SCUOLA MEDICA SALERNITANA
Gli studi scientifici sulla Scuola medica salernitana, che si possono far partire dalla Collectio Salernitana, curata da Salvatore De Renzi (metà del sec. XIX), sia pure notevolmente sviluppatisi nella seconda metà del sec. XX, a conti fatti hanno potuto accertare poco sulle origini dell'istituzione, soprattutto per la mancanza di adeguata documentazione. Poco si sa della sua organizzazione strutturale (almeno fino all'età federiciana) e non ne è chiaro il suo milieu genetico (laico, monastico o clericale).
Per i secc. XII e XIII, si dispone di dati e notizie qualitativamente e quantitativamente più cospicui. Ciononostante, come rilevato da Kristeller, gli studi non sempre hanno saputo distinguere con acribia quanto sia stata pratica medica, quanto letteratura scientifica e quanto didattica (universitaria e non). Questo ha fatto sì che col termine di Scuola medica salernitana si tenda a indicare tutto il complesso di attività, anche quelle non prettamente didattiche (cioè 'scolastiche'), che si svilupparono a Salerno nel Medioevo.
Nel complesso, è possibile dire che nei secc. X e XI, se certamente a Salerno era già attiva un'eccellente e prestigiosa classe medica fornita di una discreta di-sponibilità bibliografica ‒ si pensi agli "immensa volumina librorum" che avrebbe consultato l'archiatra Girolamo secondo l'Historia inventionis ac translationis et miracula sanctae Trophimenae (in Acta sanctorum. Acta sanctorum julii, V, Antverpiae 1731, pp. 233-240) ‒, è molto probabile non funzionasse in città alcuna forma istituzionalizzata di didattica, tanto meno universitaria. I secc. X e XI hanno dunque rappresentato, per Salerno, un periodo 'prescolastico', dove "non ci doveva essere un tipo di insegnamento diverso da quello che si impartiva in altre città […] e che era collegato in un modo o nell'altro ad istituzioni ecclesiastiche, quali monasteri e cattedrali" (Vitolo, 2001, p. 197). È quindi da ritenere che, in questo periodo, fiorissero in città non una sola Scuola, ma una pluralità di istituti dove, accanto alle arti del Trivio e del Quadrivio, venivano insegnati, forse più intensamente che altrove, elementi di medicina. "La letteratura salernitana delle origini è la copia esatta della schola stessa: un'opera a più indirizzi, unitaria nei suoi intenti, costituita da un collettivo, da un'insieme di scuole dove è difficile riconoscere i singoli maestri, gli archiatri e gli allievi" (Oldoni, 1987, p. 80). Questo spiega il mito dei 'quattro fondatori' della Scuola medica salernitana, che sarebbero stati ‒ nella notte dei tempi ‒ un ebreo, un arabo, un greco e un latino: non si tratta di individui, bensì di indirizzi culturali, di punti di intersezione della Scuola stessa, ove la cultura ebraica, araba, greca e salernitana concorrono all'arsmedica. La Scuola medica salernitana si caratterizza come una entità fondamentalmente 'aperta', con vocazione interdisciplinare, pronta ad ammettere e inglobare le tradizioni culturali e gli indirizzi più dispa-rati, se non addirittura contraddittori. Di questo periodo è Garioponto (Guarimpoto?), autore di un LiberPassionarius, compilazione di scritti di Galeno già noti in epoca altomedievale, e dei Dinamidia (sull'utilizzo terapeutico delle erbe), che rappresenterà una delle specializzazioni della medicina salernitana.
È per il sec. XII che è necessario pensare, per Salerno, all'esistenza di una qualche forma di coordinamento, di organizzazione in qualche modo collegiale della pratica e della didattica, con un curriculum di studio basato su un gruppo standard di libri di testo. È pensabile che questo tipo di coordinamento di base, strutturato sul modello della yeshivah (accademia) ebraica (in città era presente una fiorente colonia), abbia fatto sì che Salerno venisse a rappresentare senza dubbio un centro dove la scienza medica costituiva una parte importante (e comunque più importante che altrove) dell'insegnamento comune.
