SCONTO
. Si dice operazione di sconto quella con la quale si anticipa a mutuo una certa somma che il mutuatario si obbliga di restituire aumentata in una certa misura dopo un certo tempo.
Normalmente la scrittura che serve a provare questa forma di mutuo è rappresentata da un titolo cambiario allo scopo di attribuire al mutuante le speciali e rapide procedure per ottenere il pagamento, che competono a quella categoria di titoli di credito.
Sotto l'aspetto economico, il fatto peculiare dello sconto è costituito dallo scambio di una somma di denaro immediatamente disponibile con una somma di denaro che sarà disponibile a scadenza: quella è di regola inferiore a questa; cioè il valore del credito che si sconta è inferiore al suo importo nominale e la differenza si chiama appunto sconto. Attualmente nella pratica corrente degli affari lo sconto si indica in misura percentuale e riferito ad anno, calcolato, secondo i casi, di 360 oppure di 365 giorni: il primo è il cosiddetto anno commerciale, usato per la rapidità che consente nel calcolo, trattandosi di numero multiplo di parecchi altri; l'altro si dice anno civile, nel quale, però, quasi sempre si trascura l'anno bisestile.
Così quando si dice che il saggio oppure la ragione di sconto (ellitticamente: lo sconto) è, in un certo momento, del 6%, si vuole intendere che il diritto di ricevere una somma di 100 lire, dovuta dopo un anno dal giorno che si considera, si scambia contro 94 lire pagate in contanti a chi è disposto a cedere quel diritto. Se invece le 100 lire sono dovute dopo sei mesi o quattro mesi, il valore sarà di 97 lire nel primo caso o di 98 nel secondo, cioè si calcola la quota cui il 6% all'anno corrisponde per i 6 mesi o per i 4 mesi che intercorrono alla scadenza.
Questo sistema contabile ha dato luogo ad alcuni accorgimenti che vengono correntemente usati dalle banche, che effettuano con grande frequenza queste operazioni, allo scopo di ridurre i calcoli al minimo: accenniamo ai moltiplicatori o ai divisori fissi. Infatti l'operazione di sconto per somme dovute a scadenze diverse da quella di un anno dalla data in cui essa si effettua, si risolve nella combinazione di due proporzioni per determinare, sulla base di una certa somma e di una certa scadenza, quanto sia l'importo corrispondente al saggio dello sconto espresso in ragione percentuale e all'anno. Per risolvere le due proporzioni si debbono effettuare, infatti, tre moltiplicazioni e una divisione (il capitale nominale si moltiplica per il saggio e per il numero dei giorni della scadenza e il prodotto ottenuto, diviso per il numero dei giorni di cui si compone l'anno, si moltiplica a sua volta per 100 che rappresenta la base percentuale con la quale è espresso il saggio).
I metodi di cui si è detto valendosi appunto del fatto che, ad es., 360 può essere divisibile per il saggio dello sconto da usare, consistono nel calcolare l'importo percentuale giornaliero dello sconto corrispondente a quel saggio e col capitale di lire 100, e di esprimerlo per tutte le possibili scadenze computate in giorni. Prontuarî di tal genere sono molto in uso e sono di grande facilitazione per gli uffici bancarî. Il documento contabile nel quale le operazioni dello sconto vengono normalmente riassunte si dice distinta di negoziazione o di sconto (bordereau).
Lo sconto, computato anticipatamente come prelievo sul nominale della somma da scontare costituisce dunque una qualità economica che anche dall'aspetto matematico si diversifica dall'interesse, il quale per tacita convenzione si calcola sempre dovuto posticipatamente: questa differenza si può misurare, grosso modo, con l'interesse dell'interesse. Cioè lo sconto anticipato del 5% corrisponde all'interesse posticipato del 5,25%, in quanto chi sconta trattiene subito 5 lire per ogni 100, le quali gli fruttano appunto 0,25% all'anno. La ragione di sconto equivalente attuariamente all'interesse posticipato, si dice sconto razionale, l'altro si dice sconto mercantile. Nonostante queste diversità contabili e formali, lo sconto è stato studiato come categoria economica distinta dall'interesse solo negli ultimi decennî del sec. XIX, dopo che con la diffusione della circolazione dei titoli di credito (principalmente dei biglietti degl'istituti di emissione, delle cambiali e degli assegni bancarî dei privati) fu creato un vero mercato creditizio a base nazionale.
