SCUOLA (XXXI, p. 249; App. II, 11, p. 801; III, 11, p. 685)
Crisi ed evoluzione dei sistemi formativi. - L'espansione quantitativa della scolarità, già manifestatasi dopo la guerra, è continuata e si è anzi intensificata nel corso degli anni Sessanta un po' dovunque, anche se con accentuazioni in parte diverse tra paesi industrialmente avanzati e quelli di recente sviluppo. Non si è trattato più soltanto di un puro incremento numerico degli allievi, in quanto la domanda d'istruzione si è venuta caratterizzando particolarmente come prolungamento dei tempi di permanenza a scuola e quindi come accesso a più elevati livelli d'istruzione da parte di masse crescenti di studenti. Sono note le molteplici e convergenti cause sottostanti a questi fenomeni e che vanno dall'aumento delle leve demografiche all'accresciuto livello di vita delle popolazioni, dalle spinte determinate dalle trasformazioni socio-economiche alle esigenze scaturenti dagl'intensi e generalizzati progressi scientifici e tecnologici registrati nei settori produttivi, nei servizi, nei mezzi di comunicazione, nella stessa organizzazione della vita sociale; si aggiungano una più diffusa consapevolezza dei diritti dei singoli e delle comunità e le motivazioni a una maggiore giustizia sociale, che nell'istruzione riconoscono una delle condizioni fondamentali per la loro realizzazione.
Senonché l'espansione quantitativa, lungi dall'esaurirsi in sé stessa, è venuta evidenziando tutta una serie di problemi, di esigenze, di richieste nuove cui le tradizionali strutture educative generalmente non sono state in grado di rispondere. Carenze e squilibri si sono riscontrati un po' in tutte le articolazioni dei sistemi scolastici, finendo per mettere in discussione in primo luogo gli stessi ordinamenti (in alcuni paesi risalenti a situazioni storiche ormai superate) e poi anche le finalità e gli obiettivi formativi dei corsi di studio, i contenuti e i metodi dell'insegnamento, i criteri di selezione e di valutazione del profitto, l'organizzazione didattica e l'efficienza del personale docente, le forme di governo delle istituzioni. Gli adattamenti e le riforme promosse qua e là non sempre sono riusciti a corrispondere alle attese e ai bisogni, che ormai richiedevano revisioni di fondo e ponevano l'esigenza di un nuovo rapporto tra scuola e società, peraltro difficile a definirsi in un momento di profondi mutamenti socio-economici, culturali e ideologici. Tra l'altro, la maggiore precocità delle classi giovanili, la crisi educativa della famiglia, l'affermarsi di nuovi valori e di nuovi ruoli sociali sembrano demandare alla s. nel suo complesso funzioni formative più attive, criticamente e problematicamente aperte sul presente, comunque non esauribili nella pura trasmissione di un sapere acquisito secondo moduli propri della tradizione pedagogica europea.
La contestazione studentesca, diffusasi dalla metà degli anni Sessanta negli SUA, in Europa, in Giappone e in altri paesi, ha evidenziato drammaticamente le cause diverse e oggettive di una più generale insoddisfazione giovanile che non poteva non riflettersi principalmente nelle istituzioni scolastiche, costringendo tra l'altro l'opinione pubblica a prendere diretta consapevolezza come non mai in passato del problema scuola. Senza dubbio parecchi atteggiamenti invalsi tra gli studenti sono risultati esagerati, velleitari, incapaci d'individuare serie proposte alternative; ma ciò è dipeso anche dal disorientamento culturale e politico della classe dirigente e di buona parte del corpo docente che alle tensioni giovanili hanno per lo più contrapposto o un conservatorismo fine a sé stesso o un lassismo non privo di punte demagogiche. Tuttavia, pur nella mancanza di prospettive generali veramente costruttive e nonostante una piega diffusa verso uno spontaneismo permissivo e improduttivo, la rivolta giovanile ha segnato un punto di svolta decisivo nell'orientamento e nella valutazione stessa dei fenomeni scolastici. Il generale rifiuto di ogni forma di autoritarismo che spesso si annida nelle strutture educative e la richiesta di profondi rinnovamenti culturali in direzione non elitaria e largamente aperta ai problemi della realtà presente, costituiscono momenti di significativa rilevanza nel contesto del processo qui considerato.