Un processo di progressivo assestamento e l'organizzazione della pratica e della didattica medica a Salerno cominciano a delinearsi verso la fine del sec. XI. Questa fase si impernia sullo sviluppo della produzione di letteratura, che si concretizza essenzialmente nella traduzione di testi dal greco, dall'arabo e dall'ebraico. Al sec. XI sono da ascrivere Giovanni Plateario senior (capostipite di una vera dinastia di medici, autore di un De aegritudinum curatione e di una Practica brevis) e un Cofone senior (De arte medendi). Figura di spicco è quella di Alfano (1058-1085), arcivescovo di Salerno, autore di tre testi: Premnon physicon seu stipes naturalium (versione latina di un trattato di Nemesio di Emesa), Depulsibus (ne restano solo reportationes successive) e De quatuor umoribus; opere che privilegiano un approccio filosofico alla medicina. Il personaggio più rappresentativo ed emblematico in questo secolo è comunque Costantino l'Africano (m. 1087), forse un arabo convertito; giunto a Salerno, da Tunisi, nel 1077, proseguì in seguito per Montecassino, dove rimase fino alla morte. La sua attività fu fondamentalmente quella di traduttore: dotò così la cultura cassinese e salernitana di una serie di testi notevolissima: alcuni già noti, come Galeno (di cui tradusse l'Ars parva e i Microtegni) e Ippocrate, ma anche di 'moderni' scienziati arabi, come ῾Alī Ibn al- ῾Abbās al Maǧūsī (Liber Regius), Ibn al-Ǧazzār (Viaticum), Abū Bakr Muḥammad Ibn Zakariyyā al- Rāzī (Continens); tradusse altresì tre testi di Isaac Israeli (Isacco l'Ebreo). Ma l'elenco di trattati attribuitogli dal biografo dei monaci cassinesi, Pietro Diacono, è veramente impressionante, e non è facile distinguervi le traduzioni dalle stesure originali (Antidotarius, Chirurgia, De coitu, De experimentis, De gynecia, De interioribus membris, De medicamine oculorum, De pulsibus, De simplici medicamine, De urina, Diaeta ciborum, Disputationes Platonis et Hippocratis in sententiis, Glossae herbarum et specierum, Liber duodecim graduum, Liber febrium, Megategni, Microtegni, Pantegni, Practica, Prognostica, Tegni). Il suo apporto è decisivo per l'introduzione a Salerno (e a Montecassino) della scienza araba, passaggio epocale per il decollo definitivo della Scuola medica salernitana. Al sec. XI va ascritta poi Trotula (forse meglio Trocta) de Ruggiero: ostetrica e levatrice, scrive un trattato di ostetricia e ginecologia, De mulieribus passionum ante et post partum, e uno di cosmesi, De ornatu mulierum. Di rilievo straordinario è la circostanza che una donna, oltre a praticare ‒ come è normale ‒ l'attività di ostetrica, sia autrice di trattati di natura teorica; segno, questo, inequivocabile della maggiore diffusione a Salerno, rispetto ad altre realtà culturali anche più affermate, delle conoscenze mediche (si conoscono altri nomi di donne medico salernitane: Abella, Costanza Calenda, Rebecca Guarna, Mercuriade). Opportunamente Massimo Oldoni (1987) richiama una miniatura raffigurante la Scuola medica salernitana (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 2197, sec. XIV ex., contenente il Canone di Avicenna): la vita di Roberto, duca di Normandia, colpito durante la prima crociata da una freccia avvelenata, viene salvata da sua moglie, Sibilla di Conversano, che con la bocca succhia il veleno dalla ferita; la miniatura ritrae il duca che si congeda dai medici salernitani (delle donne?) per far ritorno in patria, mentre due infermiere provvedono alla sepoltura della povera Sibilla. E nel racconto di Orderico Vitale (Historia Ecclesiastica), la seconda moglie di Roberto il Guiscardo, Sichelgaita, che odia il figlio di primo letto del marito, Boemondo di Taranto, trama insieme ai "psalernitani archiatri, inter quos enutrita fuerat", per avvelenare il figliastro (The Ecclesiastical History of Orderic Vitalis, a cura di M. Chibnall, Oxford 1970-1973).
