SARDINI, Scipione
– Figlio di Giovan Battista di Alessandro di Ippolito (detto Dino) e di Maria Giovanna di Bernardino Antelminelli, nacque a Lucca e fu battezzato in S. Frediano il 24 gennaio 1526. Ebbe tre fratelli e due sorelle che raggiunsero l’età adulta: Bernardino (Lucca 1535-Parigi 1567), Alessandro (Lucca 1543-Parigi 1568), Paolo (Lucca 1538-Parigi 1575), Caterina (nata nel 1527, in sposa a un Boccella) e Margherita (1531-1610, moglie di Paolino Nieri).
La casata dei Sardini – nei documenti più antichi indicata anche come ‘Serdini’, da un capostipite ser Dino – agli inizi del XVI secolo si presentava articolata nei due rami principali che prendevano vita dai due figli di Ippolito: Alessandro, nonno di Scipione, e Pier Angelo, la cui discendenza, attraverso il figlio messer Dino, si estinse agli inizi del XX secolo e alla quale appartengono Giovan Battista Domenico e Giacomo (si vedano le voci in questo Dizionario). Economicamente non di primissimo livello (ma non «in bassa fortuna», come ricorda Gherardo Burlamacchi in contrapposizione con la successiva grande ricchezza di Scipione; Archivio di Stato di Lucca, S. Maria Cortelandini, 189, p. 125, cit. in Archivio Sardini, 124, p. 6), la famiglia godeva però di buona reputazione politica, come indicato dalla sua collocazione tra le prime ventiquattro per numero di seggi occupati in Consiglio generale nel primo quarto del XVI secolo (Berengo, 1965, p. 28) e anche dagli incarichi diplomatici ricoperti, in particolare da messer Dino e dallo stesso Scipione, che Giacomo Sardini nelle sue Memorie definisce «uno dei più memorabili della nostra famiglia» (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 129, p. 78).
Non si hanno notizie della sua educazione, ma non è improbabile che abbia preso assai presto la via delle Fiandre, come avveniva per i rampolli delle maggiori famiglie lucchesi, spediti ancora adolescenti a compiere l’apprendistato mercantile a Lione e ad Anversa (Sabbatini, 1985).
Nel corso del Cinquecento, diversi esponenti di altri rami dei Sardini furono attivi sia a Lione (Girolamo vi morì nel 1568; Davino era socio di Benedetto de’ Nobili nel 1572; Jacopo era in affari con Fabio de’ Nobili nel 1576), sia in Portogallo (a Lisbona nel 1585 era attivo Vincenzo di Pierangelo), sia ad Anversa (Davino gestiva la grande compagnia dei Buonvisi nel 1588). Nella vivace città della Schelda, divenuta il centro dell’economia-mondo spagnola, la ‘nazione’ lucchese, lasciando la vecchia piazza di Bruges, si era insediata ormai stabilmente, tanto da elaborare un proprio statuto. Il regolamento – con valore interno, dato che alle comunità italiane non venne concesso lo status di consolato – fu sottoscritto da 43 mercanti, tra i quali non figurava Scipione, mentre vi era la firma di Paolino Vellutelli, il che consente di datarne la stesura tra la primavera del 1558 e la fine del 1560 (Sabbatini, 1981, p. 602), visto che il Consiglio generale ne discusse l’approvazione a partire dal 3 gennaio 1561.