Ulteriori problemi sono derivati dalla sopravvenuta crisi economica, principalmente dai fenomeni di recessione produttiva, quali quelli della disoccupazione dei diplomati e laureati, del sovrappopolamento delle università, dell'insufficienza di sbocchi professionali adeguati. Esagerando spesso le funzioni dei sistemi scolastici, su di essi è finita per appuntarsi una notevole tensione interna ed esterna e "il problema istruzione è gradualmente divenuto, in termini partecipativi, oppositivi o distruttivi, il più arroventato punto di riferimento dell'intero arco delle transazioni sociali". La via delle soluzioni tecniche, degl'interventi riformistici nei settori di maggior bisogno avrebbe potuto risultare feconda se perseguita tempestivamente e secondo obiettivi chiaramente definiti; in alcuni casi invece, come in Italia, lo strumento della programmazione scolastica è intervenuto tardivamente, ed è risultato lento o scarsamente praticabile per la vischiosità dell'apparato amministrativo che doveva adottarlo e per la debolezza del sostegno politico, sicché è finito per ridursi essenzialmente a una semplice manovra della spesa. È degno di nota, comunque, che in quasi tutti i paesi la spesa per l'istruzione ha segnato un incremento consistente sia in valori assoluti, sia rispetto alla spesa pubblica globale e al prodotto nazionale netto. L'Italia, uno dei paesi maggiormente caratterizzati da tale evoluzione della spesa, nel periodo considerato ha fatto registrare i seguenti valori:
Da segnalare tuttavia che tale evoluzione della spesa complessiva continua ad essere ancora largamente condizionata dalla spesa per il personale, che rappresenta dovunque una quota rilevantissima di quella. Più in generale, specie negli ultimi anni, si sono affacciati dubbi e perplessità circa la remuneratività sociale di simile investimento, considerato invece positivamente per l'addietro quando si metteva l'accento sulla produttività a lungo termine della spesa per l'istruzione. Revisioni e limitazioni sono state sollecitate anche sotto questo riguardo, in riferimento alle difficoltà finanziarie recentemente presentatesi nelle economie nazionali oppure in relazione a una riconsiderazione della convenienza dei vari tipi d'intervento utilizzabili dalle politiche scolastiche.
Nell'ambito di una più generale crisi d'identità della s. e del suo ruolo nella società, non sono mancati messaggi di pessimismo e di sfiducia (la tesi sulla "descolarizzazione" di Illich o quella sulla morte della scuola di Reimer), che in sostanza sono un sintomo di quella crisi, ma che pure sono serviti a riaccendere il dibattito sul valore, la funzionalità e i limiti interni dell'istituzione scolastica. In realtà questa, pur tra difficoltà e insufficienze che emergono particolarmente nei momenti di trapasso a nuove situazioni, si conferma una componente imprescindibile di ogni tipo di società, ivi comprese quelle complesse e tecnologicamente avanzate nelle quali viviamo, anche se permane la necessità di provvedere al suo ammodernamento e, in alcuni casi, alla sua radicale ristrutturazione. In tale linea si muovono alcuni degli studi e indagini che vengono promosse in sede internazionale (v. per ultimo il cosiddetto "Rapporto Faure", presentato nel 1972 dalla Commissione internazionale per lo sviluppo dell'educazione costituita in seno all'UNESCO) e che tendono a evidenziare in una prospettiva mondiale i più delicati problemi aperti dalle nuove dimensioni dei fenomeni scolastici e a indicare possibili linee d'intervento per la soluzione equilibrata dei principali di essi. D'altra parte, le politiche scolastiche dei singoli paesi, sottoposte a varie pressioni interne, sono impegnate, in relazione alle differenti situazioni storiche e socio-culturali locali, nel tentativo di dare uno sbocco coerente a esigenze complesse e non sempre coincidenti degli attuali sistemi formativi. Ciò costituisce un chiaro sintomo dell'affidamento che le diverse componenti sociali, nonostante quelle critiche radicali, pongono tuttora nei confronti dell'istituzione scolastica. L'impegno è rivolto perciò alla riforma o all'adeguamento delle strutture, dei contenuti e dei metodi d'insegnamento, favorito tra l'altro dallo sviluppo e dai progressi registrati dalle scienze psico-pedagogiche e sociali in quest'ultimo quindicennio.
