COMPAGNI, Sebastiano
Scarsissime, o quasi nulle, sono le notizie biografiche reperibili intorno a questo geografo di origine ferrarese.
È accertata l'esistenza a Ferrara, nella seconda metà del sec. XV, di una famiglia De Compagnis: un Giacomino De Compagnis si laureò in diritto civile, presso l'università di Ferrara, il 10 maggio 1475e fu per un anno lettore di diritto presso la stessa università. Si ha poi notizia di un altro Giacomino, medico e lettore di medicina all'università, vissuto nello stesso periodo (salvo trattarsi della medesima persona alla quale le cronache abbiano per errore attribuito attività differenti).
Per quanto riguarda il C., ci è rimasta di lui, inedita, una Geographia, cioè una descrizione di tutto il mondo conosciuto, conservata nel cod. Vaticano Lat. 3844. Le sole notizie che si possono raccogliere intorno all'autore sono quelle poche che egli stesso fornisce nel corso dell'opera. Che fosse originario di Ferrara è comprovato dal fatto che, giunto a trattare di questa città, dichiara di non volersi dilungare molto per non essere accusato di magnificare la propria patria. Afferma poi di avere avuto come maestro lo zio materno Antonio Leonardi, da lui definito principe dei cosmografi, il quale, dopo aver decorato con carte geografiche riprodotte ad affresco le pareti della sala delle Nappe (ora dello Scudo), nel palazzo ducale di Venezia (cfr. Lorenzi), al momento di ricevere il compenso, volle che ad esso partecipasse anche Sebastiano, suo allievo e suo collaboratore nel lavoro. È dunque probabile che l'attività del C. si svolgesse in ambiente veneziano: la stessa Geographia fu composta a Venezia. Ciò è confermato dall'autore quando afferma di aver potuto vedere uno straordinario pesce di forma umana recato dai mari orientali, mentre era intento a Venezia alla stesura dell'opera. I dati interni consentono anche di determinare con buona approssimazione l'anno di composizione. Il testo reca una dedica a Leone X, ma essa si trova su un foglio aggiunto al codice e scritto da mano diversa; la copiatura del codice fu terminata sotto il pontificato di Giulio II, come attesta la data apposta in calce: 13 giugno 1509. Inoltre, l'ultimo avvenimento contemporaneo citato nel testo è la morte di Ludovico il Moro, avvenuta il 27 maggio 1508. L'opera fu dunque composta a cavallo tra questi due anni.
Il metodo seguito dal C. si ispira a quello instaurato da Francesco Berlinghieri: il materiale derivato dalla geografia tolemaica e, più in generale, i dati desunti dalla tradizione classica vengono rielaborati inserendovi elementi di acquisizione recente, anche se ciò non avviene sempre con la medesima continuità e sistematicità. La disposizione della materia, nell'opera, segue comunque l'ordine stabilito da Tolomeo: si prendono quindi in esame prima l'Europa, poi l'Africa e poi l'Asia. A ciascun continente sono dedicati rispettivamente nove, quattro e undici libri. È evidente il bagaglio di cultura umanistica dell'autore: frequenti sono le citazioni da Strabone, Plinio, Mela, Solino. Inoltre questo sostrato culturale non è relativo soltanto allo specifico settore delle conoscenze geografiche: le citazioni denotano una considerevole erudizione antiquaria in generale. L'autore ricorre perfino ai poeti classici. Fermo restando che una considerevole parte delle conoscenze geografiche profuse nell'opera è di derivazione classica, la precisione di certe descrizioni e di certe identificazioni di luoghi, i vari elementi del tutto nuovi attestano tuttavia che l'autore lavorò tenendo sotto gli occhi carte moderne. In alcuni casi perfino carte regionali. Tra elemento classico e elemento moderno, talvolta il primo prevale in assoluto, come nelle descrizioni della Grecia, dell'Egitto, dell'Asia Minore, che appaiono quali avrebbero potuto apparire a Plinio; altre volte è l'elemento moderno a prevalere, come nelle descrizioni della Germania e della Svizzera. In altri casi ancora l'uno e l'altro elemento si intrecciano armonicamente, oppure si alternano in una pura e semplice giustapposizione. Le parti dell'opera che si segnalano per la maggiore ricchezza di dati del tutto ignoti ai geografi antichi, sono il quarto libro sull'Africa e l'undicesimo sull'Asia. Occorre però rilevare come l'autore dimostri maggiore interesse non per le regioni di recente esplorazione (ad esempio le scoperte di Colombo sono appena accennate), bensì per l'antico mondo tolemaico, al fine di rinnovarne la descrizione con tutte le integrazioni consentite dalle conoscenze contemporanee. Al mondo e alle vicende contemporanei l'autore richiama poi con i sempre precisi riferimenti agli avvenimenti del suo tempo: troviamo, tra gli altri dati, citati la riconquista di Granada, l'assedio di Scutari, le vicende di Ludovico il Moro, le battaglie di Fornovo e di Molinella, la presa di Caffa, i grandi pellegrinaggi alla Mecca, le fortificazioni dei Turchi ai Dardanelli. Per quanto riguarda appunto i Turchi, l'autore ne parla frequentemente con scarsissima simpatia; tuttavia pone molta cura nell'identificare con il Turkestan il paese d'origine di questo popolo.