Della presenza di Sardini a Lione non si hanno testimonianze certe (non figura in R. Gascon, Grand commerce et vie urbaine au XVI siècle: Lion et ses marchands (environs de 1520-environ de 1580), Paris 1971), ma sembra vi sia stato impegnato fin dal 1548 (Jouanna et al., 1998, p. 1276). Ad Anversa collaborava, probabilmente da molto tempo, con la compagnia Micheli e Arnolfini e doveva essersi conquistato un’ottima fama, non solo come mercante e finanziere, se il Consiglio generale il 14 agosto 1554 lo elesse – inizialmente solo per tre mesi, ma poi più volte prorogato, con un compenso di 2 scudi al giorno – agens Reipublicae presso l’imperatore Carlo V, anche con il compito di congratularsi con il principe Filippo per il matrimonio con la regina d’Inghilterra Maria Tudor. La missione inglese avvenne qualche mese dopo, in compagnia di Bartolomeo Micheli, come testimonia il rimborso delle spese concesso loro dal Consiglio l’8 marzo 1555. Con il pagamento dei mesi di giugno, luglio e agosto del 1555, stanziato il 6 agosto, si concluse questo impegno diplomatico (Archivio di Stato di Lucca, Consiglio generale, 47; Anziani al tempo della libertà, 583, 584) e, da lì a poco, anche la permanenza di Sardini nella città di Anversa. Nella documentazione pubblica non trova conferma una precedente missione presso Carlo V del 1552, di cui si parla nelle Memorie stese nel 1807 da Giacomo Sardini, che su Scipione aveva raccolto un nutrito dossier schedando le tracce dell’avo nelle cronache lucchesi (Burlamacchi, Nicolao Penitesi) e nella letteratura europea sei-settecentesca (Christofle Justel, André Thevet, Pierre Bayle, Gabriel Brizard).
Il primo documento che attesta la presenza di Sardini a Parigi, indicandolo come mercante lucchese, è del 17 febbraio 1557 (Dubost, in L’emigrazione confessionale..., 1999, p. 81). Cinque anni più tardi, il suo status era quello di bourgeois de Paris e le relazioni finanziarie con la piazza di Anversa gli consentirono di intermediare un prestito assai consistente alla corte. Lo stesso 1562 lo vide protagonista in un’ulteriore, molto delicata, missione diplomatica per conto della Repubblica di Lucca. Nella fase di dura lotta all’eresia, sollecitato da Roma, il 9 gennaio di quell’anno il Consiglio generale aveva decretato che i lucchesi elencati come eretici non potessero recarsi e abitare in quei luoghi «d’Italia, Spagna, di Francia et suo dominio, di Fiandra e del Brabante, luoghi ne’ quali la nazione nostra suole conversare, habitare et negociare assai»: sulle loro teste veniva posta una taglia di 300 scudi d’oro. Nel contempo, si ordinava ai mercanti di stanza a Lione di inviare in patria una dichiarazione firmata da ciascuno di osservanza della fede cattolica e, in seguito, di inviare la nota degli obbedienti al precetto pasquale (Archivio di Stato di Lucca, Consiglio generale, 471). La ‘nazione’ prontamente obbedì, ma alcuni di fede ugonotta chiesero protezione alla corte (ibid., Anziani al tempo della libertà, 589). Dietro queste pressioni, nelle settimane successive il re Carlo IX e la regina madre reggente Caterina de’ Medici scrissero lettere ufficiali alla Repubblica in difesa della propria sovranità e del buon funzionamento della fiera di Lione, rivendicando con forza il diritto dei mercanti stranieri a trasferirsi e a vivere in sicurezza in tutta la Francia e chiesero ai governanti lucchesi di ritirare il bando capitale (ibid., 462). Toccò proprio a Sardini, assieme a Lodovico Bernardi tra i mercanti più in vista di Lione, il compito ufficiale di spiegare a Caterina le ragioni della Repubblica (ibid., Consiglio generale, 51). I due ambasciatori si mossero con grande abilità: convinsero Caterina che la legge «era cosa ordinaria, la quale non faceva alcun detrimento alli negotii del regnio loro [...] ansi era cagione di agumentarli [sic]» evitando che i ribelli eretici contaminassero gli altri mercanti. Trovarono inoltre comprensione presso il re di Navarra (padre del futuro Enrico IV), presso monsignor di Guisa, il legato pontificio e l’ambasciatore spagnolo (che ne scrisse subito, con entusiasmo, a Filippo II).
