RESTA, Sebastiano
RESTA, Sebastiano. – Nacque a Milano l’8 gennaio 1635 da Filippo e da Maria d’Adda (Warwick, 2000, p. 185).
Studiò filosofia nel seminario Maggiore di Milano, diritto al collegio Borromeo di Pavia, e poi fu ammesso nel 1660 nel collegio dei nobili giureconsulti di Milano (Picinelli, 1670). Il padre Filippo, pittore, collezionista e figura di rilievo nell’ambiente culturale milanese, lo orientò verso studi artistici: Sebastiano frequentò la bottega del pittore Ercole Procaccini il Giovane, ma, forse a causa del suo modesto talento, non intraprese questa carriera.
Grazie al padre entrò in contatto con artisti e collezionisti a Milano, quali il cardinale Cesare Monti, il marchese Giovan Francesco Serra e don Luis de Benavides Carrillo de Toledo, marchese di Caracena, di cui Filippo Resta fu tramite nella vendita del Cristo nell’orto degli ulivi di Correggio da parte di Pirro Visconti Borromeo. Proprio negli anni milanesi nacque la sua predilezione per l’Allegri, che lo portò a raccogliere disegni, dipinti e notizie su di lui per tutta la vita.
Nel 1661 circa si trasferì a Roma, anche se non sono chiari le modalità e i canali che lo portarono a questa scelta definitiva. I cardinali Benedetto Odescalchi, futuro papa Innocenzo XI (Pizzo, 2002, p. 124), e Sforza Pallavicino (Sforza Pallavicino, 1669) ne favorirono l’inserimento nell’ambiente romano. Solo nel 1664 Resta fece richiesta di entrare nella Congregazione degli oratoriani, nella quale fu accolto l’anno successivo (Incisa della Rocchetta, 1977, p. 91). Da quel momento l’Oratorio alla Chiesa Nuova divenne sua stabile dimora: da lì egli gestiva scambi con i maggiori collezionisti del tempo e intratteneva rapporti epistolari con corrispondenti in tutta la penisola.
È difficile stabilire con certezza quando prendesse avvio l’attività collezionistica di Resta e in che momento e sotto quali auspici egli iniziasse a raccogliere disegni all’interno di volumi corredati dai suoi caratteristici commenti eruditi. Dai dati finora raccolti e dalle testimonianze da lui lasciate, si evince che egli iniziò tale attività dopo il trasferimento a Roma, anche se le frequentazioni milanesi avevano indirizzato già i suoi interessi artistici. Dai suoi scritti, infatti, emerge con chiarezza che già nei primi anni Sessanta era in possesso di disegni ed era in contatto con vari artisti.
Dopo l’aggregazione all’Oratorio come sacerdote nel 1668, Resta ricoprì ruoli di direzione artistica nei cantieri decorativi della Chiesa Nuova: nel 1670 circa curò la sistemazione del cartone della Lapidazione di s. Stefano di Giulio Romano nella Biblioteca Vallicelliana (Incisa della Rocchetta, 1970, pp. 49 s.); fin dal 1670 fu in contatto con Orazio Spada, di cui fu consigliere nella decorazione della cappella Spada, conclusasi nel 1679, suggerendo i nomi dei pittori Luigi Scaramuccia e Giovanni Bonati per fiancheggiare la pala di Carlo Maratti (Pampalone, 1993); negli anni Novanta fu coinvolto come responsabile del ciclo pittorico che doveva decorare la navata della chiesa, per cui favorì artisti suoi amici quali Giuseppe Ghezzi e Giuseppe Passeri (Dunn, 1982).
Resta fece numerosi viaggi per l’Italia, nei quali incontrò collezionisti e mercanti, andando alla ricerca di dipinti, disegni e informazioni su artisti e opere. Nel 1671 si recò a Milano in seguito alla morte del padre, passando per Bologna; nel 1678 e 1679 fu a Napoli, ma il più noto soggiorno nella città partenopea avvenne nel 1683, quando si trattenne diversi mesi per assistere spiritualmente il viceré don Gaspar de Haro y Guzmán, settimo marchese del Carpio, già conosciuto a Roma, di cui curò le raccolte di disegni. Nel 1690 intraprese, in compagnia di Giuseppe Passeri, il «viaggio pittoresco» alla volta di Milano, cogliendo l’occasione per visitare numerosi centri dell’Umbria, della Toscana, delle Marche, dell’Emilia Romagna e della Lombardia.
