SECANTE
(o SECANTI). – Famiglia di artisti attivi in Friuli tra il XVI e il XVII secolo. Sebbene la loro opera non abbia riscosso molti consensi tra gli storici e gli intenditori d’arte, i Secante costituirono una delle botteghe più produttive della regione, ottenendo diverse commissioni sia nella loro città sia in centri minori. La difficoltà nel ricostruire la vita e l’attività di questi artisti deriva non solo dalla scarsità di documentazione, perlopiù tramandata da fonti indirette, ma anche dal fatto che solo un terzo all’incirca delle loro opere è giunto sino a noi e che è stata fatta spesso confusione tra l’uno e l’altro componente della famiglia.
I capostipiti furono i fratelli Sebastiano e Giacomo, figli di Sebastiano Segatto, calzolaio originario di Porcia. Sebastiano, detto il Vecchio per distinguerlo dall’omonimo nipote, fu attivo a partire dal 1537, quando ottenne il pagamento per una pala destinata al duomo di Cividale (Joppi, 1894, p. 35). Di lui parla per primo Carlo Ridolfi (1648), citandolo, insieme al fratello, in calce alla vita del Pordenone e riferendogli una tavola per la chiesa udinese di S. Lucia e alcuni incarichi per i «rettori» di Udine e di una tavola per la chiesa di S. Lucia. In realtà è molto probabile che egli abbia equivocato, trattandosi di opere rispettivamente di Sebastiano il Giovane e del di lui figlio Secante. Stando ad Antonino Bertolotti (1884), tra il 1560 e il 1564 Sebastiano sarebbe stato impegnato a Roma, accanto ad altri artisti, nella decorazione delle Logge Vaticane. A lui è sicuramente attribuibile la pala con la Madonna con il Bambino tra i ss. Ermagora e Fortunato per la chiesa di S. Giovanni Battista di Gemona (oggi nel locale Museo civico), grazie a un’iscrizione, oggi parzialmente leggibile ma riportata da Fabio di Maniago (1819, 1999, p. 175), che ci restituisce anche la data di esecuzione, il 1558. Nel dipinto è evidente il debito nei confronti del Pordenone e di Amalteo, dando ragione a Girolamo de Renaldis, che riconosce in costui il suo maestro («sotto del quale, se non apprese l’arte dapprincipio, vi si perfezionò certamente in progresso», 1796, p. 54): vi si notano infatti affinità con la pala pordenoniana della parrocchiale di Susegana e con quella di Amalteo a Motta di Livenza. Andrebbero riferite all’artista, oltre al dipinto documentato da Joppi per il duomo di Cividale, la tela con i Ss. Agostino e Daniele nella chiesa omonima di Gemona (poi duomo, oggi Museo della pieve e tesoro del duomo), tre tavolette di provenienza ignota conservate ai Musei civici di Udine (cfr. G. Bergamini, in La Galleria d’arte antica, 2002, p. 140, e Id., 2009, p. 2326), e alcuni affreschi nella chiesa di S. Stefano a Vermegliano, il cui richiamo al manierismo romano potrebbe dar fondamento all’idea di un soggiorno dell’autore nell’Urbe (Brunetti Bulfoni, 1987, pp. 14-20; R. Radassao, in Maniago, 1819, 1999, p. 26 nota 31). Sebastiano morì nel 1581, mentre resta ignota la data di nascita (Joppi, 1894, pp. 35 s.).
Del fratello Giacomo o Jacopo, detto il Trombon, come è citato nei documenti (Maniago, 1819, 1999, p. 164, doc. LXXXIV) e come si firmava egli stesso (si veda la pala di S. Martino d’Asio, sottoscritta «Iacomo Secante detto il Tronbon pitor d’Udene»), si hanno notizie a partire dal 1534, anno di esecuzione di alcuni affreschi per la Confraternita dei Calzolai di Udine (dove lavorò a lungo, affiancato poi dal figlio Sebastiano). Non ha fondamento l’affermazione di Ridolfi (1648) secondo cui egli avrebbe iniziato a dipingere a cinquant’anni. Tuttavia quella di pittore non fu probabilmente la sua unica attività, come risulta da un’annotazione autografa presente, insieme con altre scritte e disegni, in un quaderno della Fraterna di S. Maria di Castello, in cui si autodefinisce «sartor» (Radassao, 1999, pp. 7 s.). Perduti la decorazione per la Confraternita dei Calzolai e un dipinto per la chiesa di S. Tomaso a Moruzzo (Joppi, 1894, p. 34), la sua prima opera certa è quella per la parrocchiale di Rizzolo del 1552. Al sesto e settimo decennio vanno riferiti i suoi lavori migliori: la pala per la chiesa di S. Giacomo di Fagagna (1555), il S. Giorgio uccide il drago di Nogaredo di Corno (1557), la decorazione della parrocchiale di Villanova dello Judrio (ante 1558), i tre dipinti del coro iemale del duomo di Udine (1559), che costituiscono «il suo più altro raggiungimento» (Bergamini, 2009, p. 2324), e il trittico per la parrocchiale di Beivars. Tali opere richiamano non solo quelle del Pordenone e di Amalteo, ma anche modelli romani, da Michelangelo a Raffaello, cosa che potrebbe derivargli dall’esperienza del fratello e dallo studio delle stampe (R. Radassao, in Maniago, 1819, 1999, p. 27), o forse addirittura da un viaggio nell’Urbe (Id., 1999, p. 11). Esse comunque gli procurarono una grande fama e una buona considerazione. Emilio Candido (1886), narrando di una collaborazione tra Giacomo e Amalteo per una scenografia («cosa rara e fuori di modo bella») di una commedia recitata nel castello di Udine nel febbraio 1563, si riferisce a entrambi gli artisti come «pittori eccellenti».