Al sec. XI risalgono anche alcuni trattati anonimi, come la Practica Petroncelli e l'AntidotariumNicolai (vero e proprio manuale ufficiale della farmacopea salernitana). Si tratta di testi in cui la medicina è vista come un'arte prevalentemente pratica, concreta, fatta di ricettari e farmacologia. Molto rilevante, anche perché poi diffusa a livello europeo, è la cosiddetta Articella, un corpus di sette trattati di argomento medico formatosi in ambiente salernitano (Isagoge di Ioannizio, gli Aphorismi e i Prognostica, il De regimine acutorum di Ippocrate, il De urinis di Teofilo, il De pulsibus di Filareto, l'Ars parva ‒ o Microtegni ‒ di Galeno): un'antologia utilizzata nelle scuole e nelle università nei secc. XII-XIV da parte di quanti intendessero diventare medici, per controllare 'gli umori' del corpo e comprendere le ragioni della loro alterazione. Tale testo, prevalentemente teorico, servì a bilanciare gli altri trattati a base maggiormente practica.
L'opera di Costantino l'Africano, con il suo apporto straordinario sul livello teorico, imprime una svolta epocale alla medicina salernitana: essa diventa scientia. Piero Morpurgo (1990) individua una vera e propria 'rottura' tra queste due fasi (sec. XI, fase 'cassinese' o 'presalernitana': carattere pratico; sec. XII, fase 'avicenniana': carattere teorico-speculativo). De Renzi (Collectio Salernitana, 1852-1859) elenca numerosi nomi di maestri 'moderni', la cui omonimia rende spesso difficili identificazioni di personalità e attribuzione di opere: Giovanni Afflacio (Liber aureus, De febribus et urinis), Giovanni (III: De simplici medicina) e Matteo Plateario, Giovanni Ferrario (De febribus), Mauro Salernitano (De lepra, De oculis, un commento alla Isagoge Ioannitii), Cofone junior (Anatomia porci), Ursone (Regulae urinarum, Glossatio in Microtegni), e altri ancora provenienti dalla Francia o dall'Inghilterra, e perciò assai internazionalizzati, nei contatti e nella cultura. Costoro introducono nei cardini stessi della disciplina medica Aristotele, estendendosi così oltre i soliti Galeno e Ippocrate. Nascono allora i commenti all'Articella di Musandino, del suo maestro Bartolomeo da Salerno, di Mauro, e altri. I Salernitani hanno frequenti contatti con altri importanti medici dell'indirizzo teorico: fra questi, Ermanno di Carinzia e Roberto di Chester, che si basano sulla medicina araba e gli accessusadauctores.
È qui che comincia la 'filosofizzazione' della medicina salernitana. Di più, Bartolomeo da Salerno, insieme con Ursone, teorizza la distinzione tra il practicus (ad esempio il chirurgo) e il medicus. Quest'ultimo è capace anche della diffusione didattica della disciplina: "medicus est […] qui artem docet" (Commento alla Tegni; il testo, inedito, è cit. in Morpurgo, 1989, p. 45); e nella stessa opera sostiene l'importanza dello studio propedeutico, per il futuro medico, della logica. L'innovazione e il cambiamento metodologico tra le due fasi della medicina salernitana si individuano dunque soprattutto nell'intensificarsi della pratica del commento. Il citato Matteo Plateario commenta per primo a Salerno (secondo la moderna pratica universitaria della lectio) un testo medico (l'AntidotariumNicolai). E, sulla scia di Matteo, anche Bartolomeo, Mauro e Ursone intraprendono la strada del commentario alle opere classiche della medicina greca e araba (i testi contenuti nell'Articella). Il passaggio dalla practica alla theoria implica un nuovo modo di rapportarsi al mondo della cultura scritta e del libro; si intensificano i contatti con le scholae e con gli scriptoria. Si afferma, è il caso di dirlo, anche per la medicina, una vera e propria cultura del libro. Il binomio medicina-filosofia naturale, del resto, è ormai imperante anche in altre tradizioni mediche (soprattutto Montpellier), grazie alla circolazione di maestri e di dotti all'interno del 'Commonwealth' normanno (Egidio di Corbeil, Adelardo di Bath, ecc.).
Questo passaggio nella concezione della medicina dalla pratica alla dottrina teorica trovò, però, opposizione per ragioni ideologico-politiche da parte dei sovrani Altavilla. La cancelleria regia sotto Ruggero II è avversa alla medicina theorica dei Salernitani. Il cosiddetto Compendiosus tractatus de philosophia et eius secretis (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat. 283), dedicato al cancelliere di Ruggero, Roberto di Selby, si fa carico di una dura polemica contro Ursone, che nelle Glosulae aphorismorum definiva superbamente i Salernitani "nos vero physicae rationis sectatores" (Creutz, 1936, p. 106). E successivamente, in età sveva, Gerardo da Cremona attacca in maniera durissima i Salernitani e la strada ermeneutica da loro intrapresa. L'avversione della corte normanna verso la Scuola medica salernitana si spiega, su un piano politico più generale, con la tendenza di Salerno (v.) a essere sede di forze non aderenti ‒ quando non direttamente ostili ‒ alla politica della Corona (ai tempi di Ruggero II, nel 1137, la città si era schierata con la lega antinormanna; sotto Guglielmo I, Salerno è sede di una rivolta nobiliare contro il re).