Aspetti del rinnovamento scolastico. - Come accennato in precedenza, si pone in primo luogo l'esigenza di una generale rimeditazione del rapporto scuola-società quale condizione per assicurare alla crescente e molto articolata domanda d'istruzione una risposta soddisfacente, non tutta necessariamente riducibile in momenti scolastici formali; tra le principali novità del dibattito in corso particolare attenzione viene dedicata infatti alla prospettazione di forme di educazione permanente e di educazione ricorrente e comunque alla necessità di assicurare un'interazione funzionale tra momento dell'apprendimento scolastico ed esigenze professionali del mondo del lavoro. Si richiede insistentemente che i processi educativi tengano maggior conto di quelle forme d'istruzione parallela che i canali d'informazione mettono oggi a disposizione dei giovani, che la scuola sia più aperta alla realtà sociale e politica nella quale si sviluppa, che diventi fattore di formazione intellettuale e civile per la generalità e non per limitate frange della popolazione. Ciò sembra indirizzare, anzitutto, verso un aggiornamento in profondità dei contenuti dell'insegnamento capace di assicurare alla cultura scolastica una mediazione critica tra continuità (trasmissione delle conoscenze) e innovazione (assunzione di nuovi valori e atteggiamenti). In secondo luogo, si sollecita l'adozione di innovazioni didattiche, di moderne tecnologie educative, di forme nuove di organizzazione del lavoro scolastico (si pensi, per es., ai modelli di team teaching) e di più validi sistemi di valutazione del profitto, che sperimentazioni condotte con metodo serio vanno ormai accreditando negli Stati Uniti e in Europa. L'approccio interdisciplinare, l'introduzione di attività integrative, la programmazione delle varie fasi dell'insegnamento, il lavoro di gruppo, l'utilizzazione di nuove attrezzature e sussidi, di laboratori e gabinetti scientifici, l'adozione del tempo pieno nella s. costituiscono aspetti di un vasto processo di rinnovamento delle cui possibilità e limiti la s. va gradualmente prendendo consapevolezza.
A queste esigenze è strettamente correlato il problema della formazione e dell'aggiornamento del personale insegnante, certamente uno dei più delicati e difficili che le politiche scolastiche si trovano ad affrontare. Nel fatto, l'immagine tradizionale dell'insegnante è venuta mutando nel senso di una funzione docente meno preoccupata del controllo formale dell'apprendimento e più sensibile alla promozione di autonomi processi formativi negli allievi, in un'azione peraltro non isolata ma coordinata con quella delle altre componenti della vita scolastica. Tale mutamento di ruolo incontra comprensibili ostacoli anzitutto in consolidati atteggiamenti psicologico-professionali legati al costume finora prevalente nella s. e nella società, e poi anche nella difficoltà di concretare una preparazione che contemperi la conoscenza delle discipline specificamente professate a una più individuata qualificazione in campo psico-socio-pedagogico. Dalla fine degli anni Sessanta si vanno affermando in Inghilterra i teachers' centres, istituzioni particolarmente attrezzate per l'assistenza e l'aggiornamento didattico di quegl'insegnanti che avvertono l'importanza di una migliore qualificazione professionale e desiderano acquisire esperienza nelle nuove metodologie didattiche. Anche in altri paesi si prendono iniziative analoghe; in Italia, nel 1973, il legislatore ha previsto la creazione di appositi istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi, che hanno iniziato a operare nel 1980.