Evidentemente, le entrature presso la corte francese di Sardini erano già all’epoca molto solide. Il successo economico, come ha evidenziato Jean-François Dubost (1997), si deve in gran parte alla fitta rete dei mercanti italiani (Gondi, Rucellai, Rinuccini, Zametto, Dadiacetto...), lucchesi (Arnolfini, Balbani, Cenami, Micheli, Burlamacchi...) e dello stesso casato Sardini, che peraltro pagò un pesante contributo di sangue: a Parigi, nel 1567 e nel 1568, gli morirono i due fratelli Bernardino e Alessandro, e nel 1575 venne assassinato anche Paolo, arrivato da Lucca appena un anno prima (Correspondance du nonce en France Antonio Maria Salviati (1572-1578), a cura di P. Hurtubise, I, Roma 1975, p. 326). Nel mondo finanziario e degli affari furono attivi anche i parenti Davino, Giacomo, Giulio, Pier Angelo, Marco Antonio, il nipote Orazio Nieri, Nicola Rimini (non «Rinuini», come legge erroneamente Dubost) figlio di Caterina Sardini, oltre ai due figli di Scipione, Alessandro e Paolo.
Fu nel corso degli anni Sessanta, che Scipione si affermò definitivamente nel mondo finanziario, a corte presso Caterina e nella società parigina con l’acquisizione di feudi e titoli nobiliari: visconte di Buzancy e barone di Chaumont. La consacrazione avvenne nel 1569 quando sposò una dama d’onore, cugina della stessa regina, Isabelle de La Tour de Limeuil, famiglia di prima grandezza, di simpatie ugonotte. Come aveva riportato una certa letteratu-ra romanzesca, e come ricordava ancora Bayle, Isabelle aveva avuto, si diceva con la benedizione della stessa Caterina, una relazione con il principe Louis de Condé dalla quale era nato un figlio; ne riferì anche Giacomo Sardini nelle sue Memorie, prendendo lo spunto per trarne una morale in linea con il proprio convinto spirito religioso. Dal matrimonio nacquero due figlie, Isabeau e Magdalaine, andate in sposa a Forest (Forese) Salviati e Jacques de Roffignac, e due maschi, Alessandro (nato nel 1575) e Paolo (1580-1668), che non si sposarono; di quest’ultimo rimasero le figlie naturali Elisabetta e Maddalena.
Avendo rinunciato ai diritti di successione ai beni della famiglia della sposa, la ricchezza di Sardini derivava dalla sua abilità di finanziere, appaltatore delle tasse e prestatore alla Corona. Probabilmente, a una prima fase nella quale fungeva da investitore dei proventi delle compagnie lucchesi e genovesi, ne seguì una nella quale riuscì a coinvolgere capitali di investitori francesi. Memorabili alcune sue operazioni: alla vigilia del massacro di S. Bartolomeo, nel maggio del 1572, prese in appalto – assieme al fiorentino Orazio Rucellai – la rendita dell’Hôtel de Ville di Parigi per 1.200.000 lire riuscendo poi a creare un efficace mercato delle polizze; fornì a Enrico III, appena salito al trono, 240.000 scudi per il completamento della cappella dei Valois a Saint-Denis; si accollò, nel 1587, l’appalto dei 550.000 scudi promessi dal clero al re in cambio delle decime, con profitti enormi, anche se negli anni seguenti fu assai difficile il loro reale incasso (Dubost, 1997, pp. 220-223).
Di Enrico III fu ascoltato consigliere finanziario, come nel 1577, quando gli suggerì di imporre una nuova tassa su taverne e osterie, che prese in appalto per 600.000 scudi (Heller, 2003, p. 165). All’abilità univa anche la spregiudicatezza: nel 1586, fu infatti arrestato per aver fatto stampare, senza l’autorizzazione, un editto di raddoppio di alcuni dazi. Ma l’episodio mostrò anche l’enorme potere del finanziere perché, su preghiera di Caterina, il re ordinò al presidente della corte di andare personalmente a liberarlo e di condurlo al Louvre (G. Brizard, Du massacre de la Saint-Barthélemy..., 1790, p. 108).