De Renzi riteneva che, quanto il sec. XII è caratterizzato, per quel che riguarda la medicina, dalla stesura di opere originali, di spirito latino, tanto il XIII lo è da una 'idolatria degli arabi', concretizzantesi in una speculazione eccessiva e in un'estensione delle opere di glossatura. In realtà, la terza fase della Scuola medica salernitana, che coincide con la dinastia sveva, rappresenta per l'istituzione salernitana ‒ stando agli accertamenti della critica più recente ‒ un periodo di relativo declino. Il primo quindicennio del sec. XIII assiste a una vera e propria 'fuga di cervelli' dal Regnum, soprattutto in direzione di Bologna e di Padova. Secondo la testimonianza di Nicolò di Jamsilla, ai tempi di Federico "in regno Sicilie erant litterati pauci, vel nulli" (Historia de rebus gestis Friderici II […], in R.I.S., VIII, 1726, p. 495). Nello specifico, proprio la traiettoria teorica e dottrinale, filosofizzante, in una parola 'avicenniana', che aveva caratterizzato il secolo precedente, secondo quel fenomeno di riflusso che aveva cominciato a manifestarsi, già in epoca ruggeriana, con il Compendiosustractatus, comincia a venire meno. All'epoca di Federico II rallenta decisamente quella tradizione di commenti, ad esempio all'Articella, e di accessusadauctores, che avevano caratterizzato il secolo d'oro della Scuola medica salernitana. La politica scientifica degli Svevi, come detto, prosegue quella degli Altavilla, e va in direzione di una smussatura degli angoli con la politica culturale e scientifica della Curia pontificia. Questa si atteggiava, infatti, in maniera molto polemica contro gli eccessi razionalistici dell'aristotelismo, dei quali faceva parte integrante una considerazione eccessivamente speculativa e filosofica della medicina. La filosofia della natura, in età sveva, punta a coniugare teologia e scienza: scientia scientiarum diventa allora l'astrologia, perché, più di ogni altra, permette di contemplare il mirabile ordine della creazione.
Va d'altra parte rilevato come Salerno mantenga, durante il sec. XIII, il primato in quanto a possibilità terapeutiche. L'imperatrice Costanza d'Altavilla, malata, si fa curare in Salerno, dove subito dopo viene catturata dai cittadini stessi; e in Salerno si ferma per farsi curare anche il Gran Maestro dell'Ordine teutonico, Ermanno di Salza.
Nomi di maestri per il sec. XIII ci rimangono, anche se è difficile distinguere sempre con precisione personalità, competenze, caratteristiche. Difficile, ad esempio, l'identificazione del cosiddetto Arcimatteo (da alcuni identificato col cancelliere Matteo d'Aiello), autore di Glose Iohannitii secundum Arcimatteum. Il più celebre è senz'altro Pietro da Eboli (v.), medico personale (e poeta ufficiale) di Enrico VI, autore del De balneis Puteolanis (1212), probabilmente dedicato a Federico II, che descrive le qualità mediche di trentacinque bagni termali nei Campi Flegrei, fra Napoli e Baia. Si ricordano poi maestro Gerardo (Butuzio?), forse oculista di Enrico (De agricultura, De modo medendi, Summa medendi; inoltre Pietro Ispano ne cita alcuni commenti: super Viaticum, super Macrum, in Dinamidiis); Pietro Barliario, connotato da un'oscura fama di mago, forse dedito alla magia naturale e all'alchimia (la leggenda racconta del suo pentimento e della sua monacazione a S. Benedetto di Salerno in seguito alla morte dei nipoti, uccisi dalle sue pozioni mentre curiosavano nello studio); Gualtiero Salernitano (De dosibus, Practica medicinalis Gualterii Scholae Salernitanae), specialista dell'apparato urologico (uretra, vescica, ecc.) e gastroenterologico, elaboratore di sciroppi e pozioni; Giovanni Castellomata, archiatra della regina Maria d'Aragona (1213), poi, nel 1254, vescovo di Policastro; Bernardo Guindazio, medicus imperialis dell'imperatore latino d'Oriente Roberto di Courtenay (1219-1228), che lo chiamò da Salerno a Costantinopoli; Giovanni da Procida (m. 1299), che si sottoscrive come "domini imperatoris medicus" nel testamento di Federico II (1250) e che fu forse medico anche di Manfredi, scrive una Utilissima practica medica; Ettore da Procida, Antonio