Scuola. Insegnanti bruciati
Si va sempre più approfondendo il divario comunicativo fra studenti (‘nativi digitali’) e docenti anziani, trattenuti forzatamente al lavoro dalla riforma pensionistica. E perciò stressati e demotivati.
Basta entrare in una classe per comprendere come oggi gli insegnanti si trovino ad assolvere un compito estremamente arduo. I docenti, infatti, devono fronteggiare e fornire risposte ad alunni che spesso non entrano neppure nei banchi per le loro dimensioni, provvisti di tutte le novità tecnologiche esistenti: cellulari, iPhone, tablet, social network, tanto per citarne alcuni. Bambini e ragazzi sono sempre più vivaci e per gli insegnanti è sempre più complicato costringerli a rimanere seduti su una sedia a seguire le loro lezioni, perché con tutta probabilità i giovani sono ormai abituati a ottenere tutto in ‘tempo reale’ – informazioni, comunicazioni e servizi – e sono destinatari spesso di una lezione ancora troppo tradizionale.
Negli Stati Uniti, è stata perfino identificata una patologia che viene trattata, anche in tenera età, con psicofarmaci: l’ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. L’approccio farmacologico all’iperattività in Italia è invece meno praticato.
Ma al di là della patologia, reale o presunta, il gap tra insegnanti italiani (in prevalenza cinquantenni, donne e meridionali) e studenti va oltre la normale dialettica del contrasto tra generazioni e rischia di diventare incolmabile, determinando l’incomunicabilità tra docenti e discenti. Come ha teorizzato Marc Prensky nel 2001, quasi tutti gli alunni oggi sono ‘nativi digitali’, nati cioè in un mondo che offre tutte le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Nella migliore delle ipotesi, invece, i docenti sono ‘immigrati digitali’: hanno, cioè, imparato a usare da adulti computer, social network e iPhone.
Trent’anni fa – senza Internet (lanciato nel 1995), blog (1997), Facebook (2004), telefono cellulare (1995) e iPhone (2007) – il divario tra le generazioni era segnato soltanto dalla tv e da qualche strumento che agevolava la vita scolastica, come la calcolatrice tascabile. I personal computer erano prevalentemente appannaggio dei tecnici – ingegneri, architetti, commercialisti – e di aziende, industrie e ditte, che cominciavano a gestire la contabilità e altri processi con sistemi automatici, e non delle famiglie. Oggi non è più così. Nelle scuole italiane, docenti sempre più anziani si trovano di fronte alunni sempre più tecnologici e lontani dal loro modo di vivere e di pensare. I neuroscienziati sono alle prese con studi che sembrano rilevare una vera e propria ‘intelligenza digitale’ nei giovani.
E gli insegnanti sempre più spesso accusano la cosiddetta sindrome di burnout (alla lettera ‘distruggere internamente con il fuoco’, ‘bruciato’). È una forma di stress che nella scuola italiana porta i docenti ad ammalarsi di patologie psichiatriche e neoplastiche in percentuale più alta rispetto agli altri dipendenti della Pubblica amministrazione. In questo contesto, il crescente conflitto tra da una parte nativi digitali – ragazzi iPhone-dipendenti affetti da cronico deficit di attenzione – e generazione multitasking, e dall’altra insegnanti anziani, trattenuti al lavoro dalla riforma delle pensioni Fornero e quindi profondamente demotivati, con tutta probabilità peserà nei prossimi decenni sulle prestazioni dell’intero sistema di istruzione italiano.
Recentemente, tutti gli organismi economici e politici – dall’UE all’OCSE – puntano sulla formazione del capitale umano per uscire dalla crisi economica in cui sono piombati l’Europa, gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi più industrializzati. E in particolar modo sugli alunni e sugli insegnanti.
E in Italia? Anche nel Belpaese si discute su come intervenire per migliorare l’efficienza del sistema formativo nazionale. Ma le riforme, spesso, travolgono tutto e basterebbe affrontare in termini complessi, alla maniera di Edgar Morin, la questione, almeno per tentare di intravedere come potrebbe essere nel nostro paese la scuola in futuro.
