SCOPA (Σκόπας, Scopas)
Dell'isola di Paro nell'Egeo: architetto e scultore. Come scultore S. viene primo, anzitutto in ordine di tempo, tra i maggiori scultori greci del sec. IV a. C. Con qualche fondamento si ritiene che la nascita di S., figlio, sembra, dello scultore Aristandro, risalga agli ultimi lustri del sec. V (420-410 circa a. C.).
A punto di partenza per la cronologia, assai incerta, dell'attività di S., si suol mettere la ricostruzione del tempio di Atena Alea (o Alea-Atena) in Tegea (Arcadia): un antichissimo tempio andato distrutto da un incendio nel 395-394, e ricostruito interamente, a distanza forse di pochi anni (circa il 380 o dopo), sotto la direzione dell'architetto-scultore di Paro. Questi, per quanto giovane, non doveva essere tuttavia alle prime armi, anzi doveva avere già dato segni indubbî delle sue qualità ed essersi affermato onorevolmente nel campo dell'arte. Si è ultimamente accennato, da parte di Ch. Dugas (v. bibl.), alla possibilità che il tempio di Tegea, con le relative sculture, lungi dall'essere opera dell'età giovanile, sia stata opera della vecchiezza, e quasi coronamento della carriera artistica di S.
Il tempio di Tegea è ricordato e descritto brevemente da Pausania (VIII, 45, 4). Era un edificio perittero, anfiprostilo, esastilo: l'architetto (per testimonianza del periegeta) vi aveva dato un riuscitissimo saggio dell'applicazione dei tre ordini architettonici: dorico e corinzio all'esterno, ionico all'interno.
Scavi eseguiti nel villaggio di Pialì presso Tegea, iniziati nel 1880 e portati a compimento da una missione francese nel 1900, restituivano alla luce avanzi architettonici, importantissimi, di un grande tempio in marmo pario, che non si esitò a identificare con quello celebre ricordato dalla tradizione (v. anche tegea).
Due ricche composizioni statuarie occupavano i frontoni del tempio. Il frontone orientale rappresentava la caccia del cinghiale Calidonio; il frontone occidentale il combattimento tra Greci, guidati da Achille, e Asiatici, guidati da Telefo, nella pianura del Caico. Pausania riporta i nomi dei personaggi mitologici del primo frontone, e cioè: Meleagro, Atalanta, Teseo, Telamone, i Dioscuri, Iolao, Peleo, Anfiarao e altri: al centro si vedeva il cinghiale di Calidone, affrontato da Atalanta e Meleagro. Del secondo frontone, come meno importante, Pausania non accenna altro che il soggetto.
Pochi frammenti figurati del frontone orientale, fortuitamente recuperati in seguito agli scavi del tempio, rappresentano oggi, in complesso, il termine di paragone di tutte le nostre più concrete conoscenze sullo scultore di Paro. Di speciale importanza sono, a questo riguardo, fra i detti frammenti, alcune teste giovanili (appartenenti al frontone orientale): due teste munite di elmo; una testa nuda, senz'elmo, e (proveniente dal frontone occidentale) una testa di Eracle, riconoscibile dal copricapo a pelle leonina. Alla decorazione statuaria del tempio appartiene anche un torso femminile, vestito di peplo: secondo alcuni identificabile con la figura di Atalanta del frontone est, secondo altri - meno verosimilmente - un tipo di Nike aptera (senz'ali), in corsa. L'unica testa femminile rinvenuta non apparterrebbe, come ad alcuni parve, alla supposta Nike, né ad alcuno dei frontoni, ma, forse, a una statua di Igea venerata nel tempio, e opera ancor essa di S.
I pochi frammenti di statue frontonali tegeati hanno permesso di fissare i primi caratteri distintivi dell'arte di S.: la sagoma piuttosto quadrata dei volti, atta a conferire uno spiccato carattere di robustezza e di energia alle eroiche figure, e inoltre la particolare accentuazione delle bozze frontali, nonché le arcate orbitali così profondamente incavate sotto la fronte, da proiettare sugli occhi non grandi, una zona d'ombra, determinante una pittoresca espressione di sentimento e di "pathos"; finalmente le labbra, non suggellate, ma leggermente aperte, ad accentuare la naturalezza e a simulare la vita palpitante nelle figure scolpite. Tali peculiari caratteri anatomici e fisionomici non trovano complessivamente riscontro negl'ideali estetici dell'arte fidiaca, né dell'arte greca del periodo di transizione dal secolo V al IV. Essi pertanto non possono non risalire a un artista di grande animo e di originalissima tempra, il quale, straniandosi dai canoni tradizionali, indirizza, non meno dell'architettura, l'arte della scultura su nuove vie, aprendole nuovi orizzonti.
