riguarda Helsinki, all'impossibilità di continuare a resistere con successo alla schiacciante pressione militare sovietica senza il concorso dei governi di Stoccolma e di Oslo che intendevano invece negare il transito delle truppe anglo-francesi sul loro territorio. Le condizioni di pace (v. finlandia, in questa App.), per quanto dure, salvavano l'indipendenza del paese. L'evento, non previsto nella lettera di Hitler del 6 marzo, doveva esercitare un certo peso sulle decisioni del Führer circa l'inizio delle operazioni militari ad occidente. Il 13, infatti, Ribbentrop telefonava da Berlino per chiedere di fissare l'incontro tra i due dittatori al Brennero per il 18. Mussolini accettò e coltivò la speranza illusoria, sia di influire sul cancelliere per farlo desistere dal proposito di attaccare, sia di ottenere un documento, sotto forma di comunicato, che lo rendesse libero di non intervenire anche quando avessero avuto inizio le ostilità sul fronte occidentale.
Prima di partire per il Brennero, Mussolini e Ciano videro nuovamente, il 16 marzo, Sumner Welles giungendo a conclusioni pessimistiche sulla possibilità di trovare una soluzione accettabile per le due parti in lotta. Il convegno Hitler-Mussolini servì a confermare le precedenti posizioni dei due dittatori. Il Führer ribadì la propria sicurezza nella vittoria e l'intenzione di scatenare quanto prima l'offensiva finale. Il capo del governo fascista affermò la sua determinazione di scendere in campo al momento opportuno. La formula era ancora indeterminata, ma la suggestione esercitata dal cancelliere si faceva più intensa e pericolosa. Al ritorno a Roma - nessun comunicato venne diramato sull'incontro - Ciano vide ancora una volta Sumner Welles e lo mise parzialmente al corrente delle discussioni del Brennero. In tale occasione il ministro degli Esteri fascista assicurò il sottosegretario di stato americano che, finché sarebbe rimasto in carica, l'Italia non sarebbe entrata in guerra. Il 28 marzo, Ribbentrop telegrafò a Schulenburg prospettandogli l'idea di un invito a Molotov od a Stalin per una visita a Berlino. L'ambasciatore giudicò la proposta irrealizzabile non ritenendo che i Russi volessero per il momento abbandonare la loro posizione di neutralità e rischiare una rottura con le democrazie. Il ministro degli Esteri del Reich lasciò allora (3 aprile) cadere il progetto che evidentemente mirava ad un ulteriore rafforzamento delle posizioni diplomatiche tedesche alla vigilia dell'offensiva. Pure di quell'epoca (31 marzo) è un memoriale di Mussolini al re, nel quale si affermava che l'Italia non poteva assolutamente evitare la guerra, che non poteva farla con gli Alleati e che non poteva farla se non con la Germania. Era questo il primo segno tangibile della influenza dei recenti incontri italo-tedeschi.
L'iniziativa militare tedesca in Norvegia ed in Danimarca (9 aprile) si ripercuote fatalmente sulle decisioni di Mussolini.
Questi è oggetto da un lato delle lusinghe di Hitler, che gli invia numerose lettere per tenerlo al corrente dell'andamento straordinariamente favorevole delle operazioni, dall'altro dei rinnovati ammonimenti anglo-franco-americani, ma il fascino dei successi militari tedeschi è ormai invincibile. Il 24 aprile Paul Reynaud apre la serie dei patetici appelli al dittatore fascista. La risposta di Mussolini (27 aprile) è molto scoraggiante. Il 28 è la volta del Papa che non ottiene migliore successo. Il 1° maggio l'ambasciatore W. Phillips era ricevuto a Palazzo Venezia latore di un messaggio di Roosevelt contenente un garbato ma reciso ammonimento a non entrare in guerra. L'appello del presidente degli Stati Uniti era rinnovato due settimane dopo in forma maggiormente conciliante. Il 16 maggio era Churchill ad inviare una lettera personale a Mussolini. Ad entrambi il capo del governo fascista rispondeva il 18 in tono secco e breve. Il 27 maggio nuova offerta di mediazione da parte di Roosevelt che proponeva di garantire al termine della guerra l'esecuzione degli accordi eventualmente conclusi dall'Italia con i franco-inglesi. Lo stesso giorno anche François-Poncet accenna alla possibilità di trattare sulla Tunisia e forse anche sull'Algeria, ma tali aperture vengono qualificate tardive da Ciano. Intanto l'offensiva tedesca in Francia iniziata il 10 maggio mantiene il suo ritmo vittorioso; il Belgio e l'Olanda sono invasi e il successo tedesco si fa travolgente. Il 30 maggio la decisione di Mussolini di entrare nel conflitto era comunicata a Berlino e il 5 giugno veniva indicato quale data per l'inizio delle ostilità. Il giorno dopo altro passo di Roosevelt assai più energico dei precedenti; contemporaneamente, a Parigi, Daladier consegnava a R. Guariglia una nota, che, senza fare proposte precise, conteneva molte aperture, ma Mussolini rifiutò di prenderla in considerazione e decise di non rispondere. La stessa sorte fu riservata agli ultimi appelli provenienti da Parigi.
Il 3 giugno viene definitivamente concordata tra i due dittatori la data dell'11 per l'inizio delle operazioni militari contro la Francia e la Gran Bretagna. La dichiarazione di guerra avvenne il 10 giugno. Il paese era per l'astensione dal conflitto ed accolse l'infausta decisione rassegnato e turbato. L'intervento in guerra dell'Italia, se non colse di sorpresa i governi di Parigi e di Londra, li trovò in condizioni precarie. Il 2 giugno sir Samuel Hoare veniva inviato d'urgenza in missione speciale a Madrid, il 5 era chiesto il gradimento a Mosca per l'accreditamento di due nuovi ambasciatori, sir Stafford Cripps ed E. Labonne, per intensificare i rapporti diplomatici della Gran Bretagna e della Francia con l'URSS. Il 10 ed il 14 giugno Reynaud rivolgeva a Roosevelt due disperati appelli, ai quali il presidente degli Stati Uniti non poteva rispondere che in termini generici e limitati. Furono allora iniziati da parte francese i primi scambî di idee con la Gran Bretagna per una capitolazione sul territorio metropolitano, ma il 16 giugno il consiglio dei ministri respingeva le proposte di Churchill per un'unione permanente franco-britannica che aveva determinato il temporaneo ritiro, da parte dell'ambasciatore inglese, delle condizioni relative alla flotta poste poco prima da Londra per consentire a svincolare la Francia dall'impegno di non concludere separatamente l'armistizio. Il giorno stesso Pétain formava il nuovo governo e si rivolgeva, tramite l'ambasciatore di Spagna, alla Germania per domandare l'armistizio. Tre giorni dopo, Mussolini si incontrava con Hitler a Monaco per concordare le condizioni da presentare ai delegati francesi. In tale occasione si convenne che l'Italia avrebbe chiesta l'occupazione della vallata del Rodano, della Corsica e della Tunisia, ma, poche ore prima dell'arrivo della delegazione francese, Mussolini, di sua iniziativa, decise di abbandonare tali domande. I due armistizî erano sottoscritti a Réthonde e a Villa Incisa il 22 ed il 24 giugno.