Oggi, più della metà degli insegnanti italiani è nata negli anni Sessanta, o addirittura prima, quando le TIC – le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – erano in fase di elaborazione. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione, nell’anno scolastico 2009/2010 il 52% degli insegnanti aveva compiuto 50 anni e oltre, e il 7% ne aveva già più di sessanta. Oggi, il 4% della popolazione pediatrica è affetta da disturbo di attenzione e una fetta sempre più cospicua di adolescenti prova un evidente senso di disagio nello stare in classe. Per questi ultimi la vita scorre ‘in tempo reale’: basta collegarsi a Internet con Skype per parlare e vedere un compagno che si trova dall’altra parte del pianeta. Per ricaricare il telefonino sono sufficienti pochi secondi e per le confidenze della giornata Facebook è il mezzo più utilizzato. La Rete offre, inoltre, la possibilità di partecipare a giochi di ruolo con compagni a migliaia di chilometri di distanza. Le lunghe ed estenuanti telefonate che hanno accompagnato le serate di intere generazioni di insegnanti, magari col duplex, sono preistoria, così come ritrovarsi attorno a un tavolo per giocare a Monopoli o a Risiko. Aspettare, attendere, indugiare sono verbi già in disuso per i nostri giovani. È ormai noto che a volte, poco dopo la consegna da parte dell’insegnante della versione di latino per il compito in classe, accada che qualche studente si colleghi a Internet con un semplice iPhone per ‘scaricarla’. Così come avviene per le tracce della maturità: le prime indiscrezioni cominciano a circolare nel web dopo pochi minuti dalla dettatura. E gli insegnanti? Spesso stanno a guardare senza neppure comprendere cosa stia accadendo in classe.
Nel 2011, la riforma Fornero ha spostato in avanti l’età pensionabile per tutti i dipendenti della Pubblica amministrazione, procrastinando l’uscita dal lavoro di una quindicina d’anni anche per i docenti della scuola. Vent’anni fa, un docente poteva andare in pensione a 54 anni, fra vent’anni ne dovrà avere 67 e forse anche 70. Ma tra quattro lustri le nuove generazioni saranno ancora ‘più giovani’, l’iPhone sarà soltanto l’antenato di una generazione supermoderna di smartphone e chissà quale altra novità avrà attirato l’attenzione degli alunni, magari con potenzialità inimmaginabili oggi. Gli insegnanti saranno, invece, sempre più vecchi, perché i 168.000 precari che bussano alla porta per essere assunti hanno mediamente 40 anni di età e, in assenza di politiche di svecchiamento della classe docente, il rischio che insegnanti e alunni parlino linguaggi addirittura diversi è più di una semplice ipotesi.
Recentemente, il ministro dell’Istruzione ha annunciato nuovi concorsi nella scuola per reclutare docenti giovani e meritevoli. Ma, per centrare l’obiettivo, occorre snellire i percorsi universitari per accedere all’insegnamento che al momento durano da cinque a sei anni. Troppi, probabilmente, per portare in cattedra insegnanti davvero giovani.
Progetto Lavagne interattive multimediali
Nel 2012 termina il primo piano nazionale per la diffusione delle Lavagne interattive multimediali (LIM), avviato nel 2009 dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica (MIUR), che ha reso noti, in aprile, i primi dati sull’andamento del progetto. La LIM è una grande superficie multimediale, sensibile al tocco delle dita (o di una penna digitale), che opera come una periferica del computer. Consente non solo di visualizzare dati, immagini, testi, presenti sul pc, ma anche di collegare in rete dispositivi personali (tablet, smartphone e netbook) e accedere a Internet. Per le sue caratteristiche, la LIM si presenta quindi come una sorta di via di mezzo tra la metodologia tradizionale (con i suoi tipici strumenti per la lezione frontale: lavagna di ardesia e il gesso) e quella del futuro, centrata sulla connettività. Soprattutto, può fungere da interfaccia tra le competenze del docente e quelle dello studente, promuovendone l’integrazione. Proprio per questo motivo, il progetto (che riguarda la scuola di primo e secondo grado) è stato promosso a livello europeo, in particolare da European Schoolnet, consorzio di 26 ministeri dell’Istruzione dei paesi UE, che opera, su mandato della Commissione europea, per favorire l’innovazione delle tecnologie didattiche.
La parola
■ Cl@ssi 2.0
Le classi digitali sono un progetto didattico per la sperimentazione di metodologie e ambienti di apprendimento avanzati, a supporto della didattica quotidiana, avviato dal ministero dell’Istruzione nel 2009-10, con l'aiuto di una rete di università e dell’ANSAS (l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica), in 156 classi della scuola secondaria di primo grado. Nel 2010-11 il progetto è stato esteso anche alle scuole primarie e secondarie di secondo grado.