Il cronista lucchese Penitesi annota che Scipione «fu appo tre re, e credo quattro, et anco della regina madre e di tutti i principi del sangue regio in tanto credito, che era invidiato dalli altri francesi» (Archivio di Stato di Lucca, Biblioteca manoscritti, 115, cc. n.n.; copiato in Archivio Sardini, 48, cc. 10v-11r). Pamphlet e poesie satiriche infatti si moltiplicarono contro Sardini e i finanzieri suoi soci, nel clima di quell’antitalianismo che caratterizzò la Francia del secondo Cinquecento. Con l’uccisione di Enrico III si aprì un periodo particolarmente difficile. Burlamacchi, che scriveva nel corso degli avvenimenti, ha lasciato un’efficace testimonianza: «tutto era in conquasso [...] non si può dire come il giuoco sia per andare, e lui [Scipione] seguita la fortuna di Navarra» (ibid., S. Maria Cortelandini, 189, p. 126, ripreso in Lucca, Biblioteca statale, 1131, p. 744, e in Archivio di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 124, p. 6). Sotto il governo della Lega, l’abitazione di Scipione, in Saint-Marcel, fu saccheggiata con la distruzione della documentazione finanziaria; lui stesso fu fatto prigioniero e dovette pagare un riscatto di 6000 scudi per poter lasciare Parigi.
La sua stella cominciava ad appannarsi, anche se con il rientro di Enrico IV a Parigi, nel 1594, gli fu riconfermato l’appoggio della corte. In questa nuova stagione, ormai settantenne, dettava le sue ultime volontà il 26 luglio 1596. È un documento (Stein, 1913, pp. 179-182) che testimonia di un forte legame mantenuto con il resto del casato lucchese. E, del resto, all’imposta straordinaria ordinata dalla Repubblica nel 1599, Scipione figurava come di gran lunga il più ricco dei Sardini e al decimo posto assoluto, con beni immobili valutati 50.000 scudi, seguito da Davino con 14.000 e da altri sette membri del consortato; in totale la ricchezza della famiglia era valutata 88.300 scudi e si collocava in diciassettesima posizione (Lucca, Biblioteca statale, 900, cc. 71-81, in partic. c. 73). Nelle disposizioni testamentarie, che pure non fuoriescono dai canoni della cattolicità (si ordina la sepoltura nella chiesa degli agostiniani), vi sono espressioni che Simonetta Adorni-Braccesi (in L’emigrazione confessionale..., 1999) definisce «di sapore evangelico» (pp. 38 s.). Forse come segnale di qualche sensibilità non perfettamente ortodossa presente nei membri della famiglia Sardini stanziati o a lungo dimoranti in Francia si può leggere una particolare disposizione del testamento del 1584 del ‘cugino’ Davino, interessato alle compagnie di Lione: «tutte le lettere scritteli da alcuno di casa Sardini» dovranno essere raccolte e tenute segrete dal fratello notaio Alfonso e non se ne dovrà fare menzione nell’inventario dell’eredità (Archivio di Stato di Lucca, Archivio notarile, Testamenti, 150, ser Tizio Santini, 17 maggio 1584, cc. 555-562).
In questa stessa direzione di apertura religiosa si colloca l’ospitalità e la pensione offerte al letterato protestante Dominique Baudier, Baudius, all’inizio degli anni Novanta, probabilmente con l’intermediazione di Jacques Auguste de Thou, di Christophe de Harlay e di Giuseppe Giusto Scaligero. Del mecenatismo di Sardini si erano avuti i primi segnali nelle dediche di due edizioni dello stampatore lucchese Vincenzo Busdraghi (G. Franciotti, Tractatus de balneo Villensi, 1552; M. Bandello, La terza parte de le novelle, 1554), così come nel sostegno dato alla pubblicazione della biografia di Castruccio Castracani degli Antelminelli (da cui discendeva la madre) a opera di Aldo Manuzio il Giovane, pubblicata nel 1590 (A. Thevet, Histoire des plus illustres..., 1670, p. 40).