Politica dello sconto. - Quel complesso di norme tecniche, di accorgimenti e di provvedimenti con i quali le banche di emissione dei paesi di civiltà occidentale, da circa la metà del sec. XIX hanno tentato di evitare alle proprie nazioni crisi monetarie, dicesi politica dello sconto. La dizione è naturalmente ellittica, poiché la manovra con la quale una banca di emissione provvede a regolare non soltanto la circolazione dei proprî biglietti, che per legge sono equiparati alla moneta dello stato e hanno così coattivo potere liberatorio del debitore, non consiste solamente nel modificare, aumentando o diminuendo, la misura percentuale del saggio dello sconto delle cambiali che la banca centrale è disposta a scontare, ma in una serie molto più complessa di provvedimenti, coordinati al fine ultimo del controllo del mercato creditizio e monetario della nazione. L'accettazione da parte dell'istituto di emissione delle cambiali allo sconto, cioè, il cosiddetto risconto del portafoglio cambiario delle banche private non esaurisce il complesso campo di manovra offerto alla banca centrale.
Di politica dello sconto, così come oggi s'intende, i classici dell'economia liberale non parlano. Non potevano parlarne perché sia in Inghilterra, sia in Francia, in Germania, e in genere nei grandi stati unitarî, fino al 1850 circa, sono state in vigore le leggi contro l'usura, retaggio della politica economica medievale, le quali solo con cautele estreme furono abolite sotto l'influenza della nuova realtà formata, in sostanza, dalla diffusione della circolazione dei biglietti e dalla conseguente creazione di un largo e attivo mercato del risparmio monetario. Quando l'offerta dei prestiti monetarî, in seguito alla diffusione dei mezzi di circolazione, non fu più limitata a poche persone esercitanti un pericoloso monopolio, ma risultò spezzettata fra mille e mille economie indipendenti, le quali trovavano un naturale ed efficiente autocontrollo nella reciproca lotta di concorrenza fra mutuanti, quelle leggi limitative della misura massima dell'interesse non ebbero più ragion d'essere e furono, di fatto, abolite. Siccome queste norme avevano vigore anche per i prestiti bancarî, la manovra dello sconto trovava un limite insuperabile nell'impossibilità, per le banche, di richiedere uno sconto superiore alla misura massima stabilita dalle leggi. L'Inghilterra (The Bank Charter Act, 29 agosto 1833, par. 7) fu la prima ad abolire la validità di quelle leggi - definitivamente abrogate nel 1854 - allo sconto delle cambiali con una scadenza inferiore ai 90 giorni e questo spiega la mobilità del saggio di sconto della Banca d'Inghilterra, il quale sorpassò per la prima volta e pavidamente il limite del 5% (al 5,50% il 20 giugno 1839) in occasione della prima crisi finanziaria inglese, la quale, però, fu superata solo con l'ausilio della Banca di Francia e della Banca di Amburgo, primo esempio della nuova solidarietà creatasi fra le banche europee. Ma una vera manovra dello sconto regolata con piena consapevolezza delle finalità nazionali e internazionali da conseguire, si può dire che si sia iniziata solo dopo il 1870. Infatti, sebbene l'abrogazione delle leggi limitative della mobilità dello sconto dati dal 1857 per la Francia, la Spagna, il regno di Sardegna, i Paesi Bassi e la Norvegia, dal 1855 per la Danimarca, dal 1865 al 1867 per il Belgio, l'Austria, la Prussia, la creazione di un vero mercato internazionale monetario si può dire che s'inizî dalla pace di Francoforte, dalla riorganizzazione del sistema bancario tedesco e dalla fondazione della Reichsbank avvenuta nel 1875.
L'influenza che la tradizione inglese ha avuto anche in questo particolare capitolo della teoria economica è stata veramente decisiva.