8. L' URSS occupa gli Stati baltici. Il secondo arbitrato di Vienna. Firma del Tripartito (15 giugno-28 settembre 1940). - Gli strepitosi successi della Germania inducevano ancora una volta l'URSS ad affrettare la realizzazione di quel programma che, enunciato nell'agosto 1939, non era stato attuato nella sua ultima parte. Il 15 giugno l'armata rossa occupava la Lituania, il 17 l'Estonia e la Lettonia, il 20 l'ambasciatore sovietico a Roma, che aveva lasciato la capitale italiana senza preavviso al momento della crisi finlandese in segno di protesta per l'atteggiamento antisovietico assunto in tale occasione dal governo fascista, presentava le credenziali a re Vittorio Emanuele. Il 26 veniva improvvisamente inviato un ultimatum alla Romania per la cessione immediata della Bessarabia e di parte della Bucovina. Sebbene quest'ultima mossa cogliesse completamente di sorpresa Hitler, il quale pochi giorni prima, a Monaco, aveva dichiarato a Mussolini che Mosca non si sarebbe mossa in tale direzione (inoltre la Bucovina non era contemplata nel trattato del 23 agosto 1939), la Germania, temendo le conseguenze di turbamenti nei Balcani, d'intesa con l'Italia, premette fortemente su Bucarest per un'accettazione incondizionata delle richieste sovietiche, il che aveva luogo entro il termine stabilito da Mosca. Le conseguenze dell'iniziativa sovietica non si arrestarono qui, ma furono assai più ampie, gravi e complesse.
Intanto, la retrocessione della Bessarabia conferì un carattere di urgenza alle rivendicazioni territoriali della Bulgaria e della Romania, le quali minacciando ancora una volta la tranquillità dei Balcani, preoccuparono vivamente la Germania. Il 7 luglio Ciano era convocato a Berlino per discutere con Hitler la questione. Tre giorni dopo, in una riunione a Monaco con l'intervento del ministro degli Esteri fascista, il Führer ammoniva i dirigenti ungheresi a non contare sul concorso dell'Asse in un eventuale conflitto con la Romania. Il 19, il cancelliere pronunciava al Reichstag un ultimo caloroso appello alla Gran Bretagna per la cessazione del conflitto. La risposta di Londra - il 12 luglio l'Inghilterra aveva revocato il suo precedente riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia e dichiarato proprio alleato il governo del Negus - fu tuttavia definitivamente negativa. Per l'occasione Ciano era tornato a Berlino ove venne concordata (20 luglio) un'azione comune per spingere l'Ungheria e la Romania a negoziati diretti e consigliare ad entrambe le parti moderazione e prudenza. Mentre tra il 21 ed il 22 luglio l'URSS annetteva formalmente l'Estonia, la Lituania e la Lettonia, il 23 ed il z7 J. Gigurtu e M. Manoilescu visitavano rispettivamente Hitler e Mussolini che tenevano loro il discorso concordato a Berlino. Pochi giorni dopo veniva annunciato a Bucarest l'imminente inizio di trattative con la Bulgaria e l'Ungheria da svolgersi rispettivamente a Craiova ed a Turnu Severin.
Pendenti i negoziati balcanici della Romania, la Germania intavolava trattative parallele con Tōkyō e con Madrid miranti ad assicurarsi in Estremo Oriente una pedina per controbilanciare l'intensificata azione politica anglo-americana e ad affrettare lo sperato intervento della Spagna.
Per il momento tuttavia il Giappone, che stava raccogliendo forti benefici in Indocina ed in Cina a spese della Francia e della Gran Bretagna come conseguenza della sconfitta degli eserciti alleati sul fronte occidentale, dopo essere stato sul punto di accettare le proposte tedesche, finiva per rinviarne la definizione. Quanto alla Spagna, un rapporto dell'ambasciatore tedesco in data 8 agosto, ed ancor più una lettera del Caudillo a Mussolini di tre giorni prima, pur confermando le favorevoli disposizioni di Franco, elencava una serie di richieste territoriali, economiche e militari che esigevano ampio esame e discussione. Quello stesso giorno erano conclusi a Londra gli accordi Churchill-de Gaulle che confermavano la risoluta determinazione inglese di non abbandonare la lotta. In tale condizione di cose la Germania, compresa della necessità di concentrare ogni sforzo nella lotta contro la Gran Bretagna, invitava Mussolini ad abbandonare i propositi aggressivi contro la Grecia e la Iugoslavia (17 agosto), da lui in quel tempo manifestati. All'indomani del primo annuncio (25 agosto) dell'affitto da parte della Gran Bretagna di una base aerea nelle Bermude agli Stati Uniti, Berlino prospettava l'opportunità di un sollecito intervento diretto dell'Asse nella controversia ungaro-romena che minacciava di degenerare in aperto conflitto (26 agosto). Ciano si recava pertanto due giorni dopo a Berchtesgaden per conferire con Hitler, quindi proseguiva con Ribbentrop per Vienna ove il giorno 30, mediante arbitrato, veniva imposta ai Romeni, dietro la garanzia territoriale congiunta all'Asse, la cessione dei due terzi della Transilvania.
L'arbitrato di Vienna - seguito il 7 settembre dalla cessione della Dobrugia meridionale alla Bulgaria - ebbe gravissime conseguenze. Da una parte, diede poco dopo origine ad un serio contrasto fra il Reich e l'URSS che interpretò la garanzia italo-tedesca come diretta contro di essa ed accusò Hitler di avere violata la lettera e lo spirito degli accordi del 23 agosto 1939, dall'altra, legittimando l'invio di truppe germaniche in Romanìa, indusse in breve Mussolini per reazione e dispetto a dar seguito all'idea di occupare a sua volta la Grecia. Il 3 settembre 1940 la Gran Bretagna e gli Stati Uniti concludevano un accordo in base al quale, contro la cessione di 50 cacciatorpediniere americani, venivano date in affitto al governo di Washington per la durata di 99 anni varie basi nella penisola di Avalon, nella costa meridionale di Terranova, nelle Bermude, nelle Bahama, nella Giamaica, nella Guiana, a Santa Lucia, a Trinidad e ad Antigua. Undici giorni dopo questo accordo, le sorti fino allora incerte della battaglia aerea anglo-tedesca sull'Inghilterra, volgevano decisamente a favore di questa ultima. Correlativamente fu palese un'accresciuta diffidenza dell'URSS per la costituzione a Vienna di un Consiglio del Danubio (12 settembre), cui essa chiedeva di essere ammessa. Tutti questi fatti inducevano la Wilhelmstrasse a riprendere a fondo la appena interrotta pressione diplomatica sulla Spagna e sul Giappone. Già il 25 agosto Mussolini aveva risposto alla lettera di Franco invitandolo a decidersi, pur lasciandogli libertà di scelta del momento. Il 17 settembre Serrano Suñer era convocato da Hitler che insistette per un rapido intervento della Spagna. In tale occasione vennero discusse le richieste territoriali, militari ed economiche spagnole, visibilmente poco gradite ai Tedeschi in quanto, in parte, ostacolavano la contemplata politica di riavvicinamento alla Francia ed in parte (Marocco) contrastavano con le aspirazioni coloniali del Reich. Due giorni dopo, Ribbentrop si recava a Roma, ove, dopo di avere riferito in senso ottimista sull'andamento dei colloqui con la Spagna il cui intervento (le condizioni territoriali erano esposte in un messaggio della vigilia di Hitler a Franco) era previsto entro 4 settimane, annunciò il felice esito dei passi compiuti a Tōkyō per la conclusione del Tripartito, passi sui quali l'Italia era stata fino a quel momento tenuta all'oscuro. In tale occasione Mussolini diede il proprio benestare alle iniziative della Wilhelmstrasse ed ascoltò senza riserve le realistiche considerazioni di Ribbentrop sulla Iugoslavia, la Grecia (entrambe riservate alla sfera d'interessi italiani) e la Russia.
Franco rispose tuttavia il 22 settembre ad Hitler respingenùo le richieste tedesche di basi navali nel Marocco, avanzò obiezioni sull'opportunità di espellere totalmente gli Inglesi dal Mediterraneo ed affermò di non essere sicuro di poter difendere le Canarie con i mezzi a propria disposizione (ma rifiutava per bocca di Serrano Suñer l'aiuto dell'Asse).
