SCITI E SCIZIA (Σκύϑαι, Scythae; Σκυϑία, Scythia)
Popolazione abitante nell'antichità la Russia meridionale, la cui maggiore conoscenza di carattere letterario noi dobbiamo all'ampio excursus di Erodoto nel libro IV, a cui si aggiunge lo scritto ippocratico De aere, locis et aquis (περί ἀέρων), 91-102, a prescindere da numerosissimi cenni minori. Dal secolo XIX si sono venuti a sovrapporre i risultati di ritrovamenti, quasi tutti tombali, che per la loro imponenza complessiva hanno costituito la rivelazione di una intera civiltà. Il centro di queste scoperte è naturalmente nella Russia meridionale, ma esse si estendono dalla Siberia alla Cina e d'altra parte in Bulgaria, Romania, Ungheria, Polonia orientale e Germania (specie in Slesia e a Vettersfelde nella Lusazia), creando problemi etnografici e culturali lungi dall'essere soddisfacentemente risolti per intero. Si devono aggiungere gli accenni epigrafici, specie in documenti assiri, e le allusioni in cronache cinesi.
Già per Erodoto Scizia è la regione che sta tra il Danubio e il Don, a oriente del quale abitano i Sarmati. Quando poi per le vicende storiche gli Sciti perdono fisionomia autonoma, il nome Scizia (e il correlativo Sciti) o serve a indicare genericamente le popolazioni a nord del Mar Nero (e quindi anche Germani) o è artificialmente attribuito a una vasta non ben precisabile zona dell'Asia, che in Tolomeo viene distinta in due parti, la Scizia intra Imaum ed extra Imaum.
In Europa con la Scizia si indica solo più una regione corrispondente press'a poco alla Dobrugia, e viene contraddistinta come Scizia minore: con l'ordinamento di Diocleziano essa costituirà una provincia.
Erodoto, fra le tradizioni che ci riferisce sull'origine degli Sciti, accanto a una che li fa autoctoni della Russia meridionale, ne dà un'altra per cui essi avrebbero occupato il loro territorio cacciandone i Cimmerî. Le informazioni che noi abbiamo ora da fonti assire ci permettono di completare e meglio intendere queste due versioni. In sostanza Sciti e Cimmerî erano fra i nomadi, che tenevano da tempo antico la zona dal Dnestr al Lago Aral, all'ingrosso, pronti a immigrare dove la fortuna spingesse. Nell'ottavo secolo a. C. per un vasto movimento che parte dalla Cina anche queste tribù fanno dei forti spostamenti. Le prime che compaiono a sud del Caucaso sono i Cimmerî al tempo di Sargon (722-705 a. C.); più tardi, al tempo di Asarhaddon (680-669) sono gli Sciti a comparire nei pressi del Lago Urmia alleati degli Assiri contro una lega che unisce, tra gli altri, Cimmerî e Medi. I Cimmerî vengono cacciati verso l'Asia Minore, mentre gli Sciti in un'alleanza con gli Assiri, che approfitta largamente della debolezza crescente del loro impero, costituiscono una forte potenza intorno alle coste asiatiche del Mar Nero e fanno incursioni a raggio larghissimo, fino in Egitto. Particolarmente durature e importanti devono essere state le infiltrazioni in Siria, Fenicia, Palestina, a cui sembra accennino i profeti ebrei Geremia e Sofonia. Ascalona fu occupata dagli Sciti in ritirata dall'Egitto e fu saccheggiato il tempo di Astarte: e si interpreta come dovuto a loro insediamento il nome Scitopoli dato dai Greci a Beth-Shan (oggi Beisan) in Palestina. Comunque, l'instaurazione dell'ordine in Asia con la distruzione dell'impero assiro per opera dei Medi ricacciò verso nord la gran massa degli Sciti nelle sedi storiche in Russia meridionale (fine sec. VII a. C.). Rimasero due nuclei staccati, uno sulle coste asiatiche del Mar Nero e uno presso fl Mar Caspio, più solitamente noto col nome di Saci (v.), ciascuno dei quali ebbe poi sorte diversa.