Si è detto che gli economisti inglesi dei primi decennî del sec. XIX non hanno elaborato alcuna teoria in ordine alla politica dello sconto: questa trascuratezza di un problema che, nello sviluppo dei tempi, doveva assumere una prevalente importanza teorica e pratica, trova la sua ragione in due ordini di considerazioni. Le ragioni di fatto sono, come si è detto, quelle relative al vincolismo esistente nel mercato finanziario per le leggi sull'usura. Ma più decisive sono le ragioni logiche che trovano il loro fondamento nella concezione che gli economisti liberisti del tempo, tutti aderenti alla scuola radicale di J. Bentham, avevano dei compiti dello stato, specie in ordine al regolamento dell'attività economica dei cittadini. Ogni intervento era considerato dannoso e distruttore di ricchezza; il governo economico del mercato doveva essere lasciato alla forza delle cose, cioè degl'interessi in contrasto, i quali con il loro equilibrio automatico e meccanico avrebbero regolato, meglio di ogni umano disegno e di ogni politica, l'attività dei singoli, senza pericoli di inframmettenze e di soperchierie. Questa teoria trovava nell'insegnamento di D. Ricardo (v.) la sua logica giustificazione in ordine all'organamento del mercato finanziario e monetario, in quanto il Ricardo, facendo perno sul principio quantitativo che costituiva uno stretto legame, diretto e reversibile, fra quantità di moneta e prezzi delle merci, aveva dimostrato che l'equilibrio creato automaticamente dalla libera concorrenza negli scambî mercantili internazionali attribuisce a ogni nazione quella massa di moneta (metallica) che ad essa necessita per i suoi scambî interni, tenuto conto della quantità di merce in essa esistente e delle corrispondenti necessità degli altri paesi. Con questo concetto di equilibrio automaticamente determinantesi fra le diverse nazioni in ordine alla distribuzione dei metalli preziosi (oro e argento, allora; poi dopo il 1870, in seguito alla diffusa applicazione in quasi tutti i paesi del monometallismo aureo, il solo oro), si veniva a stabilire un principio logicamente determinato per l'emissione dei biglietti della banca di emissione, i quali avrebbero dovuto essere considerati come moneta legale e cioè in tutto equivalenti alla moneta metallica: la quantità di essi da emettere, doveva essere identica alla quantità di metallo che sarebbe esistita nel mercato, automaticamente, in virtù di quel certo equilibrio internazionale. Questo principio fu applicato con la riforma del Peel del 1844 (v. emissione), ma il fatto che la Banca d'Inghilterra dal 1694, anno di fondazione, al 1844, aveva mantenuto praticamente invariato il suo saggio di sconto, fra il 4% e il 5% (era, infatti, variato soltanto 14 volte in un secolo e mezzo) e la necessità nella quale si era trovata, dopo la riforma, di variare con grande frequenza anche negli anni anteriori al 1914, lo sconto, dal 2% al 10%, appunto per cercare di evitare, di moderare o di prevenire quei fenomeni automatici di equilibrazione (mediante le importazioni o le esportazioni dell'oro) dei prezzi mercantili inglesi con quelli delle altre nazioni, e per i quali il sistema del Peel era stato attuato, dimostrò all'evidenza che il meccanicismo aprioristico e semplicistico di quella teoria non era valido e che un sistema più consapevole della responsabilità del governo finanziario del paese doveva essere elaborato. Con il sistema in vigore prima del 1844 la Banca d'Inghilterra aveva sempre tentato di mantenere stabile lo sconto, cioè il costo del denaro per il mercato, intervenendo a limitare il credito richiestole in caso di bisogno, mediante una selezione qualitativa delle operazioni da concedere. Dopo la riforma il principio fu capovolto: doveva variare secondo le risultanze del mercato il costo del denaro, ma la quantità del credito da concedere non doveva essere limitata da considerazioni qualitative lasciate al giudizio dei governatori della banca, sibbene essere regolata dal solo costo fissato dal mercato: chi poteva pagarlo aveva il credito; chi non poteva sopportare quell'onere, doveva astenersene. Però questo rigido criterio automatico si dimostrò inadatto per regolare un complesso di rapporti così delicati come quelli relativi al mercato del credito di una nazione. I governatori della Banca d'Inghilterra cominciarono, infatti, ad attuare una politica sapiente e accorta consistente sia nella manovra del saggio dello sconto sia nell'acquisto o nella vendita, effettuata sul mercato, di titoli di largo smercio, allo scopo di adeguare le condizioni creditizie nazionali a quelle che erano le corrispondenti situazioni degli altri paesi, per evitare le forti oscillazioni nei prezzi che sarebbero derivate altrimenti da massive esportazioni o importazioni di oro. Il Peel, con la sua riforma, aveva sottoposto l'emissione dei biglietti a un rigido controllo, ma aveva lasciato alla Banca d'Inghilterra la più ampia e assoluta libertà nell'amministrazione del credito del paese: il dipartimento