Altri dipinti sicuri ed eseguiti successivamente sono la pala della chiesa di S. Martino d’Asio, del 1576, i Ss. Biagio, Gottardo e Lucia già in collezione Calligaris di Terzo d’Aquileia, opera realizzata in collaborazione con il figlio (1579), e il dipinto di Lonca di Codroipo, concluso dopo la sua morte (1592). A Giacomo andrebbero inoltre attribuiti un quadro con l’Immacolata e santi del duomo di Udine (1547), la decorazione della chiesa di Fogliano (1572), il trittico raffigurante i santi titolari nella chiesa dei Ss. Canzio, Canziano e Canzianilla a Canzian d’Isonzo (1581), e un polittico nella chiesa di S. Rocco a Faedis. Si dà a Giacomo anche la tela ottagonale con figure allegoriche al centro del soffitto del salone del Parlamento nel castello udinese, datata 1583, come dimostra lo stemma del luogotenente Antonio Cavalli. La sua ultima opera fu la decorazione della chiesa della Trinità a Risano, compiuta nel 1585, anno della sua morte (22 dicembre; Joppi, 1894, p. 35).
Giacomo, come anticipato, ebbe un figlio pittore, Sebastiano. Se si dà credito a Fabio di Maniago (Maniago, 1819, 1999, p. 176 nota 2; R. Radassao, ibid., p. 27), i quali lessero «octo et viginti annorum f. 1567» sulla pala con S. Nicola da Tolentino (già Udine, chiesa di S. Lucia, oggi Aviano, duomo), egli sarebbe nato nel 1539 e non nel 1527, come ha fatto a lungo pensare l’iscrizione del Ritratto di medico (Udine, Civici Musei, già collezione privata triestina), che, oltre alla firma e alla data 1562, riporta l’indicazione «AETATIS SUAE XXXV». Secondo Giuseppe Pilo (1972, p. 26), infatti, si tratterebbe di un autoritratto, cosa esclusa più di recente (Bergamini, 2002, p. 140). Egli sposò Virginia, figlia di Pomponio Amalteo, da cui ebbe cinque figli, Pomponio, Secante, Euridice, Lucrezia e Sestella. Nel quadro dei Civici Musei di Udine è possibile riscontrare buone doti di ritrattista, che lo avvicinano ai modi, ancora una volta, di Pordenone e Amalteo. Nella sua produzione vanno inclusi con certezza solo questo ritratto e la già citata pala di S. Lucia, cui si aggiungono i perduti affreschi per la Confraternita dei Calzolai, eseguiti a fianco del padre tra il 1570 e il 1573, e il dipinto già in collezione Calligaris, cui lavorò sempre con il padre nel 1579. Questa data costituirebbe il terminus post quem per la morte dell’artista, che, secondo Franco Quai e Giuseppe Bergamini (1984), sarebbe comunque avvenuta entro il 1581.
Le notizie che riguardano il primogenito di Sebastiano, Pomponio, sono assai scarse: da Vincenzo Joppi (1894, p. 36) sappiamo solo che sposò una certa Isabella, da cui ebbe un figlio, Giacomo, pure lui pittore. A Pomponio si possono attribuire solo la Resurrezione di Cristo per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Gradisca d’Isonzo (Bergamini, 1981, p. 107) e la pala della parrocchiale di Trivignano (1610), che dimostrano un generico riferimento alla pittura di Amalteo.
