SCOLIO
. La parola σχόλιον nel significato tecnico di "commento a un passo di un'opera" s'incontra per la prima volta in Galeno, XVIII (2), 847; in Cicerone (Epist. ad Att., XVI, 7, 3) ha il valore di "breve trattazione". In seguito la parola diviene di uso sempre più largo e a poco a poco sostituisce la voce ὑπόμνημα. Generalmente con "scolî" vengono designate brevi osservazioni o spiegazioni scritte da un lettore in margine al manoscritto. In un certo senso lo scolio si può paragonare alla nota dedicata a un passo in una moderna edizione commentata. Per lo più esso è anonimo e frammentario; anzi sono questi i due principali caratteri esteriori, per cui, nell'uso comune, lo scolio si distingue dall'ὑπόμνημα, che corrisponde piuttosto al nostro "commentario", rivela cioè la personalità dell'autore e organicità di disegno. Che almeno in origine lo scolio sia anonimo, è chiaro. Il lettore di un manoscritto scrive, sia per uso personale sia per esigenze scolastiche, in margine a un dato brano osservazioni sue o tratte da commentarî. Il possessore posteriore di quel manoscritto spesso amplia lo scolio o lo modifica. Così si spiega bene anche la mancanza di organicità e di compiutezza. Non c'è, nella redazione di questi scolî, un particolare piano preordinato né un indirizzo preciso. Per lo piû gli scolî sono esegetici, ma hanno pure frequenti richiami a notizie mitologiche, storiche, antiquarie, a passi paralleli, a interpolazioni. Si riversa, insomma, in essi, sia pure disordinatamente, tutta l'erudizione alessandrina, cioè il frutto delle indagini critiche ed esegetiche dei dotti grammatici. Così, accanto a notizie di nessuna importanza, a semplici parafrasi, a spiegazioni evidenti o al contrario erronee, troviamo talora negli scolî osservazioni non prive di gusto, richiami a fatti altrimenti ignoti, che valgono a chiarire allusioni in sé oscure, informazioni varie di notevole interesse. Spesso negli scolî vengono citati anche gli autori donde sono state tratte le singole osservazioni; e in tal modo essi riescono utilissimi per la ricostruzione di dottrine e di opere degli antichi grammatici. S'intende quindi anche che di fronte all'ὑπόμνημα lo scolio rappresenti una forma posteriore cronologicamente e deteriore intellettualmente di erudizione, che segna il trapasso dalla cultura ellenistica alla bizantina.
È naturale che le opere più lette presentino maggior numero di scolî; in primo luogo i poemi omerici. Tali scolî si leggono specialmente, per l'Iliade, nel codice Veneto 454 (indicato comunemente con la sigla A) e nel Veneto 453 (B): ambedue queste raccolte riproducono con molta fedeltà i risultati degli studî del grammatico Aristarco. Altri importanti scolî furono falsamente attribuiti a Didimo. Negli scolî all'Iliade ricorrono, inoltre, circa 550 citazioni di Zenodoto, 220 di Aristofane di Bisanzio, 200 di Erodiano, 170 di Tolomeo di Ascalona. Gli scolî a Esiodo sono dovuti a dotti bizantini, specialmente a Cherobosco (sec. VI-VII), a Tzetze (sec. XII), a Moscopulo (sec. XIV). Importantissimi sono gli scolî agli Epinici di Pindaro, i quali si dividono in due categorie. I cosiddetti "scholia vetera", tratti per lo più dai commentarî di Aristarco e di Didimo, hanno la singolare caratteristica di provenire da un archetipo più antico di quello donde deriva il testo pindarico da noi posseduto. Scarsa importanza presentano, invece, gli "scholia recentia", dovuti a Moscopulo, a Tzetze e specialmente a Demetrio Triclinio (sec. XIV). Quest'ultimo compose scolî anche a Esiodo, Eschilo, Sofocle, Aristofane. Ma in generale gli scolî ai tre grandi tragici e ad Aristofane sono fondati soprattutto sui commentarî di Didimo.
Per gli scrittori prosastici, notevoli appaiono gli scolî a Tucidide, Platone, Senofonte, Isocrate, Eschine, Demostene e Aristotele. Dei più importanti interpreti di Platone possediamo due elenchi antichi, che ci dànno i nomi di Gaio, Numenio, Albino, Prisciano, Proclo, Damascio, ecc. Non mancano scolî alle opere alessandrine, p. es. a quelle di Arato, di Callimaco, di Apollonio Rodio (questi ultimi notevoli per le notizie geografiche), di Teocrito e di Nicandro, e posteriormente a Luciano e ai trattati retorici e grammaticali: i più importanti e numerosi sono quelli a Ermogene e a Dionisio Trace. È naturale, inoltre, che nel fervore degli studî teologici medievali moltissimi siano gli scolî alle opere patristiche. La maggior parte di essi è dedicata a Gregorio Nazianzeno; i più antichi sono attribuiti a un abate Nonno (sec. VI), altri a Elia di Creta (secolo IX-X), a Basilio il Giovane (sec. X), a Giorgio Acropolita (secolo XIII), ecc.