Il 28 aveva luogo a Berlino, con l'intervento di Ciano, la firma solenne del Tripartito. In quell'occasione il cancelliere propose un nuovo incontro con Mussolini al Brennero, ammise che lo sbarco in Gran Bretagna era ormai rinviato e affermò che l'intervento spagnolo rischiava di costare troppo. L'adesione del Giappone era stata intanto accompagnata a Tōkyō da una serie di protocolli segreti - anche per l'Italia - relativi alla sorte degli antichi possedimenti tedeschi nel Pacifico ed alla promessa mediazione della Germania per un accordo nippo-sovietico. L'incontro tra i due dittatori - preceduto il 1° ottobre da una visita a Roma di Serrano Suñer, durante la quale vennero ribadite le precedenti ed ormai note posizioni reciproche con un accentuato risentimento spagnolo per il comportamento di Ribbentrop - ebbe luogo il 4 ottobre. Nel corso di esso Hitler enunciò i suoi propositi di riavvicinamento alla Francia, confermò le rivendicazioni tedesche su parte del Marocco, manifestò nuove perplessità circa le conseguenze dell'accoglimento delle richieste spagnole, approvò le rivendicazioni di Mussolini verso la Francia, offrì il suo concorso, declinato per il momento dal capo del governo fascista, all'offensiva italiana in Africa ed accennò infine per la prima volta alla di denza di Stalin per la politica tedesca.
Di ritorno dal Brennero, il giorno 5, Ciano informò Serrano Suñer, che l'aveva atteso a Roma, del contenuto dei colloqui, che soddisfece solo parzialmente il ministro spagnolo.
9. Guerra italo-greca. Visita di Molotov a Berlino. Nuovo assetto territoriale balcanico (28 ottobre 1940-18 maggio 1941). - Una settimana dopo, l'annuncio dell'invio di una missione militare tedesca a Bucarest e l'assunzione da parte della Werhmacht della difesa aerea della zona petrolifera romena allarmarono Mussolini, che, dopo di avere in un primo tempo progettato di richiedere a Bucarest analogo invito per l'Italia, decideva di occupare la Grecia all'insaputa dei Tedeschi. L'impresa veniva approvata in una riunione tenutasi a palazzo Venezia il 15 ottobre stabilendosi la data d'inizio per il 28. Il verbale della riunione fissa per sempre le responsabilità oltre che di Mussolini, dei suoi consiglieri politici e militari che ad essa parteciparono. Mentre il capo del governo fascista sceglieva tale forma per manifestare la propria insofferenza per la condotta di Berlino e nell'illusione di riequilibrare nel settore balcanico la sua posizione di fronte a quella tedesca, Hitler iniziava un'intensa attività diplomatica ispirata ad uno pseudo-europeismo, che in realtà tradiva la sua incertezza sulla linea di condotta definitiva da seguire.
Il cancelliere incontrava infatti successivamente Laval a Montoire (22 ottobre), Franco a Hendaye (23 ottobre), Pétain a Montoire (24 ottobre) e Mussolini a Firenze (28 ottobre). Il primo colloquio con Laval, lasciando intravedere al Führer la possibilità di attuare il programma di riavvicinamento con la Francia enunciato al Brennero, non dovette essere poi estraneo al suo comportamento incerto a Hendaye, ove venne elaborato un protocollo, cui doveva aderire anche l'Italia, e che, in termini estremamente vaghi ed imprecisi, prometteva l'adesione di Madrid al patto tripartito e l'entrata in guerra. A sua volta la Germania riconosceva in termini non meno ambigui il fondamento delle rivendicazioni territoriali spagnole. Nel corso del colloquio con Franco, Hitler accennò inoltre al suo proposito di attrarre a sé la Francia ed al pericolo di gettare l'impero coloniale della repubblica latina nelle braccia di De Gaulle. Non era però questa la via migliore per fare uscire Franco dalla sua incertezza. Con Pétain (che proprio quel giorno faceva ricevere da Churchill a Londra un suo emissario, L. Rougier, per concludere una intesa segreta con l'Inghilterra: gentlemen's agreement del 28 ottobre, ratificato da Pétain l'11 novembre e dalla Gran Bretagná il 21) Hitler, pur affermando l'opportunità di una collaborazione franco-tedesca, si mantenne sulle generali e promise al maresciallo d'inviargli in un secondo tempo proposte concrete e dettagliate. A Firenze, il cancelliere, dopo aver preso atto dell'inizio delle operazioni italiane contro la Grecia che, egli, giunto troppo tardi, non era riuscito a scongiurare, mise Mussolini al corrente dei colloqui con Laval, Franco e Pétain ripetendogli pressappoco le considerazioni del Brennero. Il capo del governo fascista diede la propria approvazione al protocollo di Hendaye, sottolineò la necessità di agire con prudenza con i Francesi ed accettò l'idea di un incontro a tre Hitler-Franco-Mussolini da tenersi a Firenze subito dopo che la promessa adesione della Spagna al Tripartito fosse divenuta pubblica. Hitler, preannunciando un prossimo viaggio di Molotov a Berlino, accennò pure all'eventualità, nonostante la reciproca diffidenza con Stalin ed i pericoli rappresentati dalle mire russe sulla Finlandia e la Romania, di trovare una formula che indirizzasse il dinamismo sovietico verso le Indie. Mussolini incoraggiò tale idea ed il Führer e Ribbentrop si pronunciarono rispettivamente in favore di un accordo tripartito italo-sovietico-tedesco o quadripartito italo-nippo-sovietico-tedesco.
La decisione della visita di Molotov a Berlino, di cui il governo fascista era stato fino a quel momento tenuto all'oscuro, era stata la risultante di un serrato scambio di idee russo-tedesco nel corso del quale Mosca non aveva celato il proprio malumore per l'accordo finno-tedesco da poco concluso, il conseguente transito di truppe germaniche attraverso la Finlandia, la conclusione del tripartito e l'invio di contingenti della Wehrmacht in Romania. Il 13 ottobre Ribbentrop aveva indirizzata una lettera a Stalin nella quale, dopo aver fatto il bilancio dei reciproci guadagni risultanti dall'accordo del 23 agosto 1939, sottolineava la convenienza di più stretti rapporti tra l'URSS e le potenze del Tripartito ed invitava Molotov a Berlino per concordare una politica comune. Stalin replicava il 22 ottobre concordando sulle proposte e Molotov accettava l'invito. ll 3 novembre 1940 Ciano si incontrava nuovamente a Schönhof con Ribbentrop, il quale, dopo avergli fatto sottoscrivere il protocollo di Hendaye subito trasmesso per aereo a Serrano Suñer, gli illustrò il proprio programma per l'accordo quadripartito con la Russia. In base ad esso il dinamismo giapponese avrebbe dovuto essere indirizzato verso sud in forma antibritannica e cercando di salvaguardare l'Afghānistān e la Persia; quello italiano verso l'Africa mediterranea ed il Mar Rosso; quello tedesco verso l'Africa equatoriale. Dei Balcani non si sarebbe dovuto parlare poiché Ribbentrop li considerava una questione interna dell'Asse. Alla Russia sarebbe stato riconosciuto il libero traffico nei Dardanelli, la chiusura del Mar Nero quale mare interno russo, dovendo la espansione dell'URSS rivolgersi a meridione verso l'Oceano Indiano ed il golfo Persico. La costruzione del capo dell'Auswärtiges Amt frettolosamente esposta a Ciano, per quanto concerneva i Balcani e gli Stretti, oltre a documentare una singolare incomprensione tedesca della politica sovietica, costituiva altresì un evidente passo indietro rispetto all'agosto 1939 e doveva logicamente urtare contro le concezioni di Mosca.