In relazione alle dimensioni assunte dal fenomeno scolastico nella realtà contemporanea, si è posto poi, in termini a volte molto pressanti e al tempo stesso controversi, il problema della presenza-partecipazione degli studenti, delle famiglie e di altre istanze sociali alla vita interna e al funzionamento delle istituzioni educative. È un problema che tocca particolarmente i sistemi scolastici ad amministrazione centralizzata, dove più si è avvertito il distacco delle strutture scolastiche dalle concrete esigenze della comunità, e per colmare il quale si sono cercate varie forme di gestione o di partecipazione collegiale alla vita degl'istituti da parte di rappresentanze delle componenti sopra dette. Ma anche a questo riguardo si afferma l'esigenza di un giusto equilibrio tra le istanze legittime di partecipazione e gli obiettivi socio-pedagogici dell'istruzione, la cui determinazione difficilmente può essere affidata alla libera dialettica delle parti direttamente coinvolte, fuori dalle sedi istituzionali della responsabilità politica generale.
L'idea della s. come "comunità che interagisce con la più ampia comunità sociale e civica" si è affermata anche nel nostro paese con la legge di delega al governo 30 luglio 1973, n. 477, che ha trovato attuazione in un successivo pacchetto di provvedimenti delegati (dd. PP. RR. 31 maggio 1974, nn. 416-420). Con essi, oltre alla definizione del nuovo stato giuridico del personale scolastico, da molti anni reclamato dagl'insegnanti e dalle loro organizzazioni sindacali, si sono introdotti organi collegiali a livello di circolo e d'istituto, distrettuale, provinciale e nazionale, finalizzati appunto a realizzare la partecipazione nella gestione della s. nel rispetto degli ordinamenti dello stato e delle competenze del personale ispettivo, direttivo e docente. Le alte percentuali di votanti (72,03% tra i genitori, 73,8% tra gli studenti, 88,0% tra gl'insegnanti, 85,5% tra il personale non docente), registrate alle prime elezioni scolastiche svoltesi nel febbraio del 1975, hanno dato l'impressione che l'innovazione era nelle attese dei cittadini; le successive elezioni hanno mostrato però in parte un'attenuazione nella partecipazione. Questo legame tra s. e comunità finisce per attribuire una funzione più ampia allo stesso edificio scolastico, come centro di coagulo di iniziative locali diverse nel campo dell'educazione permanente, delle attività culturali e del tempo libero, ecc. In tale prospettiva si muove pure la più recente normativa: la legge 5 agosto 1975, n. 412, configura infatti l'edificio scolastico "come struttura inserita in un contesto urbanistico e sociale che garantisca a tutti gli alunni di formarsi nelle migliori condizioni ambientali ed educative e, compatibilmente con la preminente attività didattica della scuola, consenta la fruibilità dei servizi scolastici, educativi, culturali e sportivi da parte della comunità". Il distretto scolastico, introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento, sembra individuare un livello ottimale per il raccordo e il potenziamento delle iniziative scolastiche, parascolastiche ed extrascolastiche che possono essere attuate in sede locale, con l'obiettivo del pieno esercizio del diritto allo studio e della crescita culturale e civile dell'intera comunità.
Adeguamenti delle strutture scolastiche. - Per quanto concerne i settori scolastici, c'è anzitutto da registrare un'attenzione crescente nei confronti dell'educazione prescolastica relativa alle classi di età dai tre anni fino all'età dell'obbligo, la cui importanza per lo sviluppo delle attitudini del bambino, specie di quelli provenienti dai ceti sociali meno favoriti, è stata largamente evidenziata dagli studi psico-pedagogici. Il tasso di frequenza di s. materne e giardini d'infanzia varia ancora sensibilmente da paese a paese; un largo sviluppo ha avuto nei paesi del Mercato Comune, particolarmente Belgio, Francia e Olanda; ma è da prevedere che in tutta l'area industrializzata saranno intensificati gli sforzi per la generalizzazione di questo tipo d'intervento educativo. La legge 18 marzo 1968, n. 444, che ha istituito in Italia la s. materna statale facoltativa per i bambini da tre a sei anni, ha prefigurato strutture e ordinamenti pedagogicamente più avanzati di quelli generalmente adottati in questo settore dall'iniziativa privata. La sua presenza sul territorio nazionale è tuttavia ancora limitata, anche se in progressivo aumento: nel 1978-79 gli alunni di s. materna statale sono stati 693.000 circa contro 1.160.000 circa alunni delle s. non statali.
