sclerosi multipla
Un male progressivo che spesso colpisce i giovani
La sclerosi multipla è una malattia che si presenta nella maggior parte dei casi in persone fra i 20 e i 30 anni. Essa danneggia lentamente molte parti del sistema nervoso, provocando difficoltà nel camminare, vedere, mangiare, bere. Può anche diminuire la sensibilità di singole parti del corpo, rendendo difficile lo svolgimento di funzioni vitali. Più raramente dà problemi di memoria o di ragionamento
La sclerosi multipla è una delle più importanti malattie neurologiche. Non è particolarmente frequente (circa 55.000 malati in Italia, con una maggiore frequenza nelle donne), ma ha un impatto considerevole sulla vita delle persone e sulla società, per la sua lunga durata (anche 30÷40 anni) e perché spesso provoca una progressiva invalidità. Può iniziare fra i 15 e i 55 anni, ma più spesso fra i 20 e i 30, quindi proprio nell’età in cui si passa da una vita dipendente dai genitori a una autonoma, in cui si deve lavorare per mantenere sé stessi e i propri figli. Quindi lo sconforto di chi si ammala in una età così importante è grande.
La sclerosi (dal greco skleròs «duro») è detta multipla perché le lesioni che comporta di solito sono più di una. Il sistema nervoso viene danneggiato soprattutto da una infiammazione provocata dai globuli bianchi, le cellule del sangue che normalmente ci difendono da infezioni e tumori. Quando insorge questa malattia i globuli bianchi attaccano anche parti del sistema nervoso, provocando l’infiammazione che, alla lunga, danneggia le cellule del cervello, del cervelletto, del midollo spinale, dei nervi ottici (che trasportano l’impulso visivo dagli occhi al cervello). In caso di sclerosi multipla, per primi vengono colpiti gli oligodendrociti, le cellule che formano la mielina, quella guaina isolante che riveste e protegge i prolungamenti dei neuroni (assoni) attraverso cui passano gli impulsi nervosi e che consente una trasmissione rapida di questi impulsi al cervello. Se gli oligodendrociti muoiono, i neuroni iniziano a soffrire e a lungo andare possono morire anche loro.
Sono state fatte, e sono tuttora in corso, molte ricerche per capire il motivo che scatena l’attacco dei globuli bianchi al sistema nervoso, ma tale meccanismo non è ancora stato chiarito. Attualmente si pensa che a provocare la malattia concorrano diversi fattori (infettivi, genetici, ambientali), ognuno dei quali è però di per sé insufficiente a scatenarla.
Se soffrono o muoiono i neuroni relativi a zone del cervello che servono a farci muovere le gambe, avremo problemi a camminare; se invece l’infiammazione danneggia neuroni importanti per la vista (visione) avremo problemi con gli occhi, e così via, praticamente per tutte le funzioni del nostro corpo.
All’inizio della malattia i sintomi vanno e vengono, con peggioramenti che possono durare in genere alcuni giorni per poi scomparire. Con il passare del tempo gli attacchi tendono a lasciare danni permanenti, oppure alle ricadute si aggiunge un peggioramento lento ma costante. Molti malati diventano più o meno disabili dopo alcuni anni di malattia. Più raramente capita che la malattia abbia pochissime ricadute che lasciano tracce non permanenti.
Diagnosticare la malattia quando è all’inizio può essere difficile, anche se attualmente esami molto sensibili, come la risonanza magnetica (diagnostica per immagini), sono di grande aiuto per una diagnosi precoce. Però è importante che il medico ascolti con attenzione la storia del paziente e lo visiti scrupolosamente.
Non esistono cure in grado di guarire la sclerosi multipla né è possibile prevenirla. Alcuni farmaci, come il cortisone, possono favorire il recupero dalle ricadute. Altri invece, come l’interferone beta o il copaxone, riducono la frequenza delle ricadute, anche se non riescono a garantire una protezione totale dai peggioramenti.
Molti pensano che la malattia possa aggravarsi durante la gravidanza. In realtà la gravidanza è un periodo che, tutto sommato, protegge dalle ricadute. Anche se i tre mesi dopo il parto sono a maggior rischio, alla fine risulta che la gravità della malattia non è diversa fra donne che hanno avuto figli e donne che non ne hanno avuti.