STELLA, Scipione
STELLA, Scipione (in religione Pietro Paolo). – Nacque a Napoli tra la fine del 1558 e il gennaio del 1559 da genitori del ceto civile, Luigi e Faustina Bozzavotra, una giovane vedova.
Il 7 giugno 1569 nella parrocchia di S. Maria a Piazza fu battezzata la sorella ultimogenita Costanza, e il 23 agosto 1571 Lucrezia, figlia di un’altra sorella, Cornelia Stella, e del musicista barese Rocco Rodio, alla presenza di Fabrizio Filomarino, nobile liutista e chitarrista poi nella cerchia di Carlo Gesualdo. Rodio aveva sposato Cornelia l’anno prima, e i capitoli matrimoniali furono sottoscritti il 19 aprile da Luigi Stella, fratello maggiore di Cornelia e di Scipione (Archivio di Stato di Napoli, Archivi notarili, Archivi dei notai del XVI secolo, 252/31, cc. 47r-51r). Di una terza sorella, Girolama, si ha notizia soltanto per altra via, negli anni Ottanta e Novanta.
Il 1° agosto 1579 Stella, ventenne, con ogni probabilità allievo del maestro di cappella dell’Annunziata, Giovan Domenico Del Giovane da Nola, «a chiamata e richiesta» dei governatori della Santa Casa incominciò «amorevolmente» a suonare l’organo in quell’importante cappella, al posto dell’anziano organista fiammingo Peter van Haarlem: «in ricompensa solamente della sua cortesia, e non per via di salario, del qual esso non tiene bisogno», gli furono elargiti «gratiosamente» 7 ducati mensili per le spese voluttuarie (D’Alessandro, 2007, p. XII). Assunto però l’11 gennaio 1580 l’organista Ippolito Tartaglino, il 18 febbraio 1581 i governatori dell’Annunziata licenziarono Stella, sempre più occupato negli affari di famiglia e nel commercio del vino prodotto nella loro masseria di Arzano, casale nei dintorni di Napoli. Nel frattempo il giovane aveva sposato Cornelia de Carluccio, dalla quale nacque Luigi, battezzato il 3 novembre 1582 nella parrocchiale di S. Maria a Cancello, tra porta Capuana e l’Annunziata. Alla morte di Tartaglino, il 18 luglio 1582 i governatori della Santa Casa nominarono come organista Pompeo Stabile, pur consci della sua inferiorità rispetto al musicista defunto, e quindi l’8 ottobre 1583 riassunsero Stella come organista ordinario con gli stessi 12 ducati al mese di cui aveva goduto Tartaglino, ma senza gli extra.
Il 15 luglio 1587 Rodio firmò da Napoli la dedica al musicofilo Fabio Stanzione del Secondo libro di madrigali a quattro voci; vi inserì anche madrigali di altri autori: Scipione Dentice, Giulio Cesare Stellatello, Tartaglino e una primizia del cognato, il madrigale Sento dentro al cor mio, che ebbe grande fortuna rispetto ai successivi (nel 1604, e nella ristampa del 1616, fu incluso nel Primo libro a quattro voci di Alessandro di Costanzo, accanto a composizioni di Pomponio Nenna, Dentice e Stellatello).