Nel campo dell'istruzione elementare si è riproposto, in molti paesi, il problema dell'età d'inizio degli studi e quello della loro durata; maggiore importanza rivestono però le discussioni intorno all'aggiornamento dei programmi, all'introduzione di nuove discipline d'insegnamento e soprattutto all'affinamento dei metodi didattici anche in funzione dell'attenuazione del fenomeno delle ripetenze. Altro tema è poi quello del raccordo tra le classi elementari e il primo ciclo dell'istruzione di secondo grado, che alcuni tendono a considerare insieme come costituenti l'educazione generale di base prevalentemente coincidente con l'area dell'obbligo scolastico. A livello del primo ciclo dell'istruzione secondaria di secondo grado, si sta estendendo la formula di una s. unica, comune a tutta la fascia di età corrispondente: in Europa, tale via è stata già adottata da Svezia, Italia e Francia; in altri casi, tuttavia, continuano a sussistere corsi di studio paralleli, ognuno con proprie finalità formative; il Regno Unito, accanto al sistema dei tre distinti corsi di studio (grammar, modern e technical schools), prosegue nell'esperienza delle comprehensive schools, istituti secondari che ospitano allievi di qualsiasi ceto sociale dagli 11 anni in poi senza suddivisioni in sezioni differenziate, con una popolazione scolastica corrispondente al 20% circa del totale. Per quanto concerne in modo specifico il nostro paese, nel settore della s. elementare, dopo la riforma dei programmi del 1955 e l'introduzione dei cicli didattici nel 1957, l'intervento di maggior rilievo è rappresentato dalla sperimentazione della s. a tempo pieno con l'adozione di attività integrative e di insegnamenti speciali previsti dall'art. 1 della legge 24 settembre 1971, n. 820. La riforma però più consistente e incisiva del nostro sistema scolastico riguarda la s. media unica, istituita nel 1962 in sostituzione dei due preesistenti corsi paralleli della s. media e della s. di avviamento professionale. Con essa, si è mirato a dare concreta attuazione al principio di una formazione di base comune a tutti i cittadini e si è voluto affermare la natura formativa e orientativa di questa fascia dell'istruzione dell'obbligo, risolvendo in senso non condizionante la controversa questione dell'insegnamento del latino, introducendo lo studio di materie facoltative accanto alle discipline fondamentali, prevedendo la possibilità d'istituire doposcuola per lo studio sussidiario e per le libere attività complementari, generalizzando la presenza di questa s. sul territorio nazionale e integrando l'opera educativa con una serie di misure assistenziali per facilitarne la frequenza agli alunni appartenenti a famiglie di disagiate condizioni economiche. Dopo qualche anno di rodaggio, di difficoltà organizzative e funzionali, tale istituzione è venuta via via producendo indubbi effetti positivi nel tessuto sociale e civile del paese. Miglioramenti e positive integrazioni all'ordinamento della scuola media, soprattutto per quanto riguarda gl'insegnamenti, sono stati apportati recentemente con la legge 26 giugno 1977, n. 348. È stata avviata, altresì, in questi ultimi anni, principalmente in zone depresse, la sperimentazione di s. medie integrate dove, tra l'altro, dovrebbe risultare più agevole una corretta integrazione tra attività curricolari ed extracurricolari e il maggior impegno dei docenti dovrebbe avere più consistente efficacia formativa; la valutazione dei risultati di questa sperimentazione è tuttavia ancora prematura. Altre parziali ma importanti innovazioni sono state introdotte nell'ordinamento scolastico italiano dalla legge 4 agosto 1977, n. 517. In particolare: nelle scuole elementare e media sono stati aboliti gli esami di riparazione e quelli di seconda sessione (nella scuola elementare anche l'esame di passaggio dal primo al secondo ciclo), è stato avviato un nuovo sistema di valutazione del processo di apprendimento e di maturazione degli alunni, si è previsto che la programmazione educativa possa comprendere attività scolastiche integrative anche per realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei discenti, sono state definite particolari misure a favore degli allievi portatori di handicaps. Con la stessa legge, per tutti gli ordini di scuole, è stato anticipato al 10 settembre l'inizio dell'anno scolastico in modo che comprenda 215 giorni effettivi di lezioni; si è poi stabilito che gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell'orario delle lezioni per attività di promozione culturale, sociale e civile nella comunità.