La fama di Resta è legata soprattutto al suo incontrastato ruolo di connoisseur del disegno antico, ormai riconosciutogli dalla critica novecentesca dopo l’accusa di ‘ciarlatano’ affibbiatagli da Girolamo Tiraboschi (1786): attraverso i numerosi libri di disegni da lui assemblati, egli coltivò l’ambizioso progetto di delineare una storia dell’arte in figura attraverso i disegni.
La finalità da lui perseguita era ricostruire il percorso dell’arte in Italia attraverso una storia figurata delle varie scuole della penisola, dalle origini, fissate sulla traccia di Giorgio Vasari nella rinascita giottesca all’inizio del XIV secolo, e aprendo con una precoce rivalutazione dei cosiddetti primitivi, sino al raggiungimento dell’età dell’oro nel Rinascimento, per approdare alla grande stagione seicentesca con la rinascita dei Carracci e allo sviluppo della ‘maniera moderna’, dominata da Pietro da Cortona. In questa ricostruzione, affidata a fogli che tradiscono talvolta una connoisseurship non troppo coerente, Resta dimostrò apertura di orizzonti e autonomia critica: oltre a valorizzare i protagonisti del disegno delle scuole emiliana, napoletana e romana del Manierismo, assai poco apprezzate al suo tempo, suo grande merito fu la riscoperta della scuola lombarda, e del Correggio disegnatore in particolare.
I suoi libri erano organizzati per soggetti, espressi nei titoli un po’ fantasiosi, ma chiarificatori delle tematiche affrontate. Seguivano un criterio cronologico i volumi intitolati Serie grande in quattro tomi, Parnaso de’ pittori, L’arte in tre stati, Senatori in gabinetto, Anfiteatro pittorico – quest’ultimo venduto in parte nel 1710 a Livio Odescalchi –, tutti oggi sciolti e confluiti in varie collezioni, nonché la Galleria portatile, venduta a Giberto Borromeo nel 1706 e conservata integra nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Affrontavano invece argomenti monografici il Libro d’Arabeschi, inviato a Palermo nel 1689 al padre Giuseppe del Voglia dell’Olivella (oggi nella Biblioteca comunale di quella città), nel quale Resta delineò l’evoluzione del disegno decorativo con notevole anticipo sull’interesse verso tale tipologia grafica (Prosperi Valenti Rodinò, 2007); e la Felsina vindicata contra Vasarium, dove ricostruì l’arte emiliana tra il XVI e il XVII secolo, in cui già il titolo, scelto parafrasando il noto libro del Malvasia, tradisce la posizione antivasariana di Resta a favore dell’arte bolognese. Infine, nel volume Correggio in Roma, parzialmente conservato al British Museum di Londra, egli pionieristicamente avanzò l’ipotesi di due viaggi a Roma del Correggio.
Uno dei primi volumi da lui composti fu quello con studi di Pieter Paul Rubens dall’antico, oggi nell’Ambrosiana, che egli donò nel 1684 «all’Academia del Disegno» di Milano perché servisse da esempio ai pittori lombardi (Fubini - Held, 1964).
Da quegli anni sino alla morte egli raggiunse un’incontestata posizione di esperto nel panorama artistico romano, grazie ai numerosi legami intrecciati con artisti quali, oltre i citati Ghezzi e Passeri, Carlo Maratti, Ciro Ferri, Giovanni Maria Morandi, Luigi Scaramuccia, Lazzaro Baldi, Pietro Santi Bartoli; con collezionisti come Cristina di Svezia, Livio Odescalchi, il marchese del Carpio, i cardinali Gasparo de’ Cavalieri, Tommaso Ruffo, Leandro Colloredo, Giberto Borromeo; intellettuali e scrittori quali Giovan Pietro Bellori e Carlo Cesare Malvasia; dilettanti e mercanti come Francesco Renzi e Giuseppe Magnavacca; agenti inglesi interessati al disegno come John Talman, Charles Jervas e Henry Newton.
Tra i suoi corrispondenti, ai quali richiedeva disegni e informazioni in merito ad artisti locali, si ricordano a Milano gli artisti Rocco e Giorgio Bonola, e Ambrogio Besozzi; a Bologna, Malvasia e Magnavacca, il carmelitano Pellegrino Antonio Orlandi e i collezionisti Valerio Polazzi e Paris Maria Boschi; a Firenze, Francesco Maria Niccolò Gabburri; a Correggio il religioso Giuseppe Bigellini; a Torino il beato Valfré; a Perugia il confratello Giovan Francesco Morelli; a Palermo gli oratoriani Giuseppe del Voglia e Francesco Girgenti; a Messina il pittore Agostino Scilla.