Riformato l’organico della cappella musicale dell’Annunziata il 1° agosto 1589, il 12 gennaio 1590 i governatori deliberarono di costruire un secondo organo da realizzare «ad sodisfatione del maestro Scipione Stella» (D’Alessandro, 2007, p. XVI); il secondo strumento fu affidato all’organista franco-fiammingo Giovanni de Macque, venuto da Roma, che prese servizio il 20 maggio. Ma il 5 maggio 1592 era stato nominato maestro di cappella dell’Annunziata il benvoluto e protetto Camillo Lambardi. Forse deluso per la mancata promozione alla testa della cappella riformata, o forse deciso a fare altre esperienze, in una data precedente al 1º agosto 1593 (probabilmente in aprile-maggio) Stella lasciò il posto di organista dopo circa dieci anni di servizio e fu sostituito da Ascanio Maione. Libero dagli impegni all’Annunziata, cominciò a frequentare Roma: suonò nel palazzo della Cancelleria, residenza di Alessandro Peretti, cardinal Montalto; lo spagnolo Sebastián Raval (nella dedica del suo Primo libro de’ madrigali a cinque voci, 10 maggio 1593) riferisce di avervi suonato in compagnia «del Sig. Cavaliere del Liuto» (Vincenzo Pinti), Dentice, Luca Marenzio e Stella «virtuosissimo in differenti virtù». In base a quanto scrive Romano Micheli nella prefazione alla sua Musica vaga et artificiosa (Venezia 1615), Stella fu poi al servizio del principe di Venosa in compagnia di Giovan Battista di Paola, Muzio Effrem, Nenna e dello stesso Micheli. Se costui collocava la propria permanenza alla corte gesualdiana tra il 1594 e il 1599, Stella potrebbe aver avviato un sodalizio musicale con il principe madrigalista già dal 1593, per poi concluderlo nel 1594 o nel 1597.
La prima circostanza ben documentata del servizio presso Gesualdo è il viaggio intrapreso a metà dicembre del 1593 al seguito del principe, che il 21 febbraio 1594 a Ferrara sposò Eleonora d’Este; in una lettera del 7 gennaio 1594 Emilio de’ Cavalieri scrisse al granduca di Toscana di aver avuto notizie «in segreto» del principesco matrimonio proprio da Stella, il «favorito» del principe, mentre Gesualdo era ospite del cardinale Alfonso, suo zio, ad Albano (Kirkendale, 2001, p. 351, lettera n. 203).
Come richiedeva il suo lignaggio, il principe di Venosa era accompagnato nel viaggio verso Ferrara da due gentiluomini appartenenti a famiglie antiche e illustri della città, il cognato don Ferdinando Sanseverino, conte di Saponara, e don Cesare Caracciolo, e tra i musicisti una figura che il nobile melomane doveva ritenere ‘emergente’ nella propria cerchia, appunto Stella, di sette anni suo maggiore e cognato di Caracciolo: un «buon giovane che si fa coscienza [...] di far altr’opere di musica che mottetti, ed è valentissimo huomo», disse di lui il principe di Venosa al conte Alfonso Fontanelli, inviato da Alfonso II d’Este ad accogliere la corte gesualdiana ad Argenta, ai confini del ducato di Ferrara, il 18 febbraio 1594 (Pirrotta, 1971, p. 309). Cesare Caracciolo, «giovane cadetto onorato sì dal Principe, ma non al pari del Conte» (ibid.), figlio di Scipione Caracciolo, aveva sposato nel 1594 la vedova Girolama Stella (Archivio di Stato di Napoli, Archivi notarili, Archivi dei notai del XVI secolo, 463/04, cc. 431r-434v, 9 ottobre 1594), dalla quale ebbe un primo figlio battezzato il 31 luglio 1595 con i tradizionali nomi di famiglia «Lujse Antonio», nella stessa chiesa parrocchiale di S. Maria a Piazza dov’erano stati battezzati gli altri membri della famiglia Stella, e un secondo figlio, Fulvio, battezzato il 5 febbraio 1597 nella chiesa parrocchiale di S. Gennaro all’Olmo (Napoli, Archivio della Parrocchia di S. Gennaro all’Olmo, oggi conservato nella chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo, Libri dei battesimi, 5 febbraio 1597). Girolama, quindi, era un’altra sorella di Scipione: come ci indicano, oltre al primo nome dato al primogenito (Luigi), i capitoli matrimoniali del 4 ottobre 1581 per sposare in prime nozze Giovan Roberto Scannapieco, sottoscritti dal padre Luigi Stella alla presenza, tra gli altri, di Rodio (Archivio di Stato di Napoli, Archivi notarili, Archivi dei notai del XVI secolo, 252/31, cc. 355r-357v).