Più complessi e controversi problemi si pongono a livello di s. secondaria superiore o di secondo grado. L'organizzazione di questo secondo ciclo resta tuttora un elemento di notevole vischiosità nei diversi sistemi scolastici; contro le innovazioni e i tentativi di riforma hanno giocato variamente e le resistenze opposte da lunghe e a volte notevoli tradizioni scolastiche e le difficoltà di trovare risposte coerenti ai molteplici fattori pedagogici, sociali e politici che intervengono a questo livello e che coinvolgono temi di fondo delle politiche formative. In genere, dopo il primo ciclo indirizzato alla formazione generale, agli allievi continuano ad aprirsi sostanzialmente tre possibilità: proseguire in un secondo ciclo di studì generali che apre la via agli studi universitari, frequentare corsi d'istruzione tecnica per l'accesso ai quadri intermedi, seguire corsi d'istruzione professionale che preparano gli operai e gl'impiegati qualificati. Questo quadro, nonostante gli adattamenti che qua e là sono stati adottati per attenuare quanto meno certe eccessive rigidità dei canali separati, è ormai largamente confutato sia in sede pedagogica sia in sede politica. Dal primo punto di vista si obietta che una scelta così netta tra le tre possibili vie è troppo prematura per ragazzi tra i 14 e i 15 anni di età, mentre sarebbe opportuna per tutti una prosecuzione della formazione generale iniziata nel primo ciclo pur nel senso del suo approfondimento e completamento. Dall'altro punto di vista, sotto il profilo democratico, si osserva che il dislivello formativo esistente tra i corsi d'istruzione generale umanistica e quelli d'istruzione tecnica e professionale è tale da operare o confermare una sensibile discriminazione sociale tra i giovani che seguono gli studi. D'altra parte la s. non può ignorare le esigenze di profili professionali necessariamente diversificati secondo le necessità del mondo del lavoro, anche se la continua evoluzione delle strutture economico-produttive spinge verso una sensibile revisione dei tradizionali curricoli formativi, soggetti a una rapida obsolescenza nella misura in cui continuano a risultare incapsulati in troppo spinte e settoriali specializzazioni. La ricerca di un equilibrio tra unitarietà e differenziazione dei corsi di studio secondari, la necessità di tener conto tanto di una formazione culturale di più ampia comprensività quanto di una formazione professionale a carattere polivalente ma tuttavia validamente spendibile in termini occupazionali, costituiscono soltanto alcuni dei temi di fondo del dibattito in corso su questa fascia dell'istruzione. Altri temi concernono: l'aggiornamento o l'integrazione dei programmi, soprattutto in funzione dei nuovi ambiti disciplinari aperti dalla ricerca scientifica; le possibili articolazioni degl'insegnamenti tra un'area comune e più aree opzionali; una funzionale organizzazione dei servizi interni e la democratizzazione della vita scolastica; la necessità di un qualche raccordo tra lo sviluppo della domanda d'istruzione a questo livello e le possibilità d'inserimento di diplomati e licenziati nel tessuto sociale. Le alternative che si pongono a questo punto ai singoli paesi sembrano essere le seguenti: a) mantenimento della distinzione tra corsi di istruzione generale a carattere pre-universitario e corsi d'istruzione tecnica e professionale, ma avviando in tutti una revisione profonda dei contenuti e dei metodi didattici e rendendo perciò meno distanti i rispettivi livelli formativi anche per facilitare i passaggi da un tipo all'altro di corsi rispettando le preferenze che via via si maturano negli allievi; b) trasformazione del secondo ciclo secondario in un ciclo unitario d'istruzione generale, con all'interno un numero limitato di indirizzi orientativi, e trasferendo a un successivo momento post-secondario il compito della formazione tecnico-professionale in senso specifico.