Molotov ebbe a Berlino il 12 ed il 13 novembre quattro lunghissimi colloqui con Ribbentrop ed Hitler. Nel primo di essi Ribbentrop passò in rassegna la situazione militare per dimostrare che la Gran Bretagna aveva già perduto la guerra ed affermò che Hitler era favorevole ad una intesa sulle sfere d'influenza della Germania, della Russia, dell'Italia e del Giappone all'incirca nei termini già indicati a Ciano. Molotov richiese una più precisa definizione delle rispettive sfere d'influenza. Nel secondo, Hitler, dopo un ampio esame della situazione mondiale, insistette sulla possibilità di una collaborazione tra l'URSS e le potenze del Tripartito nel tenere l'America lontana dall'Europa. Molotov convenne sulla possibiliià di tale collaborazione, ma chiese chiarimenti precisi sulla Finlandia, i Balcani, la Turchia, ed il significato dell'"Ordine Nuovo" in Europa ed in Asia. Nel terzo, Hitler ripetutamente insisté per un accordo sulla spartizione dell'Impero Britannico, ma Molotov ribadì la necessità di un riconoscimento preliminare degl'interessi sovietici in Finlandia, nei Balcani ed in Turchia. Nel quarto, Ribbentrop tratteggiò la divisione delle quattro sfere d'influenza ed espose i termini degli accordi segreti che avrebbero definito tale divisione e portato l'URSS ad aderire al Tripartito, ma Molotov ribadì ancora una volta la necessità di un riconoscimento più preciso degli interessi della Russia nel Baltico, nei Balcani e negli Stretti. Il presidente del consiglio dei commissarî del popolo approvava l'idea di una collaborazione, ma solo in seguito ad una intesa completa.
Le richieste sovietiche fecero cattiva impressione su Hitler, che, da quel momento, cominciò a pensare seriamente alla possibilità di rivolgere le armi contro Mosca. Nelle prime settimane successive il Führer concentrò tuttavia i suoi sforzi per consolidare nei Balcani le posizioni diplomatiche dell'Asse assai scosse per gl'insuccessi militari italiani in Grecia ed in Africa e per affrettare l'intervento della Spagna. Il 18 novembre, Ciano era invitato a conferire con Ribbentrop ed Hitler che gli prospettarono l'opportunità di negoziare un'alleanza con la Iugoslavia. Il giorno successivo il Führer si incontrava con re Boris di Bulgaria il quale tenne un contegno molto riservato di fronte alle aperture tedesche. Il 20, aveva luogo a Vienna l'adesione dell'Ungheria al Tripartito, cui facevano seguito il 23 ed il 24 novembre quelle della Romania e della Slovacchia. Da Vienna Hitler scrisse a Mussolini ripetendogli quanto aveva già detto a Ciano. Il capo del governo fascista rispose il 22 novembre dando la propria adesione ai progetti di Berlino relativi alla Iugoslavia ed alla Spagna. Intanto Ribbentrop, che continuava a coltivare la speranza di portare l'URSS ad aderire al Tripartito, inviava a Mosca i progetti dell'accordo nei quali riconfermava le sue proposte iniziali.
Il 26 novembre Molotov comunicava all'ambasciatore tedesco Schulenburg che il governo sovietico era pronto ad accettare il progetto per un patto quadripartito purché le truppe tedesche fossero ritirate dalla Finlandia, la Bulgaria concludesse un trattato di mutua assistenza con Mosca, la Russia acquistasse una base nei pressi degli Stretti ed il Giappone rinunciasse alle sue concessioni nella parte settentrionale di Sachalin. Alla suddetta comunicazione, il presidente del consiglio dei commissarî del popolo faceva seguire la consegna dei testi dei progetti dei cinque protocolli contenenti tali emendamenti e la richiesta di una pronuncia tedesca sulle domande sovietiche.
Sebbene il 30 novembre il Giappone riuscisse a concludere un vasto ma teorico accordo con Wang Ching Wei, le ultime settimane del 1940 videro sostanzialmente una serie di delusioni diplomatiche delle potenze dell'Asse. Il governo di Belgrado, dopo una favorevole accoglienza iniziale di Marković alle aperture di Hitler che prevedevano l'attribuzione di Salonicco alla Iugoslavia a spese della Grecia, assunse un atteggiamento dilatorio e stipulò soltanto un trattato di amicizia perpetua con l'Ungheria (12 dicembre). La Bulgaria, dopo la visita di A. Sobolev a Sofia (25 novembre) era divenuta più prudente che mai ed ascoltava le offerte di Mosca e di Berlino senza impegnarsi a fondo. La Spagna, dopo il fallimento della missione dell'ammiraglio W. Canaris presso Franco (7 dicembre) diretta a stabilire la data del 10 gennaio 1941 per l'entrata in guerra, aveva tutta l'aria di volere restare alla finestra. In Francia il licenziamento di Laval (14 dicembre) e l'invio di M. Weygand in Algeria, stavano ad indicare la persistenza della minaccia di una defezione dell'Impero. Hitler fece studiare allora (18 dicembre) un piano di attacco contro la Russia e si accordò con l'Ungheria e la Romania per il passaggio delle truppe tedesche che avrebbero dovuto in primavera assalire la Grecia. La possibilità di un'intesa con Mosca non era ancora scartata a priori, ma a Berlino non si intendeva acquistarla con l'abbandono della Bulgaria e della Turchia, il che la rendeva, se non impossibile, assai problematica. In tale estrema ricerca da parte del Narkomindiel e della Wilhelmstrasse di un punto d'incontro, la via italiana parve a Mosca presentare un qualche interesse. Nella prima metà di dicembre venivano così ripresi da Molotov alcuni temi già toccati in conversazioni con l'ambasciatore A. Rosso fin dal mese di giugno. Attraverso la delimitazione dei rispettivi interessi italo-sovietici nei Balcani, la Russia pensava di ottenere per l'interposizione di Roma quei chiarimenti e quelle garanzie che Berlino non era in grado di dare direttamente. Le conversazioni progredirono rapidamente anche nel mese successivo, ma ad esse Ribbentrop pose praticamente termine nel febbraio 1941, informando Roma di non ritenere più possibile un regolamento amichevole dei rapporti tra il Reich e l'URSS.
L'inizio del terzo anno di guerra, con l'incontro Filov-Ribbentrop a Vienna (1° gennaio 1941), portò all'abbandono delle posizioni di attesa da parte della Bulgaria. In tale occasione il governo di Sofia, dietro la promessa di compensi a spese della Grecia, specialmente in Macedonia e sull'Egeo, diede il proprio consenso di massima al passaggio delle truppe tedesche sul suo territorio in vista del progettato attacco alla Grecia, e promise di annunciare a breve scadenza l'adesione al Tripartito (il che, per varie ragioni, non avvenne che il 1° marzo). Dopo le richieste di Molotov, questa mossa equivaleva sostanzialmente alla decisione di abbandonare ogni progetto di intesa con Mosca. Caduta la maggior parte delle speranze di un'immediata e proficua collaborazione con la Francia, il 19 gennaio Hitler convocava presso di sé Mussolini e Ciano, ai quali dava incarico di esercitare nuove pressioni su Madrid per affrettarne l'intervento. Tre giorni dopo il ministro degli Esteri fascista trasmetteva a Serrano Suñer l'invito per un incontro tra Franco e Mussolini che doveva effettivamente avere luogo poi a Bordighera il 12 febbraio. Prima della sua partenza il Caudillo riceveva un ultimo appello del Führer sotto forma di lettera del 6 febbraio, ma tanto egli quanto il suo ministro degli Esteri ribadirono al capo del governo fascista le note condizioni preliminari di aiuti specialmente alimentari e di maggiori compensi coloniali per intervenire in guerra. Mussolini non esercitò particolari pressioni e si limitò a trasmettere ad Hitler le richieste di Franco, il quale, sulla via del ritorno, si incontrava con Pétain. ll Caudillo rispose al cancelliere con una lunga lettera del 25 febbraio in cui venivano confermate le precedenti difficoltà; e, dopo questo messaggio, dovevano cadere gran parte delle ultime speranze dell'Asse in un intervento della Spagna che, con un protocollo segreto col Reich del 10 febbraio, aveva limitato i suoi impegni a respingere ogni penetrazione di forze anglo-americane tanto sul corridoio metropolitano quanto su quello coloniale. D'altra parte il 26 febbraio veniva annunciata a Londra la conclusione di un accordo provvisorio anglo-spagnolo per la zona di Tangeri. Sempre in questo inizio del terzo anno di guerra, il 12 febbraio il governo fascista chiedeva, per ragioni militari, la chiusura dei consolati americani di Napoli e di Palermo, al che gli Stati Uniti replicavano il 5 marzo domandando alla loro volta la chiusura dei consolati italiani di Newark, New Jersey e Detroit.