Il 10 maggio e il 2 giugno 1594 Stella firmò, indirizzandole all’autore medesimo, le dediche del secondo e poi del primo libro dei Madrigali a cinque voci del principe di Venosa, pubblicati a Ferrara dallo stampatore ducale Vittorio Baldini. Le due raccolte, che secondo un uso nobiliare diffuso non recano esplicitamente il nome dell’autore, contenevano i madrigali che il principe musicista aveva portato con sé a Ferrara. In particolare la dedica del primo libro allude a una precedente edizione (1591?) curata dal musicista Giuseppe Piloni: «in alcuni errori trascorsa», fu emendata dallo stesso dedicatore. Impegnato a Ferrara nella stampa dei madrigali del padrone, Stella non accompagnò il principe, la consorte e il conte Fontanelli a Venezia. Tra il 7 e il 29 settembre 1594 Fontanelli, che aveva seguito il principe di Venosa nel viaggio di ritorno ai suoi feudi, lasciò il castello irpino di Gesualdo e soggiornò per ventidue giorni a Napoli, dove venne introdotto negli ambienti musicali della città non da Stella bensì da Ettore Gesualdo, appartenente a un diverso ramo della famiglia e membro privilegiato dell’entourage musicale del principe.
Il 3 aprile 1595 Stella «patrizio napoletano» dedicò da Ferrara ad Alfonso II il suo Motectorum quinque vocibus liber primus, stampato anch’esso da Baldini (una parte di Bassus alla biblioteca della Universidad Complutense di Madrid, proveniente dalla biblioteca dei gesuiti del Colegio Imperial, reca lo stemma dei Gesualdo sui piatti di copertina). Frutto degli anni trascorsi all’Annunziata, questi mottetti sono certamente quelli cui aveva fatto riferimento Gesualdo quando lodò Stella in presenza di Fontanelli la sera del 18 febbraio 1594 ad Argenta. Da questo libro il principe di Venosa «attinse ben quattordici testi per i suoi due cicli di sacrae cantiones stampati nel 1603» (Piccardi, 1974, p. 103). Alcuni passi della dedica al duca Alfonso insinuano l’ipotesi che Stella sia rimasto a Ferrara alla corte estense anche dopo che Gesualdo fu ritornato nel Regno di Napoli all’inizio di giugno del 1594. A rafforzare la congettura concorre anche la circostanza che il terzo e il quarto libro dei madrigali del principe, pubblicati tra il marzo del 1595 e il marzo del 1596, furono curati da Ettore Gesualdo e non più da Stella.
Il 30 gennaio 1598, trentanovenne, entrò nella casa teatina di S. Paolo Maggiore di Napoli; il 7 giugno vestì l’abito assumendo il nome di Pietro Paolo. Dopo la professione (10 giugno), il 21 settembre 1602 fu promosso suddiacono; il 20 settembre 1603 divenne diacono e il 23 settembre 1605 fu ordinato sacerdote (il 2 giugno precedente era stato bocciato in una prima sessione di esami diocesani). La decisione di mutare vita scaturì forse dalla morte del figlio Luigi (12 ottobre 1597). Nello stesso anno, 1605, dalla tipografia di Giovanni Battista Sottile uscì il Libro primo de’ madrigali a cinque voci, dedicato il 4 aprile dal nipote Francesco Stella al cardinal Montalto, sottolineando «quella servitù che mio zio le havea nel secolo» e precisando che le composizioni erano già pronte prima del suo ingresso tra i «cherici regolari detti teatini»; dovette seguire la stampa, tardiva, di altri tre libri di madrigali del musicista un tempo favorito del principe di Venosa, se si dà credito a una lettera del compositore Heinrich Schütz a Philipp Hainhofer, da Dresda il 23 aprile 1632, che elenca edizioni musicali di compositori napoletani cui era interessato: «Musiche da Napoli [...] Scipione Stella. 1. 2. 3. 4. Libro Madrigali a 5. [...]» (Schütz, 1931, p. 118).
