secolo
Ricorre in tutte le opere meno che nelle Rime, nelle accezioni che gli sono tuttora proprie o che, pur essendo ormai quasi del tutto cadute dall'uso, avevano larga diffusione nella lingua del tempo.
Un preciso riferimento al s. quale misura in uso per il computo del tempo pari allo " spazio di cento anni ", si ha solo in due esempi: in Pg XXI 80, nella domanda rivolta da Virgilio a Stazio perché mai egli fosse tanti secoli giaciuto in Purgatorio (e la locuzione usata dal poeta mantovano è consapevole ripresa delle parole pronunciate poco prima dal suo interlocutore: son giaciuto a questa doglia / cinquecent'anni e più, vv. 67-68); e in Pd XXXIII 95, dove un punto solo, cioè il " momento " successivo al godimento per D. della visione di Dio, è contrapposto ai venticinque secoli trascorsi da quando gli Argonauti compirono la loro impresa, che la cronologia medievale datava al 1223 a.C. (per l'interpretazione, assai controversa, di tutto il passo, v. LETARGO).
Con valore più indeterminato, in espressione che indica " lungo spazio di tempo ", in Pd VII 29 [per il peccato di Adamo] l'umana specie inferma giacque / giù per secoli molti in grande errore; e così in XXIX 38.
L'ulteriore sviluppo semantico del vocabolo è determinato da due tradizioni lessicali diverse, che però si fondono tra loro in modo inestricabile. Nel latino classico saeculum è frequentemente usato nel senso di " generazione " per indicare sia l'insieme di coloro che vivono nel medesimo tempo, valutato alla durata media della vita umana, sia il periodo di circa trent'anni o poco più in cui questa durata può essere calcolata; d'altra parte, in alcune espressioni molto diffuse di origine biblica, quali " in saecula saeculorum ", " per omnia saecula saeculorum ", ecc., s. suggerisce l'idea del passare del tempo sia come ordine del movimento, secondo la concezione aristotelica (cfr. Phys. IV 10, 218a 33), sia come esperienza soggettiva che del suo fluire hanno i viventi. Nel latino del Nuovo Testamento, inoltre, assai frequentemente (Matt. 12, 32; Marc. 10, 30; Luc. 18, 30; ecc.) saeculum ricorre come traduzione del greco αἰών per indicare l'età presente contrapposta al regno che Cristo instaurerà alla fine dei tempi.
A queste complesse motivazioni concettuali, tutte ugualmente confluite nella formazione culturale di D. e dei suoi contemporanei, si collegano le accezioni per le quali s. è attestato nell'opera dantesca.
L'origine e il valore del vocabolo sono naturalmente assai chiari quando esso ricorra in traduzioni. Così, in Cv III XIV 7 Ond'è scritto di lei [della Sapienza]: " Dal principio dinanzi da li secoli creata sono, e nel secolo che dee venire non verrò meno " (che traduce Ecli. 24, 14 " Ab initio et ante saecula creata sum / et usque ad futurum saeculum non desinam "), dinanzi da li secoli vale " prima del tempo ", cioè prima che con la creazione avesse avuto origine il tempo, mentre nel secolo che dee venire è locuzione allusiva all'eternità successiva alla fine dei tempi. Invece, in Pg XXII 70 Secol si rinova; / torna giustizia e primo tempo umano, il termine è riferito alla nuova età del mondo segnata dall'avvento di Cristo, secondo un'interpretazione tardo-antica e medievale del vaticinio virgiliano di Buc. IV 5-6 " magnus ab integro saeclorum nascitur ordo / iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna ".
S. è frequentemente usato come sinonimo di " età "; così, Lo secol primo (Pg XXII 148) è l'età de l'oro (XXVIII 140) della tradizione classica: i secoli recenti (Pd XXXII 76) sono le prime etadi (v. 79), cioè i primi due (da Adamo a Noè, il primo; da Noè ad Abramo, il secondo) fra i sei periodi in cui s. Agostino (In Ioan. II 10-16) divideva la storia del mondo.
A riflettere su questa divisione della storia in periodi D. è indotto dalla comparazione istituita fra il cielo delle Stelle fisse e le scienze della Fisica e della Metafisica, in Cv II XIV; per effetto dei due movimenti di quel cielo noi siamo già ne l'ultima etade del secolo (§ 13), siamo già cioè nell'ultimo periodo " del tempo destinato al mondo ". Una definizione semantica, questa, che trova piena conferma nella chiosa proposta dal Lana per Pg XXX 105 Voi vigilate ne l'etterno die, / sì che notte né sonno a voi non fura / passo che faccia il secol per sue vie (" el seculo, el tempo, per sue vie, per sue estensioni e progressi "). Qui s. è " il mondo degli uomini ", " l'umanità vivente "; ma Beatrice, ricordando agli angeli come essi vedano rispecchiati in Dio gli accadimenti umani, consapevolmente contrappone all'eterno presente, fuori del tempo, della sostanza divina la limitatezza dell'operare umano che si svolge nel tempo.
Come già è stato osservato, s, può valere " generazione ", e anche con quest'accezione si alterna con ‛ età ': Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna / l'antica età la nova (Pg XVI 121-122), osserva amaramente Marco Lombardo; e D., per chiedergli notizie di uno fra loro, gli domanda qual Gherardo è quel che tu... / dì ch'è rimaso... / in rimprovèro del secol selvaggio (v. 135), per rimprovero " agli uomini di oggi " viziosi e degenerati.
S. è dunque anche il tempo attuale, in quanto stato di vita, e quindi la vita stessa, contrapposta alla vita eterna, al mondo ultraterreno: è questo un uso assai frequente nella Vita Nuova. ‛ Partire di questo s. ' (XXIII 6, XXX 1) significa perciò " morire "; secol... tanto noioso (XXXIII 5 8) o secolo senz'altro (VIII 10 13) è " questa vita "; al contrario grande secolo (III 1), secol novo (XXXI 15 61), secol degno (XXXII 6 11) sono tutte espressioni che indicano la vita eterna. E vada qui anche If II 15 ad immortale / secolo andò, che allude alla discesa di Enea agl'Inferi (per un ampio esame del valore di questa locuzione, cfr. F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 187-188).
Resta isolato l'esempio di Fiore LXXXVIII 5 Alcuna volta per lo secol voe, / ma dentro a' chiostri fuggo in salvitate. Come risulta chiaramente dall'antitesi con chiostri, qui s. indica la " vita mondana " dei laici, di coloro che non hanno uno stato religioso, o, meglio, essendo usato in senso concreto, i laici stessi. Anche quest'accezione è assai comune alla lingua del tempo, documentata da D. Cavalca: " La mala vita, e lo spargimento de li sentimenti e sollecitudini del secolo impediscono le nostre orazioni " (Crusca4); G. Villani V 16 " La fece uscir del monastero, e dispensò in lei, ch'ella potesse essere al secolo, e usare il matrimonio ".