Intanto i rapporti russo-tedeschi andavano sempre peggiorando. Il 10 gennaio veniva concluso un accordo germano-sovietico concernente il regolamento della questione delle minoranze; e Schulenburg e Molotov sottoscrivevano un protocollo segreto per compensare con una somma di denaro la rinuncia tedesca ad una striscia di territorio in Lituania, che l'URSS desiderava trattenere, sebbene l'accordo del 23 agosto 1939 l'avesse inclusa nella sfera germanica. Tuttavia il presidente del consiglio dei commissarî del popolo non nascose il proprio risentimento per la mancata risposta di Berlino alle proposte del 26 novembre 1940, per i movimenti di truppe tedesche in Romania ed in Bulgaria e per l'adesione di Sofia al Tripartito, atti questi qualificati come contrarî agl'interessi dell'Unione Sovietica. La crisi tra Berlino e Mosca era nell'aria e dell'argomento Hitler parlò con visibile preoccupazione a Ciano il 25 marzo alla vigilia della firma d'adesione della Iugoslavia al Tripartito, altro avvenimento questo che non poteva riuscire gradito a Mosca. Senonché il 27 marzo un colpo di stato a Belgrado rovesciava il governo Cvetković e poneva sul trono il giovane re Pietro il quale concludeva il 4 aprile un trattato di non aggressione con l'Unione Sovietica. Hitler reagiva immediatamente e deliberava di attaccare la Iugoslavia.
Mentre Hitler stava prendendo le ultime decisioni per l'attacco alla Grecia ed alla Iugoslavia (6 aprile) giungeva a Berlino, proveniente da Mosca, il ministro degli Esteri giapponese Y. Matsuoka (27 marzo). Il governo dell'impero del Sol Levante, nonostante i suoi recenti successi diplomatici in Estremo Oriente (mediazione nel conflitto franco-thailandese - 11 marzo), per il contrasto tra le varie correnti interne, non aveva ancora definito la propria linea di condotta finale. Pertanto, mentre l'ambasciatore del Tenno a Washington si incontrava ripetutamente con Roosevelt e Cordell Hull (14 febbraio, 8, 14 marzo) - l'11 marzo era stata approvata la legge Affitti e prestiti, formidabile strumento di cooperazione degli Stati Uniti contro l'Asse - Matsuoka profittò della breve sosta a Mosca per vedere Stalin e Molotov con i quali esaminò la possibilità di concludere un patto di non aggressione per il quale i due governi avevano fino a quel momento ripetutamente compiuti vani tentativi. A Berlino Matsuoka si sentì dire da Hitler e da Ribbentrop che la Germania aveva già vinto la guerra, che i rapporti con la Russia erano corretti ma risentivano dei sospetti reciproci, che una cooperazione con Mosca era impossibile, che una guerra russo-tedesca era possibile, che una discussione per l'adesione dell'URSS al Tripartito era sconsigliabile non potendo la Germania accettare le condizioni poste da Molotov, che il Reich avrebbe prestato assistenza al Giappone in caso di aggressione sovietica e che un attacco nipponico su Singapore avrebbe spezzato la resistenza britannica e tenuto gli Stati Uniti fuori del conflitto. Matsuoka mostrò di gradire l'invito relativo a Singapore e promise di adoperarsi in tale senso. Non nascose tuttavia la propria disposizione a negoziare un patto di non aggressione con la Russia. Da Berlino, il ministro del Tenno proseguì fino a Roma ove il 1° aprile vide Mussolini e Ciano che gli indicarono doversi ritenere gli Stati Uniti come il nemico n. 1 e la Russia il n. 2. Matsuoka sostò nuovamentei il 4 aprile, a Berlino ove riferì le sue impressioni romane. In tale occasione Hitler gli assicurò l'assistenza tedesca in caso di guerra nippo-americana. Sulla via del ritorno in patria il capo del Gaimusho doveva trattenersi parecchi giorni a Mosca, ove il 13 aprile stipulava all'ultimo momento un patto di non aggressione con la Russia, accompagnato da un impegno segreto di rinuncia ai diritti minerarî del Giappone nella parte settentrionale dell'isola di Sachalin.
Concluse rapidamente le operazioni militari in Iugoslavia (il 10 aprile veniva proclamato a Zagabria lo stato croato, l'11 le truppe ungheresi varcavano la frontiera - Teleki si era suicidato il 3 per non mancare alla sua parola documentata nel recente patto di amicizia perpetua con la Iugoslavia - il 16 la Bulgaria rompeva le relazioni diplomatiche, il 17 il governo di Belgrado deponeva le armi, il 19 le truppe bulgare sostituivano quelle tedesche) ed alla vigilia della fine di quelle in Grecia (23 aprile), Ciano si incontrava il 20 aprile a Müncherkirchen con Hitler ed il 21-22 a Vienna con Ribbentrop per concordare il nuovo assetto territoriale balcanico. Al termine di tali colloqui si conveniva che l'Italia si sarebbe annessa la parte della Slovenia lasciatale dalla Gemania e le isole Ionie.
La frontiera italo-croata sarebbe stata negoziata direttamcnte tra Roma e Zagabria, consentendo peraltro Hitler ad un'unione personale tra il regno d'Italia e la Croazia. L'Albania sarebbe stata ingrandita fino alla linea Florina-Pindo-Arta-Prevesa dalla parte della Grecia e con un tratto del Kossovo. L'intera Macedonia doveva toccare alla Bulgaria che il Führer intendeva accontentare anche per Salonicco. Il Montenegro doveva tornare ad essere ricostituito quale stato indipendente, unito all'Italia da vincoli costituzionali e politici da precisare in prosieguo di tempo. La Serbia sarebbe stata ridotta ai minimi termini dovendo fare le spese delle rivendicazioni bulgare, romene, croate ed ungheresi. Pertanto Ciano si incontrava il 25 aprile con A. Pavelića Lubiana e, dopo lunghe trattative, attraverso un nuovo incontro Mussolini-Ciano-Pavelića Monfalcone (7 maggio), venivano definite le questioni controverse. Il 18 maggio avevano quindi luogo a Roma la cerimonia dell'offerta della corona della Croazia ad un principe di casa Savoia e la firma di trattati per la delimitazione dei confini, di garanzia e di collaborazione, di protezione delle minoranze e di carattere militare. In base ad essi l'Italia acquistava gran parte della Dalmazia, delle isole adriatiche e le Bocche di Cattaro.
10. La Germania attacca l'URSS. La Carta Atlantica. Il conflitto si estende al Pacifico (22 giugno-7 dicembre 1941). - Le ultime settimane precedenti l'attacco della Germania alla Russia furono dense di avvenimenti che ci limitiamo a menzionare. Il 7 aprile gli Stati Uniti annunciavano la decisione di occupare la Groenlandia. Il 16, Cordell Hull indicava all'ambasciatore Nomura i seguenti 4 punti considerati dagli Stati Uniti preliminari a qualsiasi trattativa nippo-americana: 1) rispetto reciproco dell'integrità territoriale; 2) non interferenza negli affari interni; 3) mantenimento del principio della porta aperta; 4) conservazione dello status quo nel Pacifico.
