Chartres, scuola di Tradizione di insegnamenti promossi, nella scuola cattedrale fondata da Fulberto (ca. 960 - 1028), dai maestri che vi furono attivi nel corso del sec. 12°: Bernardo di Tours (cancelliere dal 1119), Teodorico (m. 1155 ca.), Guglielmo di Conches (ca. 1080 - dopo il 1154), Bernardo Silvestre, Clarembaldo d’Arras (m. 1187), Giovanni di Salisbury (tra il 1110 e il 1120 - 1180); Gilberto Porretano, che successivamente insegnò a Parigi, vi fu allievo di Bernardo e cancelliere. I maestri di Ch. orientarono la rinnovata conoscenza degli autori classici (a partire dagli studi di grammatica, incentrati su Donato e Prisciano) verso i testi di Virgilio, Servio, Cicerone, Seneca, Boezio, Marziano Capella, Macrobio, Calcidio e Agostino, privilegiando la tradizione platonica (per cui si parla di platonismo di Ch.). La pratica di insegnamenti impartiti mediante la lettura (lectio) e il commento dei testi, favorì il precisarsi di dottrine scientifiche e cosmologiche e il delinearsi di una costellazione di problemi e interessi fisico-cosmologici che si andò estendendo anche alla riflessione esegetica e teologica. Contro l’idea di una natura studiata essenzialmente in chiave morale e allegorica, mediante tecniche interpretative tese a riconoscervi il simbolo della volontà divina (la natura è il libro «scritto dal dito di Dio» sintetizza Ugo di S. Vittore nel De tribus diebus), i maestri chartriani – Teodorico, nel De sex dierum operibus, Guglielmo di Conches, nella Philosophia, Bernardo Silvestre nel De mundi universitate – improntarono la loro riflessione al riconoscimento di processi causali che regolano e ordinano tutto il cosmo. Un ruolo centrale assunse, in tale prospettiva, la cosmologia descritta nel Timeo platonico, conosciuto e studiato principalmente nel testo e nel commento tramandati da Calcidio. Le dottrine timaiche trattate mediante le tecniche di interpretazione disponibili, di matrice essenzialmente simbolico-scritturale, ponevano non pochi problemi per essere conciliate con i capisaldi del pensiero teologico cristiano e con il testo biblico. Per ovviare a tali problematiche i maestri di Ch. rinnovarono l’esegesi tradizionale facendo largo uso della tecnica interpretativa dell’integumentum («adombramento»): il testo sia filosofico (Platone o Calcidio) sia poetico (Virgilio o Boezio), era considerato veicolo di verità che andavano sceverate dall’involucro sotto il quale erano adombrate, rendendo possibile, per es., la conciliazione del testo timaico con la dottrina cristiana della creazione. Teodorico, incentrando la sua analisi sul rapporto Dio-mondo, ricondotto a quello fra unità-molteplicità e identico-diverso, arricchisce il contesto timaico con il tema boeziano dell’identificazione fra unità (unitas) ed essere (esse) «tutto ciò che è, è perché è uno» (Boezio); egli risale dalla molteplicità del creato a Dio mediante dimostrazioni matematiche (arithmeticae probationes), svolgendo un commento del testo genesiaco secundum physicam (in base alla fisica) e ad litteram (alla lettera). Per Guglielmo di Conches, fisico e filosofo, Dio crea cause che posseggono consistenza ontologica e capacità causative proprie (astri e divinità inferiori), le quali, a loro volta, completano l’opera della creazione formando i diversi esseri e il corpo umano. Tali tesi gli valsero l’accusa, da parte del mistico cisterciense Guglielmo di Saint-Thierry (1085 ca
1148), di parlare ‘fisicamente’ di Dio («physicus et philosophus physice de Deo philosophatur»). L’ambito della riflessione condotta dai maestri chartriani, oltre che dall’esigenza di armonizzare con il pensiero cristiano le dottrine pagane presenti negli autori utilizzati, è complicato anche dallo sforzo di inglobamento della scienza araba, delle dottrine del Liber de causis e di alcuni testi della tradizione ermetica, ampiamente presente nel testo di Bernardo Silvestre. La descrizione dell’origine del cosmo mediante processi di partecipazione («rendersi parte») e di immanenza dell’essere divino (inteso come forma essendi), motivo timaico tematizzato nei commenti di Calcidio e di Macrobio, conduce infatti a una ipostatizzazione dell’intelletto divino (il cui contenuto sono le forme archetipe) e dell’anima del mondo, in cui Dio diventa l’essere di tutte le cose (esse omnium), in alternativa alla soluzione esemplarista della tradizione agostiniana. È in tal senso che il rapporto tra Dio e le cose verrà inteso nelle concezioni immanentiste e panteiste di David di Dinant e di Almarico di Bène, esiti estremi della riflessione avviata dai maestri di Chartres.