bancario della banca era infatti privo di ogni norma che ne regolasse il funzionamento. Come conseguenza si ebbe che la Banca d'Inghilterra, nelle proprie determinazioni in ordine alla politica monetaria, cioè in ordine alla quantità di biglietti da emettere e quindi nella manovra sui prezzi delle merci, si regolava non tanto in base alla maggiore o minore quantità di oro esistente nelle sue casse e che avrebbe dovuto essere, appunto, automaticamente determinata dalle condizioni dei traffici internazionali, ma in base alla disponibilità di biglietti esistenti nel dipartimento bancario e che rappresentava la liquidità della banca a riguardo dei proprî impegni puramente creditizî, cioè a fronte dei depositi ricevuti, degli sconti e delle anticipazioni concesse, come avrebbe fatto un qualsiasi istituto bancario. Quindi la manovra monetaria della Banca d'Inghilterra risultava, in concreto, regolata con criterî eminentemente creditizî e finanziarî, cioè con apprezzamenti politici e selettivi e non automatici e meccanici come si erano illusi di stabilire i riformatori del 1844. La conclusione di questa esperienza fu che tutti i paesi continentali, nell'ordinare le loro banche centrali, si discostarono dallo schema inglese e stabilirono, con maggiore aderenza alla realtà, un duplice criterio di regolazione: la percentuale di copertura aurea dei biglietti da emettere, variabile dal 33% al 40%, e una precisa e rigida regolazione qualitativa delle operazioni creditizie consentite all'istituto di emissione. Con questo criterio di selezione qualitativa, si conseguiva consapevolmente un duplice ordine di risultati: si regolava l'emissione dei biglietti in base ai bisogni creditizî del paese e si selezionavano le causali delle richieste di credito, in modo da ammettere soltanto quelle che assicuravano un pronto e sicuro smobilizzo, in modo da tentare di evitare ogni turbamento al mercato.
Con questi criterî la manovra dello sconto divenne strumento politico di preminente importanza per la regolazione monetaria conseguita mediante il più sensibile e complesso mercato creditizio. L'errore del Peel era stato, come dimostrarono i sostenitori del "principio bancario" (in contrapposto a quelli del "principio monetario" - banking principle e currency principle - da lui capeggiati), di credere che sui prezzi delle merci e quindi sull'equilibrio degli scambî internazionali di un certo paese, influisse esclusivamente la quantità di moneta, esclusi i mezzi creditizî di circolazione (la moneta privata, cioè gli assegni bancarî), mentre è risultato evidente che qualsiasi intermediario degli scambî, in quanto tale, influisce sui prezzi delle merci esistenti al pari della moneta. Il controllo del mercato creditizio, nel quale è compreso il mercato puramente monetario, permette non soltanto di conseguire con maggiore efficacia le alte finalità equilibratrici della bilancia dei pagamenti internazionali che la politica dello sconto persegue, ma di raggiungerle anche mediante la manovra del mercato finanziario, cioè del trasferimento da paese a paese di disponibilità di capitale in cerca d'investimento. Infatti, quando un paese aumenta il saggio dello sconto, il corso dei titoli azionarî e delle obbligazioni tende a diminuire e quindi può creare una corrente d'investimento dall'estero di risparmio desideroso di acquistare quei titoli i quali daranno, per ipotesi, un rendimento più elevato e appetibile di quello dei similari titoli esteri. Il principio quantitativo che limitava le compensazioni internazionali ai soli scambî mercantili e all'oro necessario per equilibrarli, trascurava di considerare completamente queste più complesse possibilità di equilibrazione dovute appunto e soltanto alla mobilità del capitale finanziario. L'opportunità e la convenienza di conseguire e mantenere il controllo del mercato creditizio nazionale da parte della banca centrale, ha fatto diffondere con larghezza, specie nei paesi anglosassoni, la pratica della compera e della vendita di titoli di largo mercato. Con tal mezzo la contrazione o l'espansione della quantità del credito di un certo mercato è più immediata di quella conseguita con la manovra dello sconto la quale è lenta e spesso, quando si manifesta, è divenuta inefficace (essa agisce, infatti, sulle nuove operazioni di sconto da accordare, non su quelle già concesse e che durano fino alla prevista scadenza). Inoltre l'iniziativa di essa spetta esclusivamente alla banca centrale la quale non resta, come con lo sconto, in una situazione di passività rispetto alle richieste del mercato, in quanto può limitarsi a negare lo sconto che le sia domandato, ma non può, efficacemente, promuoverne la richiesta. Con queste operazioni in titoli (chiamate dagli anglosassoni open market operations) la banca centrale assume un'attiva direzione del mercato, la quale, come ognun vede, è la più completa sconfessione di quei principî automatici che la riforma del Peel aveva creduto di porre saldamente a regolazione del sistema.