Ben più produttivo fu il fratello Secante, nato il 23 settembre 1571 (Joppi, 1894, p. 36). Nulla si conosce circa la sua formazione, che si deve comunque presumere avvenuta all’interno della bottega familiare, anche se Aldo Rizzi (1963, p. 11) lo dice allievo del conterraneo Vincenzo Lugaro. Nella sua produzione si rintracciano echi di Amalteo, ma anche dei veneti Bassano, Jacopo e Domenico Tintoretto e Palma il Giovane, in particolare per l’attenzione ritrattistica e la predilezione verso tinte scure. Una delle sue prime opere documentate è la copia della Madonna con il Bambino di Cima da Conegliano nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Gemona, che Secante, incaricato di restaurare l’originale, realizzò nel 1590 per sostituirla a esso durante i lavori. Per la stessa chiesa dipinse un S. Diego, sempre nel 1590, e l’anno successivo la Nascita della Vergine (le tre opere si trovano oggi nel Museo civico locale).
Molta parte del suo successo è dovuta alle commissioni giuntegli dagli affiliati di importanti confraternite e dai rappresentanti del potere pubblico. A lui si rivolsero i rettori della Confraternita del Crocifisso, cui consegnò un telero, firmato e datato 1609, conservato nella chiesa udinese di S. Antonio Abate. Già sul finire del secolo precedente egli realizzò per il luogotenente in carica, Stefano Viario, un dipinto devozionale un tempo nella chiesa di S. Rocco presso il castello di Udine (oggi collezione del Museo del duomo, dal 1996 presso palazzo Della Porta, sede della curia arcivescovile). Per altri luogotenenti licenziò, rispettivamente nel 1610, nel 1618 e nel 1619, tre teleri da porre nelle sale del castello, ossia l’Omaggio del luogotenente (probabilmente Leonardo Morosini) e dei deputati della città di Udine alla Vergine e al Redentore, la Celebrazione dei Basadonna (1618) e l’Omaggio del luogotenente Bertuccio Contarini a s. Marco (1619). Qui personaggi reali, allegorie e santi partecipano a una scena eccessivamente affollata, in una sorta di horror vacui che non consente di individuare un vero punto focale, motivo per cui i teleri non ottennero giudizi positivi nel corso del tempo (cfr. Maniago, 1819, 1999, p. 77). Tuttavia essi mettevano in evidenza le buone capacità di ritrattista del loro artefice, molto apprezzate dai contemporanei, tanto che alcuni importanti personaggi di Udine si rivolsero a lui per il proprio ritratto, come Giorgio Gropplero di Gemona (1604, quadro perduto) e soprattutto Marcantonio Fiducio, che nel 1608 fu effigiato in un dipinto (giunto a noi mutilo) pagato con denaro pubblico e collocato nel palazzo comunale. Secante avrebbe realizzato anche il Ritratto di Francesco Manin, vescovo di Cittanova (documentato in Faccioli - Joppi, 2007, p. 73 e forse corrispondente a un ritratto non attribuito conservato nei depositi del duomo udinese) e due ritratti di gentiluomini non meglio identificati, rispettivamente ai Musei civici di Udine e Pordenone.
Tra il 1610 e il 1615 l’artista fu impegnato nel castello del capoluogo friulano: oltre ai già citati teleri devozionali, a lui furono assegnati alcuni riquadri per il soffitto del salone del Parlamento, il cui dipinto centrale, come s’è detto, fu eseguito da Giacomo il Trombon. Si devono a Secante le allegorie poste ai lati di questo (la Ricchezza, la Religione, la Lirica e la Forza), e altre tre tele rappresentanti le Allegorie della Legge, la Storia, il Commercio, la Giustizia, la Musica, la Geografia, l’Erudizione e l’Astronomia, lo Stemma dei Morosini e le Virtù cardinali e Venezia e le città della Patria del Friuli.
Per la Confraternita dei Calzolai, la stessa per la quale avevano lavorato il nonno e il padre, egli eseguì nel 1623 un dipinto con i Rettori che dispensano il pane ai poveri, documentato e dato per disperso, ma ritrovato nei depositi del museo cittadino (Lucchese, 2000; Id., in La Galleria d’arte antica, 2002, p. 184). A queste opere se ne possono infine aggiungere altre commissionate da istituti religiosi udinesi, quali la pala di S. Biagio, eseguita a cavallo tra il XVI e il XVII secolo per la chiesa omonima (oggi Cividale, duomo), l’altare ligneo con la Morte della Vergine, di cui rimane solo la figura principale, per la chiesa di S. Maria di Castello (1626), la Deposizione del Monte di Pietà (1629), due tele per la chiesa di S. Quirino e l’Incoronazione dei ss. Cecilia e Valeriano per il convento del Cappuccini (1636), nonché alcuni dipinti per chiese di piccoli centri della regione, tra le quali l’ex chiesetta di S. Silvestro a Ronchi dei Legionari (1610, cfr. Brunetti Bulfoni, 1988, pp. 20-22). Secante uscì di scena nel 1637: è ciò che emerge da un atto notarile (Archivio di Stato di Udine, Notarile, Bernardino Orgnani, 7321, VII instr., cc. 26r-28r, citato anche in Bergamini, 2009, p. 2328), datato 26 febbraio 1641, che riferisce dello stato di abbandono della casa del pittore in borgo Gemona, «essendo che già quattro anni in circa […] il sig. Seccante Seccante pittore di questa città si sia partito nascostamente con tutta la famiglia, et andato ad habitare fuori di questo serenissimo Stato» (c. 26r).