Il 2 maggio scoppiava nell'‛Irāq una rivolta contro gli Inglesi ad opera di Rashād ‛Alī che al principio di febbraio aveva dovuto abbandonare il governo da lui formato il 31 marzo 1940. Nonostante gli aiuti inviati dall'Asse per via aerea attraverso la Siria le truppe britanniche avevano rapidamente ragione del movimento ed il 31 maggio veniva stipulato un armistizio anglo-iracheno. In connessione a tale azione e per reazione all'incontro Hitler-Darlan a Berchtesgaden nel quale erano state concordate le facilitazioni della Francia al transito degli aiuti militari tedeschi, erano pure cominciate in Siria le ostilità tra le truppe fedeli a Vichy e quelle britanniche e francesi di De Gaulle provenienti dalla Palestina. Anche qui gli Inglesi avevano rapidamente il sopravvento ed il 14 luglio veniva sottoscritta a San Giovanni d'Acri una convenzione di armistizio. Il giorno stesso, d'iniziativa delle forze degolliste, era proclamata l'indipendenza della Siria e l'abolizione del regime mandatario. Tale nuovo Stato era poi riconosciuto il 6 ottobre dall'Egitto e il 28 dalla Gran Bretagna.
Il 4 maggio, dietro invito di Berlino, Ciano inviava una nuova lettera a Serrano Suñer per indurre la Spagna ad entrare in guerra. Il 9 maggio, l'URSS compiva un gesto mirante ad attenuare la tensione con la Germania: il riconoscimento dei governi iugoslavo, belga e norvegese veniva revocato. Il 12 maggio l'ambasciatore del Giappone a Washington presentava la proposta di un accordo generale basato su tre punti: 1) invito degli Stati Uniti a Ch'ang Kai-shek per trattare la pace con Tōkyō, cessando, in caso di rifiuto, ogni assistenza alla Cina; 2) ripristino delle normali relazioni commerciali nippo-americane; 3) appoggio degli Stati Uniti al Giappone per il libero accesso alle risorse naturali del Pacifico sud-occidentale. Inoltre K. Nomura confermava che il suo Governo intendeva mantenersi fedele agli impegni assunti col Tripartito. Il giorno stesso le potenze dell'Asse premevano invece a Tōkyō affinché il Giappone assumesse un atteggiamento più decisamente antiamericano. Il 13 giungeva improvvisamente a Roma Ribbentrop per cercare di attenuare l'impressione sfavorevole provocata dalla fuga di Hess in Gran Bretagna e mettere le mani avanti per quelle rivelazioni su certi antichi propositi anti-italiani dei nazisti che si temeva dovesse fare l'antico luogotenente del Führer. Il 27, Roosevelt proclamava lo stato di grave emergenza nazionale e confermava la politica dei massimi aiuti alle democrazie. Il 2 giugno, Hitler, Mussolini, Ciano e Ribbentrop si incontravano al Brennero. I colloqui mettevano soltanto in evidenza l'assenza di un piano generale tedesco. Il cancelliere sottolineò la crisi dei rapporti con la Russia, ma dichiarò premature le voci di un prossimo inizio delle operazioni. Si convenne di affrettare l'adesione della Croazia al Tripartito e di esercitare nuove pressioni sulla Spagna. Il giorno successivo, pertanto, Ciano scriveva ancora una volta a Serrano Suñer e Mussolini, in un postscriptum, insisteva affinché Madrid aderisse subito almeno al Tripartito. La risposta, naturalmente negativa, era basata sui consueti argomenti. Essa venne comunicata da Ciano a Ribbentrop il 15 giugno a Venezia ove entrambi si erano recati per la cerimonia dell'adesione della Croazia al Tripartito. In tale occasione il ministro degli Esteri del Reich sottolineava le difficoltà incontrate per una politica di collaborazione con Vichy (il 7 maggio era stato annunciato a Vichy l'accordo franco-tedesco con il quale la Germania si era indotta ad accordare la riduzione delle spese di occupazione e la più facile circolazione fra la zona libera e quella occupata) ed insisteva affinché la Francia fosse ménagée dall'Asse, per evitare un'immediata defezione dell'Africa settentrionale. Evidentemente Ribbentrop intendeva riferirsi agli accordi segreti sottoscritti a Parigi il 28 maggio 1941 da Darlan e O. Abetz, i quali prevedevano una serie di facilitazioni da parte francese in Siria e in Africa Settentrionale, Occidentale ed Equatoriale. Detti accordi, il cui testo non era stato ancora comunicato al Governo fascista, erano condizionati alla concessione preliminare da parte tedesca di rinforzi per gli apprestamenti difensivi dell'AOF e di concessioni politiche ed economiche per giustificare dinanzi all'opinione pubblica francese l'eventualità di un conflitto armato con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Questa clausola venne subito utilizzata dal Governo di Vichy per rinviare l'applicazione degli accordi, e la campagna di Russia doveva confermarlo definitivamente in tale linea di condotta. Ribbentrop lasciò pure capire che lo scontro con la Russia era imminente e partì improvvisamente, richiamato da Berlino per l'aggravarsi della situazione. Il 17 giugno veniva sottoscritto ad Ankara un patto decennale di amicizia turco-tedesco che impegnava i due stati a rispettare l'integrità e l'intangibilità dei rispettivi territorî e a non prendere alcuna misura diretta o indiretta contro l'altra parte. Il 19, una nota del Dipartimento di stato richiedeva ai governi dell'Asse la chiusura di tutti i loro consolati entro un mese. Il 21, gli Stati Uniti consegnavano la risposta alle proposte del 12 maggio. In essa si suggeriva una formula diretta a specificare che il Giappone non era tenuto a combattere l'America qualora questa fosse intervenuta nel conflitto europeo per legittima difesa e si proponeva di compiere un ulteriore sforzo per risolvere in modo soddisfacente la questione dello stazionamento delle truppe nipponiche in Cina e di una collaborazione economica nippo-cinese. Washington respingeva tuttavia ogni idea di cessazione degli aiuti al governo di Ch'ang Kai-shek e suggeriva molteplici modificazioni alle proposte di Tōkyō per armonizzarle così ai quattro punti preliminari indicati il 16 aprile.
L'attacco all'URSS da parte della Germania aveva inizio il 22 giugno 1941. (Questa decisione, che doveva esercitare un peso fondamentale sull'esito della seconda Guerra mondiale, fu voluta personalmente da Hitler. Egli era deluso per gli inattesi sviluppi del patto dell'agosto 1939, che aveva finito per giocare molto più a favore dell'URSS che della Germania, e preoccupato della crescente pressione militare sovietica alle frontiere orientale e sudorientale. Nella fallace sicurezza di rinnovare ad Est i folgoranti successi riportati nelle precedenti campagne e nell'impossibilità di invadere la Gran Bretagna, Hitler si proponeva ora di ricercare ad oriente quelle fonti di rifornimento e quello "spazio vitale" che erano cari alla sua antica dottrina. Era, in sostanza, una prova di debolezza, anche se l'impresa, a torto, era ritenuta militarmente di rapida attuazione. La Russia aveva, nelle ultime settimane, cercato con ogni mezzo di evitare qualsiasi provocazione e di impedire lo scontro, ma ormai il cancelliere aveva deciso. La notizia colse il governo fascista di sorpresa e venne giustificata in una lunga lettera del Führer a Mussolini, del 21 giugno, consegnata a Ciano quando già le truppe del Reich stavano varcando la frontiera. Subito le potenze del Tripartito si accodarono a Berlino (l'Italia e la Finlandia il 22; la Romania, la Slovacchia e l'Ungheria rompevano prima le relazioni, quindi entravano in guerra; così pure la Croazia). Mentre le forze armate tedesche avanzavano ad oriente, l'attività diplomatica dei loro avversarî acquistava nuovo vigore. Il 7 luglio 1941 gli Stati Uniti occupavano l'Islanda su invito del governo dell'isola; il 12 la Gran Bretagna concludeva un'alleanza con l'URSS.