Nel 1601, con il nome secolare, è incluso dal trattatista Scipione Cerreto nell’elenco dei «Compositori eccellenti» e dei «Sonatori eccellenti d’Organo della Città di Napoli» viventi. Nei primi anni passati a S. Paolo Maggiore, allora in restauro, Stella dovette sovrintendere alla costruzione del nuovo organo affidato nel 1603 all’organaro romano Crisostomo Noci, fornitore di fiducia della cappella reale. Nonostante lo status ecclesiastico, in una lettera del 22 agosto 1607 indirizzata da Roma al marchese Enzo Bentivoglio padre Stella risultava ancora in relazione con Ippolita Recupito, Cesare Marotta e Luzzasco Luzzaschi, musicisti del cardinal Montalto. Nel 1609, il Secondo libro di diversi capricci per sonare di Ascanio Maione incluse un brano, Io mi son giovinetta del Ferrabosco diminuito per sonare, firmato da Maione, Giovan Domenico Montella e Stella. Il 28 giugno 1610 sempre il nipote Francesco Stella firmò da Napoli la dedica al cardinal Montalto anche del primo libro dello Hymnorum ecclesiasticorum liber primus a cinque voci dello zio paterno, padre don Pietro Paolo (Inni a cinque voci. Napoli 1610, a cura di F. Colusso - D.A. D’Alessandro, Lucca 2007). Gli inni furono composti per «la pia pratica delle Quarantore», e per la maggior parte nello stile osservato secondo il principio dell’alternatim; simili per scrittura alle diffuse «frottole», tali composizioni furono la ‘risposta’ teatina al dilagare frottolistico esecrato dal confratello Antonio Caracciolo.
Risale al 1612 un manoscritto miscellaneo di musica vocale e strumentale appartenuto a Luigi Rossi e compilato in gran parte durante gli anni in cui fu al servizio di Luigi Gaetani duca di Traetto (Londra, British Library, ms. Add. 30491, edizione facsimile a cura di A. Silbiger, New York-London 1987): le Partite sopra la Romanesca a quattro parti di Stella aprono la partitura, seguita dalla Prima Canzon e Seconda breve Canzon, entrambe a quattro parti, sempre di Stella (Neapolitan keyboard composers circa 1600, a cura di R. Jackson, s.l. 1967, pp. 9-16, 27-32), assieme a dodici composizioni di Macque, Orazio Bassani, Filomarino, Gesualdo, Francesco Lambardi, Tartaglino, Rinaldo Trematerra «dall’arpa» e Giovanni Maria Trabaci. Nel 1615 comparve a Napoli la Nuova scelta di madrigali di sette autori a cinque voci, stampata dal tipografo di fiducia del principe di Venosa, Giovanni Giacomo Carlino. In questo «tesoro di madrigali tra’ megliori» il defunto Gesualdo, insieme al senese Tomaso Pecci e al conte Fontanelli (in incognito), è contornato dai napoletani Dentice, Francesco Genuino, Nenna e Stella. Tutti, compreso il principe che apre l’antologia, vi figurano con tre madrigali a testa.
Il linceo Fabio Colonna, nel trattato La Sambuca lincea dedicato a Paolo V il 18 novembre 1618, pur onorando il primato del padre Stella in materia di strumenti enarmonici, descrisse un clavicordo enarmonico di propria invenzione realizzato dal cembalaro Francesco Beghini. L’amico teatino se ne sdegnò, rivendicando la completa paternità delle invenzioni, il «Pentorgano» e il «Tricembalo» (alcune annotazioni autografe su un esemplare del trattato, oggi alla Library of Congress di Washington, accusano Colonna di plagio; cfr. F. Colonna, La Sambuca..., edizione facsimile, a cura di P. Barbieri, 1991, pp. VIII-XI, XXVI-XXIX, anche sulle prese di posizione formulate da Giovanni Battista Doni nel Compendio del trattato de’ generi e de’ modi della musica, Roma 1635).
Morì il 20 maggio 1622 nella casa teatina di S. Paolo Maggiore. Il segretario cittadino Giulio Cesare Capaccio, accademico ozioso, nel suo Il forastiero (Napoli 1630, p. 7) non dimenticò di onorare le memorie di entrambi gli Scipione, Dentice e Stella.