Secondo importante caposaldo per ricostruire l'attività dell'artista è l'avvenuta sua partecipazione, come scultore, ai lavori del grande monumento sepolcrale eretto in Alicarnasso per Mausolo, satrapo di Caria, e per la moglie Artemisia (v. mausoleo). Essendo morti Mausolo nel 353 e Artemisia nel 351, a questi anni circa risalirebbe l'attività di S. in Asia Minore. È però anche assai probabile che la costruzione del colossale monumento venisse intrapresa e si trovasse pure portata già molto innanzi, quando Mausolo era ancora in vita. A collaborare all'impresa erano stati chiamati architetti e scultori tra i più famosi. In omaggio al suo riconosciuto valore, S. ebbe affidata secondo la testimonianza di Vitruvio (De Arch., VII, praef., 12) e di Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 30), l'esecuzione delle sculture decorative della fronte orientale del monumento, gli altri tre lati essendo stati affidati rispettivamente agli scultori Timoteo, Leocare, Briasside.
Gli scavi condotti in Alicarnasso dall'inglese C. T. Newton e da altri, dal 1856 al 1879, fruttarono la scoperta di numerose sculture, a rilievo e a pieno tondo, con varie lastre di fregio, tutte inerenti a un'Amazonomachia. Su codesti rilievi, in omaggio alla tradizione letteraria, venne affrontata l'ardua impresa di rintracciare l'opera di S. Tre lastre effettivamente rinvenute presso il lato orientale del Mausoleo scolpite con scene di combattimento (monomachie) tra Greci e Amazoni, si distinguono per un'intensità di vita e un'originalità di concezione particolari. Sopra un fondo leggermente spaziato le singole figure appaiono dotate di uno slancio, e si direbbe di un vigore fisico, maggiore che altrove, mentre nei volti si manifesta la medesima profondità di espressione propria dell'arte scopadea. Certi motivi e trovate originali (l'Amazone arciera a cavalcioni a rovescio sul cavallo, l'Amazone combattente quasi nuda) confermano l'impronta di un genio spregiudicato, in grado di sottrarsi al peso della tradizione, per dare il senso del vero con drammatica immediatezza.
Si sa poi che S. ebbe a lavorare come scultore anche a Efeso. Nel 356 il tempio celebre di Artemide Efesia andava distrutto dal fuoco; grazie al fervore dei fedeli, fu intrapresa sollecitamente la ricostruzione del tempio, il quale si adornava, tra l'altro, di ben trentadue colonne riccamente scolpite (columnae celatae). Di queste una era opera dello scultore di Paro (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 95). Gli scavi compiuti ad Efeso tra il 1863 e il 1869 riportavano alla luce un grosso tamburo marmoreo di colonna, decorato intorno da figure a mezzo rilievo, illustranti il mito di Alcesti. Per quanto possa sembrare un caso veramente singolare che di tanto prezioso materiale architettonico perduto siasi conservata l'unica colonna decorata da S., certo è che il pezzo rinvenuto presenta tutte le caratteristiche dello stile nobile e passionale di quello.
Ulteriori attribuzioni all'attività di S. scultore riposano sulla tradizione letteraria, e sulle affinità stilistiche con le opere meglio accertate. È ricordata e descritta da Callistrato (Ekphr., Stat., 2) in termini entusiastici una statua marmorea di baccante in movimento orgiastico, opera di S. La testimonianza letteraria indusse G. Treu a segnalare come una replica, modesta replica dell'originale scopadeo, una statuetta di marmo dell'Albertinum di Dresda, raffigurante una baccante in movimento di danza, con la testa, rovesciata, lo sguardo rivolto in alto, le chiome sciolte sulle spalle, il peplo allacciato alla vita e completamente aperto sul fianco sinistro. Lo stato mutilo della figura non permette di cogliere tutto l'effetto che l'artista aveva saputo ricavare dal movimento agitato della danza. Per di più la baccante, detta appunto Χιμαιροϕόνος ("che uccide il capro"), reggeva in alto con la sinistra il corpo lacerato di un capretto.