Solimene e Filippo Capograsso sembrano da ascrivere all'età federiciana, anche se è probabilmente falsa la leggenda che li vuole distruttori delle epigrafi poste a spiegazione delle diverse fonti termali e curative di Pozzuoli, per la loro invidia di medici salernitani contro le proprietà curative delle acque flegree. Vanno poi ricordati il celebre chirurgo Bruno da Longobucco, Maestro Gervaso, Martino Dardano, Matteo di Dopnomusco, Pietro Marrone, Giovanni De Ruggero. Né dovevano mancare alla Scuola, anche in età sveva, elementi femminili: in una miniatura del ms. 120 II della Burgerbibliothek di Berna, il parzialmente autografo testimone unico del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, è raffigurato Riccardo di Acerra che viene curato da alcune infermiere per una ferita in battaglia.
Tre dunque le grandi fasi epistemologiche della Scuola medica salernitana. Una prima, di natura essen-zialmente pratico-empirica, e una successiva, sviluppatasi in conseguenza all'ondata di nuove traduzioni dal greco e dall'arabo, che vede i maestri salernitani indirizzarsi verso la teoria e la produzione letteraria della medicina. La terza fase, quella sveva, costituisce una sorta di stasi di questa seconda traiettoria e di parziale regresso verso la prima.
In generale, la Scuola medica salernitana basa la sua concezione della medicina su un principio fondamentale della scienza medievale più matura (l'equalis complexio di Ruggero Bacone): la convinzione che qualunque sofferenza del corpo trovi spiegazione in una disarmonia che si è impadronita dell'organismo. È emblema di questa concezione la grande attenzione che i Salernitani dedicano alla teoria dei quattro umori.
Da un punto di vista tecnico-terapeutico, gli indirizzi medici salernitani più caratteristici sono lo studio del sintomo (Cofone senior, De modo medendi); l'urologia (Cofone senior, De urinis et eorumdem significationibus; Giovanni Afflacio, Regulaeurinarum; Bartolomeo da Salerno, Tractatusurinarum; Giovanni Plateario, Regulae urinarum; Matteo d'Episcopo, De urinis; Mauro Salernitano, Regulae urinarum, ecc.); l'anatomia (Cofone junior, Anatomiaporci), l'erboristica, o medicina dei 'semplici' (Garioponto, Dinamidia; Costantino l'Africano, Graduum simplicium, De simplici medicamine; Matteo Plateario, Circa Instans, un esauriente elenco di piante della tradizione fitologica greco-romana, che riporta il sito dove trovarle e le loro proprietà, descrivendone l'aspetto e l'habitat). Strettamente collegata alla padronanza della medicinasimplicium è la grande tradizione ed esperienza dei Salernitani nella preparazione di veleni e antidoti, attestata, tra l'altro, in episodi celeberrimi della letteratura mediolatina. È famoso lo scontro, a suon di pozioni velenose, raccontato da Richero di Reims, tra il vescovo d'Amiens, Deroldo, espertissimo di medicina, e un medico salernitano che ha ‒ nel racconto ‒ la peggio; e nella cronaca di Saba Malaspina è salernitano il medico che, su istigazione di Manfredi, avvelena (con un clistere alla polvere di diamante) il povero Corrado IV.
Il primo atto giuridicamente configurato di riconoscimento delle strutture operative e didattiche di Salerno è emanato da Federico II, nel 1231, a Melfi. Nel LiberAugustalis, alla medicina (intesa come curriculum scolastico e come esercizio dell'attività di medico) sono dedicate cinque norme del libro III: 44, 45, 46, 47 e 48 (v. Liber Constitutionum). Riprendendo alcune disposizioni dalle Assise di Ariano (v.) di Ruggero II, Federico riserva grande attenzione al reclutamento dei professori di medicina, all'ordinamento degli studi, alla disciplina delle professioni di medico, chirurgo e farmacista, all'igiene pubblica e alla tutela dell'ambiente, tanto che Antonino De Stefano ha potuto parlare di "vero e proprio codice sanitario" (1938, p. 298). La centralità che in questa normativa assume la Scuola medica salernitana è assoluta, ed è pertanto lecito ritenere che lo Svevo si sia avvalso della collaborazione dei maestri di Salerno sotto forma di commissione di esperti per la redazione degli articoli di legge inerenti la medicina.
