MATURI, Sebastiano.
– Nacque ad Amorosi, nel Sannio, il 17 genn. 1843 da Francesco e Anna Calenda. Dopo gli studi primari compiuti nella città natale completò la formazione ginnasiale a Cerreto Sannita. A 17 anni si trasferì a Napoli dove conseguì in scuole private la licenza liceale.
Frequentò anche le scuole di alcuni giobertiani, ma fu decisivo l’incontro con i due maggiori esponenti dell’hegelismo: A. Vera e B. Spaventa, che considerò sempre come suoi veri maestri. In particolare, a partire dal 1861 – nella nuova situazione universitaria – seguì per nove anni la scuola di Spaventa, e ciò gli consentì di maturare una prospettiva filosofica vicina all’idealismo assoluto di G.W.Fr. Hegel, ma non ignara dei risultati acquisiti dalla filosofia classica tedesca, a partire da I. Kant. Nei suoi scritti si trova, al tempo stesso, una traccia dell’immanentismo bruniano, risalente alla prima adesione al pensiero di V. Gioberti.
Nel 1866 il M. si laureò in giurisprudenza e nel 1869 vinse un concorso per uditore giudiziario. In quello stesso anno pubblicò, tuttavia, il libro Soluzione del problema fondamentale della filosofia (Napoli 1869), in cui pose per la prima volta con forza la questione che più lo avrebbe impegnato in futuro, quella della ricerca della verità assoluta, e che gli valse l’abilitazione per l’insegnamento della filosofia nei licei. Nel febbraio 1871 il M. ottenne la sua prima assegnazione a Trapani, spostandosi poi nelle sedi di Chieti (1874), Messina e Avellino (che raggiunse nel 1876 e dove venne accusato da mano anonima di insegnare una «malsana filosofia»), prima di essere trasferito a Napoli nell’ottobre 1883, circa venti giorni dopo la morte di Spaventa.
In questo periodo pubblicò due scritti: La filosofia di Giordano Bruno (Avellino 1878), discorso pronunciato il 17 marzo 1872 nel liceo di Trapani in occasione della festa letteraria, e L’ideale del pensiero umano ossia la esistenza assoluta di Dio (ibid. 1882), pronunciato il 5 giugno 1881 nel liceo di Avellino.
A Spaventa dedicò Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita (Napoli 1888), pubblicato in vista della libera docenza, ottenuta il 19 genn. 1891. Il riconoscimento premiava un filosofo della vecchia scuola e forse proprio per questo, su proposta di C. Cantoni, gli fu affidato l’insegnamento di filosofia hegeliana. Il M. tenne l’insegnamento soltanto per pochi anni, non sentendosi appagato dalla situazione universitaria, resa più complessa dalla presenza di F. Masci, esponente del neocriticismo che insegnava filosofia teoretica. Al periodo dell’insegnamento universitario risale il saggio L’idea di Hegel (ibid. 1891), testo del discorso letto il 17 febbr. 1891 come lezione inaugurale del suo primo corso. Sempre nel 1891 il M. fu nominato membro corrispondente dell’Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli, dove nel 1894 lesse la memoria La filosofia e la metafisica (ibid. 1894), dedicata a Karl Ludwig Michelet, che considerava tra i suoi maestri.
Tornò poi definitivamente a insegnare filosofia nel liceo Umberto I di Napoli. Gli ultimi anni della sua attività si svolsero però in un clima mutato dal punto di vista culturale: le giovani generazioni (come ricorda A. Guzzo, che fu suo allievo dal 1909) gli apparivano più irrequiete e insofferenti, non adatte a reggere studi vasti e approfonditi: egli sembrava provato e isolato, sebbene nel giugno del 1897 gli venisse conferito il titolo di cavaliere della Corona d’Italia.
La dolorosa situazione familiare acuiva la sensazione di isolamento: la moglie, Ernesta Sali, infatti, un’ispettrice scolastica sposata nel 1875, era affetta da malattia mentale, mentre la figlia Italia, nata nel 1876, a seguito del dissesto finanziario subito dal marito fu costretta a emigrare in America nel 1913 con i tre figli.