Il nostro paese, di fronte alla rilevante espansione della scolarità nel settore dell'istruzione secondaria superiore (il numero complessivo degli alunni è passato da 763.000 nel 1960/61 a 2.186.000 nel 1976/77), in un primo tempo è sembrato volesse seguire la prima delle alternative sopra indicate. Difatti, tanto le indicazioni contenute nella relazione della "Commissione d'indagine sullo stato e i bisogni della pubblica istruzione in Italia", istituita nel 1962, quanto l'indirizzo accolto dalle "Linee direttive del piano di sviluppo pluriennale della scuola" successivamente presentato dal ministro dell'Istruzione Gui, si muovono sostanzialmente nella linea degli aggiustamenti e delle parziali rettifiche da apportare alla vigente articolazione di questa fascia degli studi. Una conferma indiretta di tale indirizzo è rappresentato dallo sviluppo assunto in questo periodo dagl'istituti professionali di stato e dalla revisione degli orari e dei programmi degl'istituti tecnici effettuata nel 1961. L'accentuarsi delle contraddizioni interne a un sistema ancora strutturato secondo canali paralleli, l'evidente necessità di un raccordo con la nuova realtà della s. media, i mutamenti intervenuti nel frattempo nei bisogni educativi delle giovani generazioni e nelle strutture sociali del paese, hanno aperto una fase di ripensamento, di cui in parte sono testimonianza il cosiddetto "Progetto 80" (un documento predisposto nel 1969 dal ministero del Bilancio in vista del secondo programma economico nazionale e nel quale si prospetta l'opportunità che il riordinamento scolastico passi attraverso un processo di sperimentazione in grado di consentire il continuo adattamento alle situazioni via via maturatesi) e le "Proposte per il nuovo piano della scuola" elaborate nel 1971 da un apposito comitato tecnico istituito nell'ambito del ministero della Pubblica Istruzione. Alcuni provvedimenti normativi - come la legge 27 ottobre 1969, n. 754, che ha autorizzato l'istituzione di corsi speciali sperimentali presso gl'istituti professionali, la legge 5 aprile 1969, n. 119, che ha riordinato in via provvisoria gli esami di stato di maturità e soprattutto la legge 11 dicembre 1969, n. 910, con cui si è liberalizzato l'accesso a qualsiasi corso universitario dei diplomati degl'istituti d'istruzione secondaria di secondo grado - hanno costituito ulteriori sintomi della crisi del sistema e della difficoltà in cui si è mossa in questi anni la politica scolastica. Alla riconsiderazione su basi unitarie dell'intera fascia dell'istruzione secondaria superiore, cui sembrano ormai orientati larghi settori tecnici e politici, hanno dato il via sia le ipotesi elaborate in un convegno di esperti svoltosi a Frascati nel maggio del 1970, sia la più elaborata relazione conclusiva della cosiddetta "Commissione Biasini" del novembre 1971. A questi documenti ha fatto seguito una serie di proposte di legge presentate, nel 1972, dal Partito comunista e, nel corso del 1975, dagli altri partiti, tutti scaduti per anticipato scioglimento delle Camere. Con la nuova legislatura, apertasi nel 1976, il governo e i partiti hanno elaborato nuovi e più meditati progetti in vista della creazione di una scuola secondaria unitaria, più o meno articolata al suo interno, e di una nuova disciplina della formazione professionale che tenga conto della competenza regionale in materia.
Per l'università v. università, in questa Appendice.
Bibl.: Per un'informazione generale sui diversi aspetti dell'istruzione e delle istituzioni scolastiche, v. M. Dedesse, G. Mialaret, Traité des sciences pédagogiques, Parigi 1969 segg., trad. it., Roma 1971 segg. (vol. I: Introduzione; II: Storia della pedagogia e della scuola; III: Pedagogia comparata e strutture scolastiche; IV: Psicologia dell'educazione; V: Psicologia dell'insegnamento; VI: Aspetti sociali dell'educazione). Per l'evoluzione delle strutture scolastiche e dei processi formativi in Italia v. l'annuale Rapporto sulla situazione sociale del paese (1967-79) elaborato dal CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali).
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