strutturalista, scuola
Insieme di teorie economiche che si ispirano allo strutturalismo e considerano un sistema economico nel suo complesso, ponendo particolare attenzione sulle relazioni tra le diverse componenti e sottolineando ostacoli e rigidità reali – per es. la struttura produttiva di un Paese, le relazioni di potere tra Paesi e le mancanze di elasticità nel mercato del lavoro. Le teorie strutturaliste analizzano strutture sociali, economiche e istituzionali che, pur non essendo direttamente osservabili, determinano fenomeni economici osservabili. Non esiste, pertanto, un’unica scuola s., ma un insieme di contributi che si fondano sullo strutturalismo, ponendosi in contrasto con l’approccio positivista dell’economia neoclassica. In base alla definizione, si possono far rientrare nello strutturalismo le teorie di A. Smith (➔), D. Ricardo (➔), K. Marx (➔), T. Veblen (➔), J.M. Keynes (➔) e J.A. Schumpeter (➔).
Tuttavia, è solo con la nascita dell’economia dello sviluppo, che si delinea una vera e propria scuola s., principalmente rappresentata da autori quali G. Myrdal (➔), H. Singer (➔), A. Hirschman (➔), K. Mandelbaum, R. Nurkse (➔), F. Perroux (➔), e H. Leibenstein (➔). In particolare, tale tradizione si caratterizza per la tesi secondo la quale, le strutture settoriale e istituzionale costituiscono un ostacolo allo sviluppo, non superabile con le sole forze di mercato, basate su segnali di prezzo. Ne consegue che sono necessari interventi pubblici per modificare la struttura economica o gli incentivi economici che ostacolano il cambiamento strutturale (industrializzazione). P. Rosenstein-Rodan (➔), per es., suggeriva che il problema principale delle economie dell’Europa orientale fosse il circolo vizioso che si formava tra bassi redditi, bassi risparmi e bassi investimenti. Il basso reddito della maggior parte della popolazione, impiegata nel settore agricolo a bassa produttività, non generava domanda sufficiente a incentivare investimenti nel settore manifatturiero. Era quindi necessario un intervento pubblico, per dare una forte spinta (big push) all’economia, coordinando investimenti manifatturieri in scala sufficiente a generare la domanda per ulteriori investimenti privati e la migrazione della popolazione da settori a bassa produttività (agricoltura) a settori ad alta produttività (manifattura).
Mentre nasceva l’economia dello sviluppo in Europa e America del Nord, nella Commissione Economica per l’America Latina (ECLAC) R. Prebisch dava il via alla più famosa delle scuole strutturaliste. Secondo la scuola dell’ECLAC il sottosviluppo è determinato sia dalla struttura interna dei Paesi sia da quella internazionale. I Paesi si dividono in centro (Paesi industrializzati) e periferia (Paesi a medio-basso reddito). La periferia è caratterizzata da un’economia duale – agricoltura di sussistenza ed esportazione di risorse primarie – con pochi legami tra i diversi settori. Il centro è contraddistinto da un’economia integrata e specializzata in manifattura ad alto valore aggiunto. Tale divisione internazionale del lavoro genera nella periferia una bassa domanda per prodotti manifatturieri, che vengono importati. Contemporaneamente, lo scarso investimento domestico in manifattura mantiene la forza lavoro impiegata in settori agricoli a basso reddito. Di conseguenza, i termini di scambio tra periferia e centro peggiorano a causa della rigidità nell’offerta di beni primari esportati dalla periferia e della loro bassa elasticità di reddito. La principale soluzione indicata dall’ECLAC è quindi un cambio di struttura interna alla periferia: l’industrializzazione, attraverso politiche di sostituzione delle importazioni, promozione delle esportazioni, capitali esteri e politiche industriali attive. Simile, ma più radicale e focalizzata sulla struttura internazionale, è la teoria della dipendenza (C. Furtado, E. Faletto, F. Cardoso e G. Frank).
Altri notevoli contributi di ispirazione strutturalista includono quello di L. Taylor nella formalizzazione della teoria macroeconomia strutturalista, e di N. Kaldor (➔) e L. Pasinetti (➔) sulla teoria della crescita con cambiamento strutturale. La scuola evolutiva ha integrato buona parte dell’approccio strutturalista nella teoria della crescita, formalizzandolo e micro-fondandolo. Molte idee strutturaliste sono poi state riprese da alcuni teorici dello sviluppo contemporanei (come H-J. Chang, B. Fine, D. Rodrik, e R. Wade).