In questo torno di tempo uscì la prima parte della sua opera più importante, Principî di filosofia (Napoli 1897), rimasta incompiuta; in essa il M. sintetizzò il suo pensiero sulla potenza creatrice dello spirito. Dal 1898-99 intrecciò un intenso rapporto di amicizia con G. Gentile e B. Croce, di cui sono testimonianza i carteggi. Al M. si deve il tentativo, fallito, di promuovere la chiamata di Gentile all’Università di Napoli. In occasione delle nozze di Gentile curò l’edizione di una lezione di Spaventa della metà degli anni Sessanta (Una lezione di Bertrando Spaventa, ibid. 1901) e, successivamente, Una relazione scolastica, resoconto del programma dell’anno scolastico 1905-06 (ibid. 1907), interessante per capire come il M. intendesse avvicinare i giovani alla filosofia quale esercizio di una disciplina individuale, ma sempre razionale, prima ancora che come studio di correnti di pensiero opposte da criticare con spirito polemico.
Nel 1912, a 69 anni e dopo 41 anni d’insegnamento, il M. lasciò la scuola e l’anno successivo, su iniziativa di Gentile, l’editore Laterza ripubblicò i Principî di filosofia del 1897 con il titolo Introduzione alla filosofia (Bari 1913, ma in realtà stampato nel settembre del 1912): una iniziativa che consentì al pensiero del M. di essere ricordato ancora per diverso tempo. Poco dopo A. Guzzo curò la riedizione del saggio su Bruno (Napoli 1914), che ripubblicò dodici anni più tardi insieme con il saggio su Hegel in Bruno e Hegel (Firenze 1926).
Il M. morì a Napoli il 15 febbr. 1917.
Pur essendo rimasto per scelta ai margini della cultura ufficiale e accademica del suo tempo, ampi riconoscimenti gli vennero non soltanto dai suoi allievi, ma anche da quanti, come Gentile e Croce, ne avevano apprezzato lo slancio e la capacità di guardare alle questioni essenziali della filosofia. Il suo pensiero non apportò motivi originali nel panorama della cultura italiana dell’epoca, ma il suo richiamo alla dignità della ricerca filosofica continuò ad attirare l’interesse di vari studiosi, come mostrano le due monografie di M. Dal Pra (1943) e di Guzzo (1946).
Il M. fu intellettuale schivo e appartato, ma, al tempo stesso animato da una tensione profonda e spontanea per la filosofia intesa non come scienza, ma come organo di un sapere razionale ordinatore e universale, sebbene scosso dalle incongruenze e insufficienze della ragione stessa. Proprio a causa di questa tensione generica, non traducibile in un sistema compiuto, il M. rimase uomo inattuale, incapace di proporre una terapia alternativa alla crisi in cui, ai suoi occhi, la filosofia italiana era caduta con il positivismo o lo psicologismo. Il suo isolamento riguardò soltanto la circolazione delle proprie idee: i suoi studi pubblicati, infatti, sono pochi (solo otto) e tutti d’occasione (eccezion fatta per gli incompiuti Principî di filosofia), mentre diversi scritti, spesso solo abbozzati, sono rimasti inediti o circolarono esclusivamente nella ristretta cerchia degli amici. Il M. si interessava invece attivamente al dibattito che animava la filosofia, al quale partecipava leggendo i testi che provenivano soprattutto dalla Germania (fra le sue carte si trovano diverse traduzioni di testi di studiosi tedeschi, come per esempio Michelet).