Datato 1629 è il manoscritto 4.6.3 (olim Mus. Str. 55/1-4) del Conservatorio di Napoli: accanto alla nota gagliarda di Gesualdo ci sono gagliarde di Macque, Trabaci, Giovanni Maria Sabino e quattro canzoni a quattro parti di Stella inedite, oltre alle composizioni strumentali dei nobili Ettore Della Marra e di un non meglio identificato marchese di Arpaia. Una sezione sacra del manoscritto è costituita da inni, mottetti d’ispirazione mariana e «frottole» a tre voci, tra cui la prima strofa dell’inno-frottola Pange lingua e l’antifona-mottetto O quam suavis, inediti di Stella. Altra sua musica liturgica è citata da Camillo Tutini nel 1664, ma senza ulteriori riscontri («Il p. Stella teatino nap[olita]no compose vespere e messe»; c. 95v).
Fonti e Bibl.: S. Cerreto, Della prattica musica vocale, et strumentale, Napoli 1601, pp. 156 s.; F. Colonna, La Sambuca Lincea, overo Dell’istromento musico perfetto Lib. III [...], Napoli 1618 (edizione facsimile a cura di P. Barbieri, Lucca 1991); V. Giustiniani, Discorso sopra la musica de’ suoi tempi (1628), in Le origini del melodramma, a cura di A. Solerti, Torino 1903, p. 109; Napoli, Biblioteca Brancacciana (oggi alla Biblioteca nazionale di Napoli), ms. II.A.8: C. Tutini, La Porta di S. Giovanni Laterano (1664), «Musici», c. 95v; ms. XVII.9: S. Di Giacomo, L’Annunziata, pp. 57, 61-65, 71, 83-85, 95 s., 110 s.; H. Schütz, Gesammelte Briefe und Schriften, a cura di E.H. Müller, Regensburg 1931, pp. 115-118, 331; A. Newcomb, Carlo Gesualdo and a musical correspondence of 1594, in Musical quarterly, LIV (1968), pp. 414-418; N. Pirrotta, Gesualdo, Ferrara e Venezia, in Studi sul teatro veneto fra Rinascimento e età barocca, a cura di M.T. Muraro, Firenze 1971, pp. 308 s., 314-319; C. Piccardi, Carlo Gesualdo: l’aristocrazia come elezione, in Rivista italiana di musicologia, IX (1974), p. 103; K.A. Larson, The unaccompanied madrigal in Naples from 1536 to 1654, diss., Harvard University, 1985, Ann Arbor (Mich.) 1986, pp. 415 s., 804-809; La musica a Napoli durante il Seicento, a cura di D.A. D’Alessandro - A. Ziino, Roma 1987 (in partic. P. Barbieri, La “Sambuca Lincea” di Fabio Colonna e il “tricembalo” di S. S., pp. 167-216; G. Dixon, Romano Micheli and Naples: the documentation of a sixty-year relationship, pp. 556 s.); W. Kirkendale, Emilio de’ Cavalieri “gentiluomo romano”, Firenze 2001, p. 351; D. Cannizzaro, La musica per organo e clavicembalo nei regni di Napoli e di Sicilia tra XVI e XVII secolo, diss., Sapienza Università di Roma, I, Roma 2004, pp. 44-47, 64-69, 81-83; D.A. D’Alessandro, Per una biografia di don P.P. S. C.R., alias S. S., in Inni a cinque voci, cit., pp. XI-LIV; A. Mammarella, La frottola sacra napoletana nel primo Seicento: nuove acquisizioni, in Rivista italiana di musicologia, XLII (2007), pp. 46, 49-51; D.A. D’Alessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana, in La musica del Principe. Studi e prospettive per Carlo Gesualdo, a cura di L. Curinga, Lucca 2008, pp. 27, 32-35, 37, 41 s., 44, 47, 49 s., 76, 91, 99, 102; K.A. Larson, S., S. (Don P.P.), in The new Grove dictionary of music and musicians, XXIV, London-New York 2001, pp. 346 s.; F. Heidlberger, S., S., Ordensname Don P.P., in MGG Online, https://www.mgg-online.com/ mgg/stable/13142 (10 dicembre 2018).