La selezione delle operazioni permesse alle banche centrali continentali consiste sostanzialmente nella qualità delle cambiali che possono essere ammesse allo sconto (due o tre firme, scadenza massima da 90 a 120 giorni) e nella natura dei titoli (di regola soltanto quelli emessi dallo stato), accettabili come garanzia di anticipazioni. Ma una profonda differenza economica sussiste fra gli sconti e le anticipazioni: quelli si riferiscono a circuiti produttivi già perfetti, in quanto la merce prodotta o in corso di produzione è stata già venduta a scadenza e si è creata una serie di sforzi che assicura il pagamento della cambiale e l'estinzione del credito concesso; queste, invece, riguardano la trasformazione in moneta di risparmio capitale che si era formato in passato e che assume nuovamente la forma monetaria senza che nulla sia predisposto perché a scadenza il credito concesso venga estinto. Qualora non venga rimborsato, occorre realizzare la garanzia sul mercato, cioè trovare altri risparmiatori che abbiano la disponibilità del denaro necessario per acquistarla: ma questa vendita può deprimere il prezzo dei titoli e quindi creare una situazione di crisi.
La pratica delle operazioni in titoli non è largamente usata dalle banche continentali: è questa una ragione di rimbrotto dei banchieri inglesi specie contro la Banca di Francia.
Ma la concessione di più consapevoli mezzi politici di regolazione accordati dalle leggi bancarie ai governatori delle banche continentali rende forse meno urgente quell'efficace intervento sul mercato creditizio. Invece di quella manovra, in passato, specie in Francia, si è cercato di selezionare il credito mediante una discriminazione delle cambiali in base alle loro scadenze, accordando la preferenza a quelle scadenti dopo breve tempo. Ma anche questo metodo è di lenta efficacia e non si può disconoscere che la manovra sui titoli è di azione più immediata.
In conclusione si deve osservare che la politica dello sconto non può essere considerata avulsa dal complesso delle norme e degl'interventi regolatori dello stato che si realizzino in altri settori dell'attività economica nazionale: così, in regime corporativo, essa tende ad assumere una funzione tecnicamente determinata bensì, ma la cui efficacia può essere subordinata al raggiungimento di altre finalità sociali più complesse di quelle meramente creditizie che essa, altrimenti e isolatamente, avrebbe perseguito.
Bibl.: D. Ricardo, Opuscoli bancari, trad. it. in Bibl. dell'econom., serie 2ª, VI; W.Tooke, History of prices and of the state of the circulation from 1793 to 1856, voll. 6, 1838-57, ristampa Londra 1930; J. Fullarton, Regulation of currency, Londra 1844; E. D. Mac Leod, The theory and practice of banking, voll. 2, Londra 1855, trad. it., in Bibl. dell'econom., serie III, vi; G. I. Goschen, The theory of the foreign exchanges, Londra 1861, trad. it., in Bibl. dell'econom., serie 4ª, II, ii; J. Pereire, La Banque de France et l'organisation du crédit en France, Prigi 1864; id., La constitution des Banques et l'organisation du crédit, Parigi 1865; W. Bagehot, Lombard Street, Londra 1873, trad. ital., in Bibl. dell'econom., VI, iv; A. De Viti de Marco, Moneta e Prezzi, Città di Castello 1885; M. Fanno, Le banche e il mercato monetario, Roma 1913; T. E. Gregory, British Banking Statutes and Reports 1832-1928, II, Oxford 1929; M. Palyi e Quittner, articoli varî in Handwörterbuch des Bankwesens, Berlino 1933; S. E. Harris, Twenty years of Federal Reserve Policy, voll. 2, Harvard 1933. Per le questioni giuridiche: R. Angeloni, Lo sconto bancario, Milano 1920; F. Messineo, Operazioni di borsa e banca, Roma 1926. Vedi anche la bibliografia della voce banca.