Alla filosofia come ricerca libera della verità cercò sempre di attirare gli allievi (più che i colleghi) che frequentarono le sue lezioni liceali e per questo sosteneva (come si legge in quella sorta di programma costituito da Una relazione scolastica) che il suo insegnamento non fosse altro che una propedeutica costante e progressiva all’esercizio della ragione intesa come l’unico centro di orientamento del mondo della natura e della vita dello spirito nel suo complesso. Tale atteggiamento generale nei riguardi della filosofia, lontano da un interesse teorico dottrinario o sistematico, si ispirava ad alcuni motivi ricorrenti nella posizione di pensiero del M.: la convinzione circa il carattere fenomenologico della riflessione filosofica, la quale deve necessariamente portare alla maturazione di una coscienza soggettiva che, hegelianamente, si costituisce come processo che conduce l’attività della mente dalla sua forma esteriorizzata, tutta volta all’oggetto esterno, fino alla sua forma pienamente interiorizzata, in cui l’io trova dentro di sé il principio di legittimazione del mondo esterno; la convinzione che questo processo non si riduca a un puro e semplice meccanismo da seguire con l’investigazione dei fatti (nel M. era molto sentita la componente razionalistica che rifiutava l’accertamento di stampo positivistico), bensì che esso implichi un’effettiva conversione interna della mente nell’oggetto, accomunati entrambi, brunianamente, dall’unità del principio che li crea e sostiene.
Se si passano in rassegna i pochi scritti pubblicati dal M. si nota un’unità di intenti, soprattutto in merito alla centralità che assume la ricerca della verità nel tentativo di ricomporre l’unità di pensiero e realtà. Fin dalla monografia del 1869 (Soluzione del problema fondamentale della filosofia) e poi negli scritti successivi, il M. avverte la necessità di questa ricomposizione, che tuttavia non può essere del tutto soddisfatta per il limite stesso della ragione umana. In Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita mette in evidenza l’impossibilità da parte della vita, intesa come energia creatrice, di risolvere in sé il mondo materiale e, proprio in conseguenza di ciò, fa risaltare il ruolo della libertà umana che sfocia nel superamento del contrasto fra materia e forma: ogni forma è sempre e soltanto capacità creatrice, formante, che non si fossilizza nella sostanza, nel fatto. Sulla scorta di questa concezione, il M. giunge a formulare un concetto di conoscenza come atto produttivo: non esistono i fatti, ma soltanto il fare. Nei Principî di filosofia tale concezione si conferma in una prospettiva metafisica che pone al centro del discorso filosofico non la verità prodotta e dispiegata, sistematizzata, ma il principio generatore di essa, «il supremo imperativo categorico della sapienza, il quale dice: pensa, poni te stesso, razionalmente, processualmente, metodicamente, tutto il contenuto del tuo sapere» (Introduzione alla filosofia, Bari 1924, p. 17).
Fonti e Bibl.: Presso la sezione manoscritti della Biblioteca nazionale di Napoli sono conservate le Carte Sebastiano Maturi (per lo più autografe), comprendenti scritti filosofici inediti, trascrizioni di lezioni di Spaventa, traduzioni, lettere private, documenti relativi all’attività didattica (tra l’altro i programmi scolastici degli ultimi anni, in cui appaiono nozioni di logica e metafisica). Importanti carteggi editi sono quelli con Gentile e Croce: G. Gentile, Epistolario, X, G. Gentile - S. Maturi, Carteggio 1899-1917, a cura di A. Schinaia, Firenze 1987; B. Croce, Carteggio B. Croce - S. Maturi 1898-1915, a cura di F. Rizzo, Soveria Mannelli 1999. Un primo esame dell’opera del M. fu tracciato da Gentile nella prefazione all’edizione laterziana della Introduzione alla filosofia (Bari 1913) e da Guzzo, nella prefazione alla citata ristampa dei saggi su Bruno e Hegel del 1926. Ricostruzioni più complessive del pensiero del M. sono offerte da: G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, in Id., Opere, XXXIV, Firenze 1957, pp. 191-198; M. Dal Pra, Il pensiero di S. M., Milano 1943; A. Guzzo, M., Brescia 1946; A. Gisonda, Forme dell’assoluto. Idealismo e filosofia tra M., Croce e Gentile, Soveria Mannelli 2002.