Subito dopo avevano inizio laboriose trattative russo-polacche concluse con l'accordo Sikorski-Majskij del 30 luglio. In base ad esso si stabiliva: 1) la decadenza degli accordi russo-tedeschi del 1939; 2) la liberazione di tutti i prigionieri cittadini polacchi; 3) la creazione, sotto gli auspici dell'ambasciata di Polonia a Mosca, di un'organizzazione di soccorso per i Polacchi abitanti nell'URSS; 4) la formazione di un'armata polacca da reclutare tra i residenti in Russia; 5) il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. La Polonia non riuscì tuttavia ad ottenere il riconoscimento esplicito dell'antica frontiera del trattato di Riga, il che portò alle dimissioni del ministro degli Esteri A. Zaleski (30 luglio). Contemporaneamente, il governo britannico informava quello polacco di non avere concluso con l'URSS nessuna intesa concernente la Polonia e di non riconoscere i mutamenti territoriali dell'agosto 1939. Il 6 agosto il governo di Mosca ripristinava le relazioni diplomatiche con la Norvegia, dichiarava che il patto di amicizia con la Iugoslavia doveva considerarsi in vigore ed il 7 annunciava la ripresa dei rapporti con il Belgio.
Avendo Roosevelt decretato il congelamento di tutti i beni giapponesi (26 luglio) in seguito all'azione nipponica in Indocina, il 6 agosto l'ambasciatore Nomura presentava a Washington nuove proposte in cui, fra l'altro, si suggeriva: 1) l'abolizione delle misure contro il commercio con il Giappone; 2) la sospensione dei provvedimenti militari degli Stati Uniti nel Pacifico sud-occidentale; 3) la mediazione di Washington per l'inizio di trattative dirette tra la Cina ed il Giappone; 4) il ritiro delle truppe nipponiche dall'Indocina, dopo la conclusione dell'accordo tra Tōkyō e Ch'ung K'ing; 5) il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della posizione speciale dell'impero del Sol Levante nell'Indocina. Due giorni dopo, Cordell Hull dichiarò di non poter considerare tali proposte una risposta adeguata a quelle da lui presentate il 24 luglio ed allora Nomura, dietro istruzioni di Konoye, suggerì un convegno segreto Roosevelt-Konoye da tenersi alle Hawaii. Il presidente degli Stati Uniti si incontrò quindi con Churchill (9-14 agosto) presso Argentia (Terranova). Nel corso dei colloqui il primo ministro britannico insisté per un immediato intervento in guerra degli Stati Uniti e venne discussa a fondo la situazione dell'Estremo Oriente, concordando una linea di condotta comune. In base ad essa le conversazioni nippo-americane non sarebbero state riprese se Tōkyō non si fosse preventivamente impegnata a non trattenere le truppe nella zona del Pacifico sud-occidentale, eccettuata l'Indocina, da cui doveva tuttavia promettere di ritirarle in un secondo tempo. Gli Stati Uniti avrebbero proseguito nelle loro misure militari nel Pacifico, anche se ciò avesse potuto portare alla guerra con il Giappone. Inoltre Roosevelt accettò la proposta di Churchill di addossare agli Stati Uniti l'onere dell'occupazione delle isole Azzorre, già prevista per il 15 settembre, ma che ora la Gran Bretagna non riteneva di potere più effettuare senza grave rischio. Al suo ritorno a Londra il primo ministro avrebbe informato il dr. A. O. Salazar della difficile posizione in cui si trovava la marina inglese suggerendogli di rivolgere a Roosevelt una richiesta di assistenza nella difesa delle isole. Contemporaneamente Churchill, pur confermando il proposito di occupare le isole del Capo Verde, si accordava con Roosevelt per affidare, ad operazione conclusa, agli Stati Uniti l'onere della protezione militare di dette isole. Fu allora sottoscritta la famosa Carta Atlantica (vedi carta atlantica, in questa App.).
Intanto, tra Mosca, Londra e Washington avevano luogo intensi scambî di idee per coordinare i rifornimenti bellici. Con riferimento ad essi, sul piano politico-militare i governi dell'URSS e della Gran Bretagna concordarono due importanti azioni nell'‛Irān e nell'Afghānistān.
Il 25 agosto le loro truppe penetravano nell'‛Irān concludendo 3 giorni dopo con un nuovo governo a loro favorevole un accordo tripartito ai termini del quale si consentiva alle forze armate sovietiche e britanniche l'occupazione di tutti i punti vitali e strategici del paese. L'indipendenza e l'integrità di questo erano garantite dalle due potenze che si impegnavano inoltre a concedere all'‛Irān un prestito in cambio della piena collaborazione nel campo dei trasporti dei rifornimenti bellici. In Afghānistān, due note presentate congiuntamente dalla Gran Bretagna e dall'URSS il 1° settembre ed il 3 ottobre portavano il 20 ottobre all'espulsione, con salvacondotto per il rimpatrio, di tutti i sudditi italiani e tedeschi residenti nel paese.
Di ritorno da Argentia, Roosevelt riceveva il 17 agosto l'ambasciatore Nomura cui consegnava due note nelle quali erano esposte le condizioni concordate con Churchill per la ripresa delle conversazioni nippo-americane. Il 25 Mussolini si incontrava con Hitler presso il quartier generale di quest'ultimo. Il colloquio si portò prevalentemente sulle questioni militari determinate dalla campagna orientale e non diede luogo a decisioni politiche particolarmente interessanti. Tre giorni dopo il principe Konoye replicava al messaggio di Roosevelt, insistendo sull'opportunità di un incontro alle Hawaii. Il Giappone era pronto a ritirarsi dall'Indocina non appena regolato l'"incidente" con la Cina, a non attaccare l'URSS fin quando questa avesse rispettato l'accordo dell'aprile e a non fare uso senza provocazione delle proprie forze armate contro nessuno stato vicino. Il presidente degli Stati Uniti rispose il 3 settembre confermando la necessità di un'intesa preliminare sui quattro punti formulati il 16 aprile. Accordatisi su di essi sarebbe stato possibile procedere oltre nelle trattative e prendere in considerazione il progettato incontro. Tre giorni dopo, Nomura consegnava a Hull una nuova edizione delle proposte giapponesi suddivisa in 11 punti, elencanti i primi 7 gli impegni che Tōkyō era disposta ad assumere, e, gli ultimi 4, quelli richiesti a Washington. La nota venne giudicata sfavorevolmente dal segretario di stato poiché la formula concernente gli obblighi del Tripartito era abbastanza evasiva; la rinuncia alle azioni militari a sud del Giappone era condizionata alla formula "senza giustificati motivi"; mancava ogni impegno circa la natura delle condizioni di pace che sarebbero state offerte alla Cina, sul rispetto dell'integrità territoriale cinese, sull'astensione dall'interferire negli affari interni della Repubblica Celeste, sulla durata dell'occupazione militare e sull'applicazione dei principî delle uguali opportunità commerciali. Il 10 settembre l'URSS inviava una nota di protesta alla Bulgaria per l'assistenza data alla Germania. La risposta di Sofia era, secondo le dichiarazioni di Molotov al ministro bulgaro a Mosca, insoddisfacente (18 settembre). Il 27 settembre, l'ambasciatore Nomura presentò una ennesima edizione delle proposte del proprio governo adottando questa volta il sistema di seguire la forma di quelle americane del 21 giugno. La sostanza restava tuttavia praticamente immutata, e ciò fece rilevare il Segretario di stato in un colloquio del 2 ottobre nel corso del quale affermò che il governo americano non poteva considerare le nuove proposte in armonia con i principî cui erano legati gli Stati Uniti. La diffidenza di Washington era inoltre accresciuta dall'ulteriore avanzata delle forze armate del Tenno in Indocina. Questa ferma presa di posizione degli Stati Uniti diede luogo a Tōkyō a forti contrasti sul tenore della risposta da dare. Konoye e l'ammiragliato erano contrarî a spingere le cose all'estremo e sembravano disposti ad effettuare alcune concessioni per la Cina. L'esercito puntava invece su una decisione immediata ritenendo che a lungo andare l'esiguità delle scorte delle materie prime avrebbe costretto il Giappone a capitolare. La vittoria spettò ai guerrafondai. Il 16 ottobre Konoye si dimetteva e il generale H. Tōjō veniva incaricato della formazione del nuovo gabinetto. Il 19, caduta Odessa, un decreto del governo di Bucarest annetteva la città e la regione alla "Transnistria".