Con l'identificazione di Sciti e Saci da noi tacitamente presupposta siamo già venuti ad ammettere quell'appartenenza degli Sciti al gruppo iranico, che ora, per ragioni linguistiche, è assolutamente prevalente. Gli studiosi più antichi (per es., K. Neumann, 1855) si erano fondati soprattutto sulla descrizione del carattere fisico degli Sciti lasciataci nello scritto ippocratico su citato, in cui gli Sciti appaiono come di tipo mongoloide. Ciò per altro significa solo una forte immistione di sangue mongolico, o forse meglio che aristocrazie iraniche comandavano su gruppi mongoloidi. Teorie di parentele slave, celtiche, germaniche sono cadute appena enunciate. L'affinità persiano-scitica era già nota agli antichi. Per es., Curzio Rufo, VI, 2, 12, Scythae qui Parthos condidere, o Ammiano Marcellino, XXXI, 2, 20, Persae qui sunt originitus Scythae. Parecchi dei termini scitici tramandatici da Erodoto lo confermano: il caso più evidente è il nome degli androgini presso gli Sciti, 'Εξαρέες (che per Erodoto sarebbero diventati tali per punizione della dea Astarte dopo il saccheggio di Ascalona) che corrisponde all'iran. anarya-. Così il nome della dinastia scitica παραλάται si riporta all'avestico paradāta- ("posti a capo", titolo onorario) e tutti i varî nomi in πειτης e ξαις hanno analoga spiegazione. Anche taluni toponimi delle regioni abitate dagli Sciti hanno la loro migliore interpretazione attraverso l'iranico. L'esempio migliore è il nome del Mar Nero πόντος "Αξεινος interpretato da M. Vasmer attraverso l'iran. aχšaēna "di colore oscuro". Certo, anche un'interpretazione uniforme dello scarso materiale linguistico scitico a noi pervenuto con l'iranico offre difficoltà insormontabili, le quali confermano la mistione etnica.
Erodoto dà una abbastanza minuta suddivisione degli Sciti e stirpi affini in Russia meridionale, di difficilissima interpretazione per l'oscurità delle localizzazioni. Basterà riprodurre i tratti essenziali. Partendo da Olbia a nord stanno i Callipidi, poi gli Alazoni tra il Bug e il Dnestr e sopra di essi i primi veri Sciti, quelli che sanno usare l'aratro (ἀπορῆρες). Fino al Dnepr seguono gli Sciti agricoltori (γεωργοί), cioè probabilmente quegli Sciciti che coltivano con mezzi più primordiali, senza aratro. Dopo di questi fino al Don stanno gli Sciti nomadi e i "reali" (βασιλήιοι), che esercitano una supremazia sugli altri.
A est del Don, tra tante stirpi che anche per Erodoto non hanno da fare con gli Sciti, ci sono i Geloni, che per Erodoto sono semi-Greci e semi-Sciti, e poi presso gli Urali altre tribù scitiche.
Da Erodoto medesimo siano informati dei costumi scitici, sopra tutto di quelli ancora nomadi, che vivevano di pascolo e consideravano il cavallo (e il latte di cavalla) come principale nutrimento.
Le loro abitazioni che erano costituite da carri che erano tirati generalmente da buoi. Dediti al vino, violenti, guerrieri. Le teste dei nemici uccisi erano ornamento e prova di diritto al bottino. Armi caratteristiche: l'arco e la piccola spada (ἀκινάκης). Il territorio era diviso in distretti, ciascuno con un capo, e con una sede centrale presso il santuario del dio della guerra. Qui ogni anno si radunavano i guerrieri del distretto, e coloro che avevano ucciso almeno un nemico bevevano alla stessa coppa, chi più ne aveva ucciso beveva a due coppe. In guerra (evidentemente se non erano guerre intestine) un re degli Sciti regali con dei sotto-re comandava. Erodoto si intrattiene pure a lungo sul culto degli Sciti, ma, come è ovvio, il suo sforzo di identificare i culti scitici con culti greci lo porta a celare le caratteristiche più precise della religiosità loro. I principali culti erano quelli di Tabiti, identificata con Hestia, cioè la divinità femminile del focolare, e del dio della guerra, venerato sotto forma di spada, l'unico che avesse culto in una specie di rozzo altare. Mancavano sacerdoti; ma non veggenti, tra i quali gli androgini già accennati, che erano inoltre quasi certamente degli sciamani (v. sciamanismo); e pratiche sciamaniche sono anche in altro modo ricostruibili, specie nei riti funebri. Sembra inoltre che una vasta fioritura di leggende circolasse su questi sciamani di cui sarebbero riflessi nella letteratura greca, p. es. nel poema Arimaspeia di Aristea (v.), ricordato da Erodoto. Tra i costumi meglio descritti da Erodoto ci sono quelli funebri. Le persone private erano semplicemente vegliate da amici e dopo 40 giorni sepolte, circondate dalle cose più care in vita. Ma i re erano sepolti dopo rito complicatissimo: le tombe loro erano nella terra di Gerrhos presso il Dnepr, dove le salme erano portate imbalsamate, dopo aver girato per tutte le tribù. Una delle concubine del re, servi, cavalli, erano uccisi con lui. Veniva eretto un alto tumulo, e intorno ad esso un anno dopo erano ancora uccisi 50 dei suoi paggi (tutti scitici) e altrettanti cavalli.