Ultimo artista della famiglia fu Giacomo, figlio di Pomponio e di Isabella, nato il 25 settembre 1617 (Joppi, 1894, p. 36). Nessuna opera può essergli certamente attribuita: l’unica attestazione si rintraccerebbe in Maniago (1819, 1999, p. 265), che riporta un documento del primo maggio 1654 (ai tempi conservato nell’archivio della chiesa) riguardante il pagamento a un certo Giacomo Secante per una pala destinata alla chiesa di S. Andrea a Ronchis di Latisana. In realtà è possibile che si tratti di un refuso, che la data sia il 1554 e che dunque l’autore sia Giacomo Trombon (così in Joppi, 1894, p. 35). In ogni caso con Giacomo figlio di Pomponio si estinse una dinastia di pittori che ebbe tanta parte nella produzione artistica friulana del Cinque e del Seicento.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Udine, Notarile, Bernardino Orgnani, 7321, VII instr., cc. 26r-28r.
C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato, in Venetia 1648, p. 117; G. de Renaldis, Della pittura friulana, Udine 1796, p. 54; F.G.L. di Maniago, Storia delle belle arti friulane (1819), a cura di C. Furlan, Udine 1999, I, pp. 77, 164, doc. LXXXIV, 175, 176 nota 2, 265, e II, pp. 26 nota 31, 27; Emilio Candido, Cronaca udinese dal 1554 al 1564, trascritta e annitata da V. Joppi, Udine 1886, p. 27; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Studi e ricerche negli archivi romani (1884), Bologna 1965, p. 20; V. Joppi, Contributo quarto e ultimo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori, intagliatori, scultori, architetti ed orefici friulani dal XIV al XVIII secolo, Venezia 1894, pp. 34-36; R. Zotti, Pomponio Amalteo pittore del sec. XVI. Sua vita, sue opere e suoi tempi, Udine 1905, pp. 175-179; A. Rizzi, Contributo alla pittura minore del Cinque e Seicento in Friuli. 2. Profilo di Secante Secanti, in Sot la nape, XV (1963), 3-4, pp. 11-18; G.M. Pilo, Inediti d’arte friulana, in Itinerari, VI (1972), 3-4, pp. 13-46; G.B. Cavalcaselle, La pittura friulana del Rinascimento, a cura di G. Bergamini, Vicenza 1974; G. Bergamini, Arte nell'Isontino tra gotico e barocco, in Studi goriziani, 1981, nn. 52-53, pp. 101-115; F. Quai - G. Bergamini, Documenti per lo studio dell’arte in Friuli nei secoli XV e XVI, in Sot la nape, XXXVI (1984), 4, pp. 37-46; G. Bergamini, Gli affreschi della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo di Villanova del Judrio, San Giovanni al Natisone 1986; A. Brunetti Bulfoni, Presenze pittoriche rinascimentali nel territorio di Monfalcone. I pittori Secante, in Bisiacaria, numero unico dell’Associazione Culturale Bisiaca, Monfalcone 1988, pp. 9-22; G. Bergamini, Arte e artisti friulani nel Goriziano, in Cultura friulana nel Goriziano. Atti del seminario “La Cultura Friulana nel Goriziano”, Gorizia, novembre-dicembre 1987, Gorizia 1988, pp. 159-176; R. Radassao, Disegni di Giacomo Secante, in Udine. Bollettino delle civiche istituzioni culturali, 1999, n. 5, pp. 7-11; E. Lucchese, Contributo per Secante Secanti, Pietro della Vecchia e Andrea Celesti, ibid., 2000, n. 6, pp. 17-21; La Galleria arte antica dei Civici Musei di Udine, I, Vicenza 2002, pp. 140, 184; G.T. Faccioli - A. e V. Joppi, Chiese di Udine, a cura di G. Bergamini - P. Pastres - F. Tamburlini, Udine 2007, p. 73; Il Museo Civico di Gemona. Catalogo delle opere, a cura di F. Merluzzi, Gemona del Friuli 2007, pp. 86, 90-95; G. Bergamini, Secante, famiglia di pittori, in Nuovo Liruti. Dizionario Biografico dei Friulani, II.3, L’età veneta, a cura di C. Scalon - C. Griggio - U. Rozzo, Udine 2009, pp. 2324-2329.