Il 25 ottobre 1941, Ciano si incontrava con Hitler. Ancora una volta i loro colloqui si portarono prevalentemente sulle operazioni militari e non presentano una speciale importanza diplomatica. Due giorni dopo, giungeva ancora una volta dall'America notizia di una grave decisione degli S. U. In un discorso, Roosevelt affermò che il cacciatorpediniere Kearney era stato attaccato da un sottomarino dell'Asse e che nello scontro erano rimasti feriti undici marinai (un'inchiesta compiuta successivamente dalla Commissione navale del Senato accertò tuttavia che i siluri erano stati lanciati dopo che il Kearney aveva per tre ore partecipato alla caccia dei sommergibili tedeschi e gettato bombe in profondità). Comunque allora il Presidente annunciò di avere impartito l'ordine alla flotta di aprire il fuoco non appena venisse avvistata una nave in procinto di attaccare. La Camera dei rappresentanti adottava quindi il progetto di legge secondo cui le navi mercantili dovevano essere armate, e la commissione degli Esteri del Senato prendeva una risoluzione intesa ad abolire le zone di guerra. Contemporaneamente giungevano a Washington appelli da Ch'ang Kai-shek e dal governo britannico per l'invio di unità aeree in Cina per parare l'imminente minaccia di un attacco giapponese su Kunming. Il 5 novembre, tuttavia, lo stato maggiore americano si pronunciava contro tali invii. Due giorni dopo, Nomura consegnava a Cordell Hull una nota contenente un progetto di regolamento dello stazionamento delle forze nipponiche in Cina ed in Indocina e dell'applicazione del principio della porta aperta nella Repubblica Celeste. Il Segretario di stato giudicò la proposta priva di concessioni effettive ed il 15 novembre presentò a sua volta il testo di un suo progetto di dichiarazione comune sulla politica economica in Estremo Oriente, dichiarazione che avrebbe dovuto far parte del regolamento generale. I Giapponesi premevano intanto per una sollecita decisione. Dai telegrammi decrittati a Washington risultava che il termine ultimo fissato da Tōkyō ai proprî negoziatori era il 25 novembre (data, si seppe poi, stabilita per la partenza delle forze navali nipponiche destinate all'attacco di Pearl Harbor). Il 17 novembre giungeva a Washington l'ambasciatore straordinario S. Kurusu, che, unitamente a Nomura, si incontrava il 17, 18 e 19 con Roosevelt e Cordell Hull. Nel corso di tali colloqui le due parti discussero a fondo tutti i punti controversi. Sulla base di tali scambî di idee il governo di Tōkyō faceva presentare il 20 novembre le sue ultime proposte. Esse prevedevano: 1) l'impegno reciproco di non far avanzare ulteriormente le rispettive forze armate nell'Asia sudorientale e nel Pacifico meridionale eccettuata quella parte dell'Indocina occupata dalle truppe del Tenno; 2) il ritiro delle forze dall'Indocina dopo il ristabilimento della pace con la Cina, spostandole tuttavia a nord fin dal momento della conclusione dell'accordo nippo-americano; 3) la collaborazione dei due stati nell'acquisto delle merci e delle facilitazioni loro occorrenti nelle Indie Olandesi; 4) il ristabilimento dei rapporti commerciali esistenti prima del congelamento dei beni, dovendo gli S. U. fornire al Giappone un determinato quantitativo di olî minerali; 5) astensione da parte degli Stati Uniti da ogni pregiudiziale al ristabilimento della pace tra la Cina ed il Giappone. Istruzioni segretissime del 22 novembre avvertivano Kurusu e Nomura che il termine ultimo per il completamento degli accordi eventuali era stato spostato al giorno 29, "dopo di che le cose sarebbero procedute automaticamente". In vista della gravità della situazione, i cui termini esatti gli erano noti attraverso la regolare decrittazione di tutti i principali dispacci del governo nipponico all'Ambasciata a Washington, il Dipartimento di stato discusse con le autorità militari il progetto di un modus vivendi temporaneo da proporre al Giappone, per guadagnare il tempo necessario a completare la preparazione bellica. Il testo di detto modus vivendi veniva ultimato il 25 novembre (quel giorno si riunivano a Berlino i ministri degli Esteri ed i rappresentanti della Germania, Italia, Spagna, Giappone, Ungheria, Man-chu-Kwo, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Danimarca, Croazia, Cina di Nanchino e Finlandia per il prolungamento e l'adesione del patto anticomintern), ma, sembra dietro insistenti pressioni di Ch'ang Kai-shek e di Churchill, l'idea, forse neppure essa accettabile per Tōkyō, veniva abbandonata. Il 26 novembre, Cordell Hull pur non facendosi illusioni sulle probabilità di un loro accoglimento da parte nipponica, presentava a Kurusu ed a Nomura le proposte americane definitive.
Esse constavano di due parti. Nella prima i due governi procedevano alla dichiarazione dei noti principî di politica generale. Nella seconda erano elencati i seguenti punti: 1) conclusione di un patto plurilaterale di non aggressione fra l'Impero britannico, la Cina, l'URSS, il Giappone, l'Olanda, la Tailandia e gli Stati Uniti; 2) azione comune per la conclusione di un accordo di rispetto dell'integrità territoriale dell'Indocina, di consultazione sulle misure da adottare nell'eventualità di una sua violazione e di garanzia di uguali opportunità commerciali, da sottoscriversi dai governi britannico, americano, cinese, olandese, giapponese e tailandese; 3) ritiro di tutte le forze armate nipponiche dalla Cina e dall'Indocina; 4) impegno di non appoggiare in Cina altro governo che non fosse quello di Ch'ung K'ing; 5) rinuncia a tutti i diritti di extraterritorialità in Cina ed ai benefici del protocollo dei Boxers del 1901 ed azione per ottenere analogo comportamento dalle altre potenze beneficiarie; 6) inizio di trattative per un trattato commerciale nippo-americano sulla base della clausola della nazione più favorita; 7) abolizione delle misure reciproche di congelamento dei fondi; 8) stabilizzazione del cambio dollaro-yen; 9) impegno di interpretare ogni precedente accordo in modo da non contraddire ai principî fondamentali del nuovo; 10) azione comune per ottenere l'adesione di altri governi ai principî posti alla base dell'accordo.
Nello stesso tempo (30 novembre) la Gran Bretagna inviava un ultimatum alla Romania, alla Finlandia ed all'Ungheria chiedendo la cessazione, entro il 5 dicembre, delle loro operazioni militari contro l'alleata URSS. Scaduto il termine, Londra comunicava la decorrenza dello stato di guerra a partire dal giorno 6.
La risposta di Tōkyō dichiarante la rottura del negoziato, nonostante un appello in extremis del presidente Roosevelt all'imperatore Hiro-Hito, venne presentata a Washington il 7 dicembre un'ora dopo l'inizio dell'attacco su Pearl Harbour. Il giorno successivo il Congresso approvava la dichiarazione dello stato di guerra tra i due paesi. Pure l'8 dicembre si avevano le dichiarazioni di guerra della Gran Bretagna, del Canada, dell'Unione sudafricana, del Brasile, di Costarica, Haiti, Honduras, Olanda. Il 9 era la volta dell'Australia, Nuova Zelanda, Messico, Salvador, Guatemala, San Domingo, Grecia (libera) e Francia (libera); l'11 dell'India, mentre gli altri stati sudamericani esprimevano, in conformità dell'art. 15 della dichiarazione dell'Avana, la loro solidarietà con gli Stati Uniti. L'11 dicembre le potenze dell'Asse, a ciò improvvisamente richieste dal governo di Tōkyō nella notte del 3, dichiaravano simultaneamente guerra agli Stati Uniti e sottoscrivevano con il Giappone un'alleanza formale contenente l'impegno di non concludere armistizio o pace separata e di realizzare i principî contemplati nel Tripartito del settembre 1940. L'intervento dell'Italia e della Germania contro gli Stati Uniti provocava poi ulteriori dichiarazioni di guerra da parte delle citate potenze americane.