Le scoperte delle tombe, di cui talune indubbiamente regali, del sec. VI e V a. C., soprattutto nel Kuban′ hanno confermato nelle linee generali il racconto erodoteo; intorno a una camera centrale (in realtà, una capanna), in cui si ritrovano, accanto allo scheletro del capo, scheletri di uomini e donne e tesori di adornamenti, in specie aurei, stanno talvolta centinaia di scheletri di cavalli disposti in ordine regolare. Dagli oggetti trovati nelle tombe (soprattutto vasi, armi, placche per adornamento di vesti) escono confermate, dal punto di vista culturale, le varie vicende della storia degli Sciti. Chiaro il nucleo originario di cultura su fondo iranico, soprattutto nel caratteristico stile "animale" con rappresentazioni appunto di animali in tono realistico, in cui però si insinuano fantasie analoghe alle assire. Meglio ancora vengono provati i rapporti con le colonie greche del Mar Nero. Qui occorre distinguere fra Olbia e il gruppo più orientale con alla testa Panticapeo. Olbia stava in territorio totalmente scitico, era centro per i commerci a via di mare degli stessi Sciti, pagava sì agli Sciti un tributo, ma era favorita in definitiva, dal sec. VII al V a. C., dagli Sciti medesimi nei suoi traffici. Sappiamo che da Olbia partivano forti correnti di influssi greci per la Scizia, come ci documentano le tombe e ci confermano le tradizioni greche, per es. su Anacarsi (v.), fratello di un re scita del sec. VII a. C., trasfigurato idealmente dai Greci prima come ellenizzato, poi come rappresentante della purità barbaricamente venuta a contatto con i Greci, e su un re del sec. V. Skyles, figlio di una greca, caduto vittima delle sue tendenze ellenizzanti. Altra la situazione della regione intorno al Mare di Azov, in cui certe colonie (soprattutto Panticapeo) possono essere state sostenute nella loro espansione per un certo tempo dagli Sciti, ma che si trovarono però immerse in un ambiente ancora etnologicamente non permeato da Sciti (quasi certamente tracio), da cui doveva derivare nella seconda metà del sec. V la dinastia spartocide di Panticapeo, in cui è palese la mistione greco-tracia.
Dal secolo VII a. C. l'espansione scitica si era rivolta verso occidente. La diffusione del materiale scitico nella pianura ungherese e nella Transilvania ha fatto pensare anche a un dominio scitico circa il sec. VII-VI a. C., che ha bisogno di conferma. Certo gli Sciti tesero tanto più a ovest quanto più l'affermarsi dello stato persiano impediva loro altre vie, e anzi cercava inoltre di impedire il loro stesso progredire a ovest. Ne è famoso episodio la spedizione scitica di Dario circa il 512 a. C., di cui nulla di preciso è noto, ma che dovette essere nella sostanza un colpo intimidatorio sia a est verso il Caspio, sia a ovest alle foci del Danubio. Nonostante ciò, la situazione del dominio scitico, come i ritrovamenti dimostrano, dovette essere assai prospera fino a metà del sec. IV, anzi nella prima metà del sec. IV poi si nota un'ulteriore espansione nella Bulgaria attuale e territorî circostanti. Ma proprio in questo periodo la pressione celtica e illirica e quella macedonica, rappresentata dalle spedizioni di Filippo e Alessandro alle foci del Danubio contro di loro, ponevano il disordine nella parte occidentale, mentre i Sarmati si avanzavano a est. Di qui il declino di Olbia. Cacciati anche a poco a poco, evidentemente dopo fiere lotte, dalle steppe fra il Dnepr e il Don, dove s'erano rifugiati, gli Sciti costituiscono un ultimo forte stato in Crimea, che sotto il re Sciluro, verso la metà del sec. II a. C., riuscì a sottomettere e più o meno tiranneggiò le città greche, Olbia compresa, rianimando anche le forze scitiche alle foci del Danubio. Dopo la morte di Siluro, a cui successe uno dei figli, Palaco, le stesse città greche provocarono l'intervento di Mitridate VI Eupatore (poco dopo il 120), che distrusse quest'ultimo stato scitico. Gli Sciti rimarranno solo più come nuclei etnici isolati fino al tempo delle grandi migrazioni.
V. tavv. XVII e XVIII.
E. H. Minns, Scythians and Greeks, Cambridge 1913, e in Cambridge Ancien History, III (1925), p. 187 segg.; M. Ebert, Südrussland im Altertum, Lipsia 1921; M. Rostovtzeff, Iranians and Greeks in South Russia, Oxford 1922; id., Skythien und Bosporus, I, Berlino 1930; M. Vasmer, Untersuchungen über die ältesten Wohnsitze der Slaven, I: Die Iranier in Südrussland, Lipsia 1923 (cfr. del med. e altri collab. l'art. in Ebert, Reallex. der Vorgesch., XII, 1928, p. 320 segg.); V. Parvan, Dacia, Cambridge 1928. Testi in B. Latyšev, Scythica et Caucasica e vet. scriptoribus gr. et lat., I-II, Pietroburgo 1904-06. Cfr. anche K. Meulli, Scythica in Hermes, LXX (1935), p. 121 segg.