SCIPIONE Nasica, Publio Cornelio (P. Cornelius P. f. Scipio Nasica)
Console nel 138. Nel 149 fu tra i legati che ricevettero in consegna da Cartagine le armi dopo la resa. Non riuscì eletto all'edilità curule; pare sia divenuto pontefice massimo nel 141. Console nel 138 con Decimo Giunio Bruto, lottò contro la demagogia tributaria (negando ai tribuni la facoltà tradizionale di esimere dal servizio militare 10 individui ciascuno: e perciò si lasciò perfino trascinare al carcere); allora un tribuno avverso lo chiamò per ingiuria col nome d'uno schiavo o liberto malfamato, Serapione; e così fu poi soprannominato. Ma la lotta contro gli attentatori all'ordine costituito si scatenò nel 133, quando Tiberio Gracco promulgò le sue leggi. S. riuscì a far assegnare ai triumviri incaricati dell'esecuzione della legge agraria un'indennità irrisoria; e fece fallire la proposta di utilizzare per quella legge le ricchezze che il re Attalo aveva allora lasciato in eredità ai Romani. Alcune fonti dicono che in questa lotta S. difendeva i suoi interessi di possessore di molte terre demaniali; ma certo egli era avverso al demagogismo per natura e per educazione. Quando Ti. Gracco cercò di farsi rieleggere tribuno, mentre il Senato era incerto e il console P. Mucio Scevola si opponeva all'uso della violenza, S., proclamando che chi amava la patria doveva seguirlo, si precipitò nell'assemblea popolare presieduta dal tribuno. Al suo apparire (egli aveva cinto la toga alla guisa del sacerdote sacrificante) il popolo si ritrasse, e i senatori, con armi di fortuna, dispersero i sediziosi: nella breve mischia cadde Tiberio per mano, si disse, di S.; che ad ogni modo poi se ne arrogò il vanto, chiamando nemico dello stato chi ne sovvertisse le leggi. Ciò fece tanto più impressione, in quanto era cugino del tribuno; e gliene venne grande impopolarità: sfuggì ad un processo, ma dové per prudenza allontanarsi da Roma: con una legatio libera si recò in Asia. Morì a Pergamo, dove s'è ritrovato un frammento del suo epitafio (Dessau, Inscriptiones latinae selectae, 8886). Cicerone lo lodava come valente oratore.
F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV col. 1501; Suppl. III, col. 261; id., Römische Adelspartein und Adelsfamilien, Stoccarda 1920, p. 260; E. Kornemann, in Klio, 1904, p. 107; P. Fraccaro, Studi sull'età dei Gracchi, Città di Castello, 1914, p. 133.