Nei primi anni del Seicento, Scipione, Isabelle e i figli Alessandro e Paolo vivevano con Marco Antonio nella casa in via Bourtibourg. Sardini morì a Parigi l’8 maggio 1608; sua moglie l’anno successivo.
Fonti e Bibl.: Le fonti e la bibliografia riportano talvolta notizie e date contraddittorie e poco affidabili; senza sottolineare i singoli casi di errore, la voce è fondata sulle informazioni più attendibili. Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 462, 583, 584, 589; Archivio notarile, Testamenti, 150, ser Tizio Santini, 17 maggio 1584; Archivio Sardini, 129: G. Sardini, Memorie della famiglia Sardini; Biblioteca manoscritti, 115: N. Penitesi, Antichità di Lucca città della Toscana circa le famiglie nobili; Consiglio generale, 47, 51, 471; S. Maria Cortelandini, 189: G. Burlamacchi, Delle famiglie nobili di Lucca; Statuti di comunità soggette, 3; Lucca, Biblioteca statale, 900: B. Baroni, Miscellanea lucensia; 1131: G.V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi; Ch. Justel, Histoire généalogique de la maison d’Auvergne, Paris 1645, pp. 196 s.; A. Thevet, Histoire des plus illustres et sçavans hommes de leurs siècles, Paris 1670, pp. 28-42 (in partic. p. 40); P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, III, Rotterdam 1720, pp. 116-119; G. Brizard, Du massacre de la Saint-Barthélemy et de l’influence des étrangers en France durant la Ligue, Paris 1790, pp. 64-108. Per le fonti archivistiche francesi si rinvia alle indicazioni contenute negli studi elencati in bibliografia.
C. Sardi, Dei mecenati lucchesi del XVI secolo, Lucca 1882, pp. 54-58; H. Stein, Scipion Sardini et sa famille, in Mélanges offerts à M. Emile Picot, II, Paris 1913, pp. 171-185; D. Corsi, Archivio Sardini [Introduzione], in Inventario Archivio di Stato in Lucca, VI, Archivi gentilizi, Lucca 1961, pp. 503-513 (in partic. pp. 503-505); M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 28, 55, 227; F. Bayard, Les Bonvisi, marchands, banquiers, à Lyon: 1575-1629, in Annales. Economies, sociétés, civilisations, XXVI (1971), 6, pp. 1234-1269; R. Sabbatini, Paolino Vellutelli, un nobile minore nella Lucca del Cinquecento, in Archivio storico italiano, CXXXIX (1981), 4, pp. 581-630 (in partic. p. 602); Id., ‘Cercar esca’. Mercanti lucchesi ad Anversa nel Cinquecento, Firenze 1985, pp. 99-110; J. Boucher, Présence italienne à Lyon à la Renaissance, Lyon 1997, p. 32; J.-F. Dubost, La France italienne, Paris 1997, pp. 186-188, 217-223, 230-234, 247 s., 413 s.; S. Adorni-Braccesi, L’emigrazione religiosa dei Lucchesi in Francia e a Ginevra tra la metà del XVI e gli inizi del XVII secolo, in Eretici esuli e indemoniati nell’età moderna, a cura di M. Rosa, Firenze 1998, pp. 61-75; A. Jouanna et al., Histoire et dictionnaire des guerres de religion, Paris 1998, pp. 1276-1278; L’emigrazione confessionale dei lucchesi in Europa, a cura di S. Adorni-Braccesi - C. Sodini, Firenze 1999 (in partic. S. Adorni-Braccesi, Affari e coscienza: le dimensioni europee dell’emigrazione confessionale lucchese, pp. 19-39; J.-F. Dubost, Une réussite lucquoise: les Sardini en France (1557-1667), pp. 81-95); A. Orlandi, Le grand parti. Fiorentini a Lione e il debito pubblico francese nel XVI secolo, Firenze 2002, pp. 41-46; H. Heller, Anti-Italianism in sixteenth-century France, Toronto 2003, pp. 8, 82 s., 98, 103 s., 163-169, 172, 200, 225.