È infine interessante cercare di stabilire quali, tra le carte geografiche contemporanee, l'autore abbia utilizzato per la compilazione della sua opera. Le accurate descrizioni di coste fanno supporre che egli in primo luogo utilizzasse, in generale, ottime carte nautiche. Più in particolare, per quanto riguarda la costa occidentale dell'Africa, usò probabilmente la carta di Grazioso Benincasa. Per quanto riguarda l'Europa, si potrebbe supporre l'utilizzazione della famosa carta di Claudio Clavus: tuttavia questa descrive la Scandinavia con precisione molto maggiore di quella riscontrabile nelle parole del Compagni. È evidentissimo l'uso di una carta contemporanea per la descrizione della Germania, e in quel periodo circolava una sola carta della Germania, cioè quella di Nicola Cusano (comprendente però l'intera Europa centrale). Talune difformità dimostrano però che il C. non si servì di questa carta: non resta che supporre che egli utilizzasse quella tracciata dallo zio Antonio Leonardi, segnalata dal C. stesso, ma non pervenuta fino a noi. La parte migliore dell'opera è senza dubbio quella riguardante l'Italia, per completezza, per precisione, per armonia tra gli elementi classici e moderni utilizzati. Anche in questo caso l'autore dovette utilizzare un'ottima carta: si può ipotizzare che si trattasse di quella, giudicata tanto perfetta (cfr. Lorenzi), eseguita dal C. stesso insieme con lo zio Antonio per il palazzo ducale di Venezia.
L'opera del C. rimase inedita. Alcuni estratti di essa, relativi agli antichi abitanti del contado dell'Aquila, furono utilizzati da Bernardo Cirillo, che li inserì nei suoi Annali della città dell'Aquila ..., Roma 1570. Tutto il materiale della Geographia del C., soltanto con qualche saltuaria rielaborazione, si trova però integralmente trasposto nei Commentariorum Geographiae libri XI del veneto Domenico Mario Negri, stampati a Basilea nel 1557, anche se composti parecchi anni prima. Sorge ovviamente il sospetto di un plagio: ma il fatto che Negri non citi minimamente le scoperte colombiane accennate dal C., farebbe supporre l'anteriorità cronologica del suo lavoro e ribalterebbe sul C. stesso il sospetto. Di contro, vi è da tenere presente che Negri, di professione, fu un letterato (ci restano suoi commenti a Ovidio) e non un geografo: egli avrebbe potuto benissimo effettuare una trascrizione dell'opera del C. come una sorta di passatempo erudito. Il C. fu invece geografo di professione, e anche molto serio; ed è difficile pensare che egli rischiasse la propria reputazione dedicando a Leone X un'opera frutto di plagio.
Bibl.: L. Ughi, Diz. stor. degli uomini illustri ferraresi, Ferrara 1804, p. 132; E. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia, Venezia 1868, App., doc. 8, p. 586; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma 1926, p. 457; R. Almagià, Uno sconosciuto geografo umanista: S. C., in Miscell. in on. di G. Mercati, IV, Città del Vaticano 1946, pp. 442 ss.; Id., Miscell. geografica, in La Bibliofilia, IV (1951), pp. 62-64.