Ad originale scopadeo suol essere riferita la statua - copia romana - del Meleagro del Museo Vaticano, della quale si hanno varie repliche. Per finezza di esecuzione e presumibile fedeltà all'originale va molto innanzi alla statua vaticana la bella statua di Meleagro della Villa Medici a Roma. Così per ragioni di stile, è stata attribuita a S. una testa muliebre giovanile dell'Acropoli di Atene, interpretata come una testa di Igea. Si sa infatti che S. ebbe ad eseguire, per il detto santuario di Tegea, due statue marmoree, di Asclepio e Igea. Un'altra coppia statuaria simile, opera di S., si trovava a Gortina di Arcadia. Le fonti letterarie ricordano ancora molte opere dell'artista: tra le altre una Ecate, ad Argo; un Eracle giovane (identificato nell'Eracle già della collezione Lansdowne), a Sicione; due Erinni, per il santuario delle Erinni, ad Atene; un Ermete, una Estia e delle Canefore, finite in Italia, e un Apollo che si ammirano sul Palatino, nel santuario augusteo omonimo; un'Artemide "Eukleia" e un'Atena "Pronaia" in Tebe; un gruppo allegorico di "Eros" (Amore), "Pothos" (la passione), "Himeros" (il desiderio), per la città di Megara. A S. si attribuivano inoltre statue di culto di Apollo, Ares, Dioniso. Celebre in Elide era la statua in bronzo, opera di S., rappresentante, seduta sul dorso di un capro, Afrodite "Pandemos" (cioè "popolare"), opposta ad Afrodite "Urania" (cioè "celeste"). Finalmente nel tempio di Nettuno a Roma, presso il Circo Flaminio, si ammirava di S. un colossale gruppo statuario di Achille accompagnato alle Isole beate da Nettuno e Teti, seguito da Nereidi, Tritoni, delfini, ippocampi e altri mostri del mare: un'opera che, a testimonianza di Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 26), sarebbe bastata da sola a illustrare la vita di un artista. Di quest'opera si ritiene di poter indicare gli echi in statue e rilievi, specie nelle lastre scolpite della Gliptoteca di Monaco, facenti parte dell'altare romano di Domizio Enobarbo.
All'attività di S., oggi così scarsamente illustrata da tipi statuarî femminili, si è voluta attribuire la statua della "Demetra di Cnido" (Londra, British Museum), e anche, con minor fondamento, l'"Afrodite di Milo" (Parigi, Louvre), nonché l'"Afrodite di Capua" (Napoli, Museo Naz.). L'influsso diretto del tono passionale proprio dell'arte scopadea si riscontra largamente nelle sculture funerarie attiche del sec. IV avanzato, e, meno direttamente, nell'arte ellenistica pergamena (III-II sec. a. C.). Per quanto, poi, manchino sicure testimonianze storiche e monumentali, non disdirebbe certamente all'artista l'attribuzione di un ciclo statuario ispirato al mito di Niobe e dei Niobidi. A Roma, nel tempio di Apollo Sosiano, si ammirava un gruppo statuario rappresentante la strage dei Niobidi, di dubbia attribuzione tra S. e Prassitele (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 28).
Dal complesso delle scheletriche fonti letterarie, con sicurezza si ricava: che S. fu, oltre che architetto, scultore di un'attività, fecondità e varietà considerevoli; che fu essenzialmente, se non esclusivamente, scultore in marmo; che le sue opere erano largamente apprezzate e ricercate anche in Italia e in Roma, avanti e durante l'età imperiale. Con la rinnovazione dei tipi fisionomici e dei motivi sculturali, S. si distingue infatti nettamente dai maestri più rappresentativi dell'età che a lui precede, nonché di tutta la scultura greca, soprattutto per quel senso di passionalità e di umanità profonda che traspira dalle sue figure, e che dal punto di vista della vita non soltanto fisica, ma psicologica delle opere statuarie, fa di S. il più moderno degli scultori greci.
V. tavv. XIX e XX.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, Lipsia-Berlino 1868, nn. 1149-1189; Weil, in A. Baumeister, Denkmäler des klass. Altertums, Berlino 1889, s. v. Skopas; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 569 seg.; M. Collignon, Scopas et Praxitèle, Parigi 1907; K. A. Neugebauer, Studien über Skopas, Lipsia 1913; M. Collignon, Les statues funéraires dans l'art grec, Parigi 1911; Ch. Dugas, J. Berchmans e M. Clemmensen, Le Sanctuaire d'Aléa Athéna à Tégée au IVe siècle, testo e atlante, Parigi 1924; E. Pfuhl, Bemerkungen zur Kunst d. vierten Jahrhunderts, in Jahrbuch d. archaeol. Instituts, 1928, p. 27 segg.; A. Della Seta, Il nudo nell'arte, I, Roma-Milano 1930, pp. 283-307; G. E. Rizzo, La Base di Augusto, Napoli 1933 (per la statua di Apollo Palatino).