L'articolo III, 47 delle Costituzioni interviene in maniera rigorosa nella questione del reclutamento dei docenti di medicina (comma 2): "con la presente legge stabiliamo […] che nessuno nel Regno possa insegnare medicina o chirurgia se non in Salerno, e che non assuma il titolo di maestro se non sarà stato esaminato prima con diligenza alla presenza dei Nostri ufficiali e dei maestri della stessa disciplina". La tipologia dell'intervento dello Svevo è evidente: la didattica medica, nel Regnum, è possibile solo a Salerno, ed è regolamentata dall'intervento statale. La commissione che promuove a professori di medicina è mista: maestri e funzionari regi, il che sancisce in maniera evidente la statalità dell'insegnamento.
Oltre che sul reclutamento accademico, Federico interviene anche sull'ordinamento degli studi. La costituzione III, 46 fissa per legge un curriculum così strutturato: studio di un triennio propedeutico di logica e cinque anni di medicina e chirurgia (allungando non di poco la durata degli studi rispetto ad alcuni statuti comunali coevi). Questo inserimento obbligatorio dello studio della logica (logica modernorum, cioè fondamentalmente scienza del linguaggio, base di ogni elaborazione dottrinale e norma di correttezza formale dell'argomentazione) è indicativo dell'accoglimento, ormai anche in legislazione, della concezione epistemologica della medicina nel sec. XIII: essa è divenuta ufficialmente una scientia, una 'quinta arte' del Quadrivio, per apprendere la quale è necessaria la padronanza di discipline propedeutiche. Al tempo stesso, Federico mostra di tenere conto anche del risvolto operativo della prassi medica, di cui egli stesso si era fatto ‒ come detto ‒ sostenitore, in contrapposizione agli 'avicennismi' della Scuola medica salernitana: "durante il periodo predetto [il quinquennio di medicina], il futuro medico apprenda anche la chirurgia, che è parte della medicina […]. Entro questo quinquennio i maestri insegnino nelle scuole sia la teoria che la pratica della medicina sui testi autentici di Ippocrate e di Galeno".
Le costituzioni III, 45 e III, 46 regolamentano l'accesso alla professione di medico. L'aspirante, dopo gli otto anni di studi teorici, deve fare pratica per un intero anno sotto la guida di un medico esperto (III, 46.11). E dopo l'approvazione pubblica da parte dei maestri di Salerno, non potrà esercitare la professione se prima non si sarà presentato "con lettere di maestri e dei Nostri funzionari attestanti fedeltà e preparazione adeguate, alla Nostra presenza […] e non avrà ottenuto da Noi […] la licenza di esercitare la medicina". Nell'idea di Federico, dunque, è il potere politico-amministrativo, e non quello universitario (i maestri vengono, nella formulazione del dettato della norma, a costituire solo una commissione tecnica), a conferire ufficialmente la qualifica di medico. I diplomi di rilascio dell'autorizzazione all'esercizio della professione, infatti, sono conferiti dal re. I maestri sono abilitati a conferire a loro volta il titolo di maestro, ma è necessario che l'esame si svolga alla presenza di un ufficiale regio (III, 47). I maestri effettuano una cooptazione didattica, non professionale. Anche la professione di chirurgo è regolamentata dalle Costituzioni. Il comma 13 della III, 46 prescrive: "nessun chirurgo sia ammesso alla pratica se non presenta lettere di maestri che tengono lezione alla facoltà di medicina, attestanti che egli, almeno per un anno, ha studiato quel ramo della medicina che conferisce la preparazione chirurgica e soprattutto che ha imparato nella scuola l'anatomia dei corpi umani e sia perfettamente istruito in tale branca della medicina, senza la cui conoscenza non possono essere eseguite incisioni benefiche né essere curate una volta praticate". La norma federiciana (III, 46) prevede ancora una rigorosa e dettagliata puntualizzazione dei diritti e dei doveri del medico, soprattutto rispetto ai pazienti (v. Medicina).