A documento del metodo seguito da Resta nell’attribuire un dipinto da vendere rimane un’Annunciazione (oggi a Novellara, Museo Gonzaga) da lui attribuita al Correggio, in seguito restituita a Lelio Orsi, per la quale egli richiese una perizia sottoscritta da molti artisti presenti a Roma nel marzo del 1679, poi apposta nel retro della tavola (Zeri, 1976; Mazza, 2009).
Il suo impegno di collezionista implicato nel mercato artistico continuò senza sosta, incoraggiato dallo scopo benefico e caritatevole al quale destinava i proventi delle vendite. Alla fine del secolo riuscì ad accaparrarsi nuclei di disegni importanti presenti sul mercato a Roma: quelli della raccolta di Bellori, morto nel 1696, tra cui bei fogli di Annibale e Antonio Carracci, e quelli già di Lelio Orsini, tra i quali caricature di Annibale.
Negli stessi anni Resta individuò nel pistoiese Giovanni Matteo Marchetti, vescovo di Arezzo, un mecenate interessato all’acquisto della sua collezione. Tra il 1698 e il 1702 inviò al prelato circa diciannove volumi di disegni e vari dipinti, cioè la maggior parte delle raccolte da lui messe insieme. Purtroppo Marchetti morì nel 1704, prima di aver saldato il suo debito; gli eredi furono costretti a vendere nel 1711 a lord John Somers in Inghilterra i volumi, segnalati come materiale disponibile sul mercato da Talman (Popham, 1936-1937). Gli stessi eredi restituirono a Resta quattro volumi, due dei quali poi venduti insieme ad altri libri di disegni a lord Somers tramite Newton tra il 1712 e il 1714. In questo modo la maggior parte dei volumi finì in Inghilterra: alla morte di Somers nel 1716, i libri furono smembrati e i disegni messi all’asta e dispersi nel 1717, non prima però che Jonathan Richardson, intuendo l’importanza della sequenza dei fogli e delle glosse apposte da Resta al di sotto dei disegni, ne facesse fare una trascrizione fedele (Londra, British Library, ms. Lansdowne 802), apponendo su ciascun disegno un marchio alfa-numerico indicativo del volume di appartenenza e dell’ordine del pezzo al suo interno (Warwick, 2000), ancor oggi prezioso per rintracciare la provenienza dei fogli Resta.
Le corpose note del filippino contengono notizie uniche per l’attribuzione dei fogli, la loro vicenda collezionistica, le informazioni fornitegli dai suoi corrispondenti, e numerosi riferimenti ai più noti testi di storiografia artistica che egli possedeva in più copie, consultandole di continuo e postillandole fittamente.
Resta dimostrò un grande impegno in campo artistico anche sul versante della tutela e della conservazione: si spese per la salvaguardia degli affreschi di Melozzo da Forlì nell’abside della basilica romana dei Ss. Apostoli, demolita nel 1708 (Epifani, 2010); nel 1709 redasse una perizia sullo stato di conservazione dell’icona della Madonna della Clemenza nella chiesa di S. Maria in Trastevere (Bonardi, 2013).
Vessato dai debiti contratti per la vendita Marchetti, trascorse gli ultimi anni di vita in povertà nelle stanze della Chiesa Nuova, dove morì l’11 luglio 1714, dopo un periodo di grave infermità, assistito a carico della Congregazione (Incisa della Rocchetta, 1977, p. 95).
Fonti e Bibl.: Sforza Pallavicino, Lettere dettate dal card. Sforza Pallavicino..., Venezia 1669, p. 299; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi…, Milano 1670, p. 488; S. Resta, Indice del libro intitolato Parnaso de’ pittori..., Perugia 1707; Id., Indice del tomo de’ disegni raccolti da S. R. intitolato L’Arte in tre Stati..., Perugia 1707; G. Allegranza, Opuscoli eruditi latini ed italiani…, Cremona 1781, pp. 296 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese…, VI, 1, Modena 1786, pp. 234-302; G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, pubblicata da M. Gio. Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, Milano 1822, II, pp. 97-117, III, pp. 477-521; A.E. Popham, S. R. and his collections, in Old Master Drawings, XI (1936-1937), pp. 1-19; L. 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