Tra gli autori latini di cui possediamo importanti scolî sono da menzionare soprattutto Terenzio, Cicerone e Virgilio.
Le edizioni degli scolî e i lavori particolari relativi ad essi sono numerosissimi; cosicché riesce impossibile dare una bibliografia sia pure sommaria. Si veda in generale Gudeman, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II A, col. 625 segg.; cfr. A. Roemer, in Sitzungsber. bayer. Akad., 1875, p. 241 segg.; Rh. Mus., LXVI (1911), p. 275 segg.; Philologus, LXV (1906), p. 24 segg.; LXVII (1908), p. 366 segg.; LXX (1911), pp. 161 segg., 321 segg.; id., Die exegetischen Schol. der Ilias, Monaco 1879; id., Aristarchs Athetesen in der Homerkritik, Lipsia 1912; id., Die Homerexegese Aristarchs in ihren Grundzügen, Paderborn 1924; A. Ludwich, Aristarchs homer. Textkritik, Lipsia 1884; Frey, De scholiis Mediceis, Bonn 1857; Schwabe, in Leipz. Studien z. klass. Philol., IV (1881), p. 65 segg.; Zacher, in Jahrb. f. Philol., suppl. XVI (1888), p. 501 segg.; U. v. Wilamowitz, in Hermes, XXV (1890), p. 161 segg.; K. Lehrs, Die Pindarscholien, Lipsia 1873; id., De Aristarchi studiis homericis, 3ª ed., ivi 1882.
Scolio lirico greco.
Aveva nome di scolio (σκόλιον) un genere di poesia lirica conviviale di origine certo assai remota, come prova anche l'oscurità del nome, di cui gli antichi stessi davano spiegazioni varie e in contrasto fra di loro; e sulla cui etimologia le opinioni dei moderni sono disparate. Non è neppur certo che derivi da σκολιός "tortuoso, obliquo"; giacché anche l'etimologia da σχολή "agio, spasso", che si spiegherebbe anch'essa come eolismo, fu proposta, e non è impossibile. Come inventore dello scolio la tradizione designava Terpandro: evidentemente egli era stato il primo, o uno dei primi, a dargli bellezza artistica. Ma di scolî ve ne erano di varie maniere, in quella ricchezza di espressioni e di invenzione artistica che è propria del genio greco.
I grandi poeti della lirica dorica, Pindaro, Simonide, Bacchilide, composero scolî per esser cantati, al suono della lira, da cori; e cantati con accompagnamento di lira erano pure gli scolî di Alceo e Anacreonte. Ma più tardi, e soprattutto nella vita attica dell'età migliore, questo genere lirico ha un carattere più modesto e semplice. È per lo più recitato al banchetto, dai convitati, che si passano di mano in mano, succedendosi nella recitazione, un ramicello di lauro che sostituisce il solenne scettro dei rapsodi. Né il convitato doveva improvvisare egli stesso; recitava spesso, o cantava, piccoli brani lirici noti, o versi tolti dalla tragedia. Per l'uso comune si fecero raccolte, affinché ognuno potesse attingervi a suo piacere. Una di esse ci è giunta conservataci da Ateneo. Sono tra le cose, nella loro semplicità, più squisite dell'atticismo antico. Ricordi ed espressione della antica vita politica attica e delle sue glorie, come i canti in onore dei tirannicidi, Armodio e Aristogitone, che ancora vivono nella memoria e si propongono all'imitazione dei giovani, i quali si vantano di portare ancora, ascoso dal ramicello di mirto, il pugnale vendicatore della libertà; o che sono immaginati non morti, ma, come gli eroi di Omero, assunti alle isole dei beati. Ed insieme giocondi voti di felicità che si lanciavano, nella melodia del canto, a seguire le volute delle armonie della lira, chiudendo, in semplici ritmi, pure immagini di casta bellezza: "Fossi una lira bella, di nitido avorio e belli Giovani mi recassero di Dioniso ai cori". Oppure: "Fossi monile d'oro, lucido, bello, grande, E donna mi portasse d'anima pura, bella". Altrove la poesia si accende di un audace ardore sensuale: "Fossi una rosa bella, di porpora ardente soffusa, Ed al tuo niveo seno tu mi donassi, o bella". Qualche volta ancora vi suona qualche tenue nota moraleggiante. Nell'età ellenistica invece questo elemento pensoso diviene più rilevato, come è prova in una raccolta di scolî ellenistici, ritrovata in due papiri di Ossirinco, l'uno del sec. I e l'altro del III dopo Cristo, da cui deve avere preso qualche spunto Orazio per una sua ode conviviale.
Ediz.: La raccolta degli scolî attici pubblicata da E. Diehl, Anthologia lyrica, II, p. 181 segg. Gli scolî ellenistici di Ossirinco in P. E. Powell, Collectanea Alexandrina, 1925, p. 200; cfr. E. Bignone, Nuovi spunti di poesia ellenistica in Orazio, in Riv. di filol., n. s., VII (1929), p. 427 segg.
R. Reitzenstein, Epigramm und Scolion, Giessen 1893; W. Aly, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 558 segg.; G. Fraccaroli, I lirici greci, I, Torino 1913, p. 281 segg.