Ai maestri di fisica di Salerno sono delegati, inoltre, anche rigidi controlli sui farmacisti, all'operato dei quali occorre una loro preventiva autorizzazione (III, 47.1: "[…] elettuari, sciroppi e altre medicine […] vogliamo anche che queste preparazioni vengano autorizzate dai maestri di fisica di Salerno").
È stato proprio il 'dirigismo' nell'ambito della politica universitaria che ha fatto accusare ‒ da parte di David Abulafia (1993, p. 222) ‒ Federico di aver provocato il declino della Scuola medica salernitana. Ma tale interpretazione è da ridimensionare, se non da rigettare toutcourt. Appaiono più documentate le letture di Giovanni Vitolo da un lato, secondo il quale lo Svevo, con questi interventi, avrebbe rappresentato un "valorizzatore delle energie locali" (2001, p. 220), e di Ortensio Zecchino dall'altro, che intravede nella legislazione federiciana, in un tempo del "dominio esclusivo del diritto privato" come è quello medievale, "una indiscutibile carica di progettualità innovativa" (2002, p. 71).
Federico interviene e regolamenta in maniera precisa e rigorosa sia la struttura degli studi, sia il conferimento del titolo, sia l'accesso alla professione (che riserva a sé). Tanto lo Svevo è dirigista, quanto gli Altavilla erano stati (a parte l'episodio segnalato supra) poco interessati a indirizzare e regolamentare gli indirizzi didattici della Scuola medica salernitana. La medicina, al contrario delle altre discipline del Quadrivio (il cui insegnamento non trova spazio nella raccolta di leggi federiciane, dove non si parla nemmeno dell'Università di Napoli), ha un impatto sociale rilevantissimo, e il Federico legislatore interviene direttamente (III, 45: "Quando adottiamo provvedimenti relativi alla salute pubblica, Ci preoccupiamo di un problema di particolare interesse generale. Considerando dunque il grande dispendio e il danno irrecuperabile che potrebbe determinarsi a causa dell'imperizia dei medici […]"). La considerazione di questa enorme importanza sociale della figura e del ruolo del medico porta lo Svevo a comandare che "in futuro, nessun aspirante al titolo di medico osi esercitare o altrimenti curare se, essendo prima stato approvato in sessione pubblica dai maestri di Salerno, non si presenti ‒ con lettere di maestri e dei Nostri funzionari attestanti fedeltà e preparazione adeguate ‒ alla Nostra presenza […] e non avrà ottenuto da Noi […] la licenza di esercitare la medicina. La pena del sequestro dei beni e di un anno di carcere incombe su coloro che in futuro oseranno esercitare contro questa legge emanata dalla Nostra Serenità".
Proprio al declinare definitivo della parabola sveva in particolare, e ghibellina in generale, cioè nel tardo sec. XIII, il medico di Bonifacio VIII, Arnaldo da Villanova, raccoglie i principi della Scuola medica salernitana nei tremilacinquecentoventi versi del Flos medicinae scholae Salerni (del quale esisteva una prima redazione in soli sessantaquattro versi) e lascia quasi una sorta di testamento di quella grande tradizione, anche se, nel corso dei secoli successivi, la Scuola medica salernitana continuerà a esistere, peraltro rafforzandosi e razionalizzandosi (ad esempio sotto Carlo I d'Angiò) anche dal punto di vista giuridico.
Fonti e Bibl.: Collectio Salernitana, a cura di S. De Renzi, I-V, Napoli 1852-1859 (riprod. anast., a cura di A. Garzya, Napoli 20012); R. Creutz, Die medizinisch-naturalphilosophischen Aphorismen und Kommentare des Magister Urso Salernitanus, "Quellen und Studien zur Geschichte der Naturwissenschaft und der Medizin", 5, 1936, pp. 1-192; W. Stürner, Urso von Salerno De commixtionibus elementorum libellus, Stuttgart 1976; Trotula de Ruggero, Sulle malattie delle donne, a cura di P. Cavallo Boggi, Torino 1979; la versione più conosciuta del Regimen Sanitatis Salernitanum è quella curata da Arnaldo da Villanova, in trecentosessantadue versi, Laregolasanitariasalernitana, Roma 1993; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Siziliens, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996; Friderici II Liber Augustalis. Le costituzioni melfitane di Federico II di Svevia. Riproduzione ed edizione dal codice Qq. 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